15 maggio, per la prima volta l’Onu commemora la Nakba, l’esodo del popolo palestinese

15 maggio, per la prima volta l’Onu commemora la Nakba, l’esodo del popolo palestinese

La leadership palestinese, assieme a tutta la comunità che rappresenta – comprese quelle sparse per il mondo – il 15 maggio ha ricordato la cosiddetta Nakba. Una ricorrenza che quest’anno è stata commemorata, per la prima volta, anche dall’ONU nel Palazzo di Vetro. Per fare chiarezza sul significato storico della Nakba e sul riconoscimento simbolico delle Nazioni Unite, ne abbiamo parlato con la prof.ssa Daniela Pioppi, docente di Storia contemporanea dei Paesi arabi, già consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali e a capo di numerosi progetti di ricerca internazionali.

Professoressa, ci spiega meglio cos’è la Nakba? “È un termine araboche vuol dire catastrofe – con cui ci si riferisce agli eventi del 1948-49, cioè alla nascita dello Stato di Israele, al primo conflitto israelo-arabo e all’esodo di più della metà della popolazione araba-palestinese della Palestina mandataria, a seguito appunto della fondazione di Israele e del primo conflitto. In realtà, questo esodo era un po’ prevedibile perché, nell’idea stessa del progetto sionista, l’intenzione era fondare uno Stato nazionale degli ebrei e per gli ebrei. E questo, a sua volta, per garantire l’ebraicità dello Stato, significava dare una maggioranza demografica ebraica all’interno dei confini.
In quel momento la Palestina mandataria aveva una demografia molto diversa: la popolazione nel 1948 era di circa 2 milioni di persone, delle quali circa 600mila ebrei di provenienza europea, immigrati in Palestina durante il periodo del mandato britannico, cioè dal 1920 al 1947-48. Una componente importante, ma comunque minoritaria. Di contro, i nuovi confini dello Stato ebraico comprendevano all’interno una componente di popolazione araba maggioritaria”.

Lo studioso e storico israeliano Ilan Pappè, che si è espresso più volte in favore della Palestina ed è stato vostro ospite lo scorso anno su altri temi, in un’intervista rilasciata a “Il Manifesto” ha citato L’Orientale ‘per l’accuratezza del programma di studi su questi temi’, cioè a proposito di tutto il Medio Oriente. Qual è il vostro approccio storico e metodologico? “Abbiamo un percorso di studi molto ricco. Qui si possono studiare lingua e letteratura arabe, lingua e letteratura ebraica moderna e contemporanea; così come storia e civiltà ebraica, la storia della regione sin dall’antichità fino alla contemporaneità. Nei programmi di studio ci sono insegnamenti come storia del mondo islamico, storia contemporanea dei Paesi arabi, all’interno dei quali si approccia la storia della regione a partire dal tardo Impero ottomano ai giorni nostri. Di conseguenza, anche la questione israelo-palestinese si studia approfonditamente”.

Per la prima volta, quest’anno, l’ONU ha commemorato la Nakba. Certamente un fatto simbolico che non ha implicazioni politiche dirette, ma che impatto può avere sul dibattito? “Può essere importante a livello simbolico, anche se la realtà sul terreno è ahimè drammatica: di certo non può essere uno spartiacque. Le Nazioni Unite in realtà hanno riconosciuto da tempo la Nakba, tant’è vero che c’è un’agenzia apposita che si occupa dei profughi palestinesi del ’48, la Unrwa. Ad ogni modo, simbolicamente, la commemorazione è importante e doverosa, ormai siamo nel 2023, sono passati 75 anni”.

Qual è la situazione sul campo, attualmente? “La soluzione dei due Stati sembra essere ormai tramontata a causa della realtà sul terreno. Nel tempo Israele ha costruito insediamenti nei territori palestinesi, tra l’altro in violazione della Convenzione di Ginevra, rendendo di fatto molto irrealistica la possibilità di costruire uno Stato palestinese in quei territori che, ad oggi, sono il 22% della Palestina originaria, storica. Inoltre, in Israele, dove c’è un governo di destra, secondo alcuni rapporti come quello di Amnesty, sono in atto politiche di Apartheid, sia contro i palestinesi nei territori occupati e sia contro la minoranza araba interna, i cosiddetti arabi d’Israele”.

Secondo lei come potrebbe evolvere la situazione in futuro? “Il movimento nazionalista palestinese è di fatto sconfitto e in Israele non sembra esserci alcun dibattito in merito; la questione dell’occupazione non è un tema che si dibatte all’interno”.

In un’ottica geopolitica pesano il ruolo di Israele in Medio Oriente e le partnership con Stati forti? “Senz’altro questo ha una sua verità storica nel tempo. Israele è sempre stato partner dell’Occidente. In più, c’è tutta la questione europea dell’Olocausto, che ovviamente pesa molto. Si fa un po’ fatica a vedere il progetto coloniale. Poi è chiaro che i fattori sono tanti, complessi, e ci sono responsabilità anche dal lato arabo. Ad ogni modo i palestinesi hanno perso, ma non ci sono né la pace né una soluzione. Esiste un’opposizione interna israeliana e Pappè è uno di questi, ma oggi sono veramente poche persone. Un tempo il movimento pacifista era molto più forte. Attualmente pochi individui criticano le politiche di Israele, fanno molta fatica e spesso sono oggetto di attacchi”.
Claudio Tranchino

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