Una squadra di cinque studenti di Giurisprudenza per Jessup

Avvicinare gli studenti alla pratica del diritto e “prendere coscienza di sé e capire che non si è secondi a nessuno”. Ecco il perché della partecipazione alla competizione per la prof.ssa Vitucci

Il sogno: andare a giocarsela da “underdog” a Washington

Preparazione a Caserta, poi gli incontri con le altre squadre italiane a Bologna, a febbraio. E in caso di successo, il sogno: andare a giocarsela da “underdog” a Washington (con la quale c’è un conto aperto). Un percorso tutto da scrivere per cinque ragazze e ragazzi che saranno scelti nei prossimi tempi: partecipare (e provare a vincere) all’edizione 2025 del Jessup, competizione nata nel 1960 che mette a confronto studenti di Giurisprudenza da tutto il mondo – addirittura circa 3000 all’anno provenienti da circa 700 scuole di Legge in 100 Paesi – simulando una controversia fittizia tutta in lingua inglese tra Paesi davanti alla Corte internazionale di Giustizia. Per la Vanvitelli, il primo passo di una scalata che si annuncia tanto tortuosa quanto entusiasmante e avvincente è fissato per lunedì 23 settembre, giorno dell’incontro di presentazione della clinica legale sul contenzioso internazionale a cura dei professori Maria Chiara Vitucci e Andrea Saccucci.
La partecipazione alla competizione ha un duplice obiettivo: avvicinare gli studenti alla pratica per mettere in atto il diritto, in nome del famoso principio del learning by doing (nel piano studio del quinto anno di Giurisprudenza, dallo scorso anno, ogni insegnamento prevede una clinica legale); dall’altro “prendere coscienza di sé e capire che non si è secondi a nessuno e si può competere ad armi pari con altri atenei, compensando con impegno alcune lacune, magari sull’inglese”. Vitucci – proprio lei ha parlato di “underdog”, con senso di appartenenza – cerca persone che abbiano fame e spirito: “mi è capitato di parlare con studenti che non hanno capito il potenziale di un’occasione come quella del Jessup”.
E proprio per questo è stato organizzato l’incontro del 23 (primo di una lunga serie): “per animare i ragazzi e spiegare loro di cosa si tratta; con me ci saranno anche Saccucci, avvocato di diritto internazionale con delle competenze per noi fondamentali, e persone che hanno partecipato alle edizioni precedenti, anche nel ruolo di team advisor, magari dottorandi o assegnisti, che guidano e danno consigli. Nel corso degli incontri studieremo il caso, capiremo i problemi giuridici sottostanti. Tuttavia, i quattro fondamentali sono già noti (sul sito del Jessup, ndr)”.
Questa la struttura del contenzioso al centro della competizione, che si svolge prima a livello nazionale tra dieci squadre, poi internazionale: sussiste una controversia tra uno Stato A e uno Stato R. Ogni squadra dovrà scrivere le memorie, in inglese, tanto per l’attore che per il convenuto (cioè entrambi gli Stati). Dopo questa prima fase, entro una deadline, gli scritti vengono valutati e ricevono un punteggio. A febbraio scatta la fase orale: le squadre italiane andranno a Bologna per sostenere quattro incontri. Chi accumulerà più punti potrà giocarsi semifinali ed eventualmente finale.
Il team vincitore (anche due, nel caso dovessero partecipare più di dieci squadre, ndr) andrà dritto a Washington per l’ultima fase, quella internazionale. A ben vedere, il Jessup non è una novità né per Vitucci né per la Vanvitelli. “Appena arrivata in Ateneo, un po’ di anni fa, riuscì a far ospitare qui i round italiani, e la finale, a San Leucio, fu particolarmente avvincente”. C’è pure un aneddoto da raccontare: “all’epoca qui insegnava il prof. Minervini, ora alla Federico II, e rimase così colpito dai partecipanti, dal loro inglese, dalla sicurezza fisica, che dubitò che fossero effettivamente studenti”.
Ma non è tutto, perché solo due anni fa – correva l’edizione del 2022 – Vitucci e il suo team di sole studentesse raggiunsero la finale che, causa Covid, si tenne solo online. “Inaspettatamente, dopo aver battuto Torino in semifinale, arrivammo all’ultimo step: è stata una delle sensazioni più belle mai provate da quando sono qui alla Vanvitelli; al tempo stesso ci è rimasto l’amaro in bocca per non essere andate a Washington. Da allora abbiamo un conto in sospeso e chissà che questa non sia la volta buona. Scaramanzie a parte, per Vitucci l’approccio è tutto: “se non si ama ciò che si fa, non si va da nessuna parte”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n.13-14 – 2024 – Pagina 29

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