Un’iniziativa per scoprire le radici di una festa gioiosa, colorata e ricca di tradizioni: l’abitudine di pulire tutta la casa, l’acquisto di nuovi vestiti e la decorazione di case e tavole imbandite con fiori di ogni tipo. Un evento per festeggiare in un’ottica multiculturale l’arrivo, si spera, della temperatura mite e dei colori della natura, in un periodo storico troppo grigio. “Quella di oggi è una buona occasione per scambiarci le nostre conoscenze in materia, nella festa dell’anno che si rinnova, del mondo che si rinnova, coinvolgendo le nuove generazioni per eccellenza, i nostri studenti”, il saluto del prof. Tommaso Trevisani, docente di Società e culture dell’Asia centrale e coordinatore del Centro Studi su Asia Centrale, Tibet e Iran, in apertura dell’incontro che si è tenuto (in presenza a Palazzo Corigliano e in streaming) lo scorso 21 marzo: Nowruz: la più antica festa degli iraniani. Per milioni di persone nel mondo, nel giorno dell’equinozio di primavera ricorre l’importante festività conosciuta come il Capodanno iraniano, celebrata sin dai tempi antichissimi dai persiani dell’Iran e dell’Afghanistan, dai pashtun dell’Afghanistan e del Pakistan, dai beluci del Pakistan e dell’Iran, dai curdi e da molte altre etnie di origine iraniana. “Con iniziative come questa, speriamo di spronare i nostri studenti ad interessarsi anche alle aree limitrofe di quelle che studiano, in un’ottica di crescente apertura”, aggiunge il prof. Trevisani. 

Il Nowruz nasce come festa religiosa zoroastriana in ambito persiano preislamico: “il significato del suo nome è ‘nuovo giorno’. Ad interessarci è anche la diversa concezione del tempo che questa festa porta con sé. In Iran il nuovo anno inizia con un vero cambiamento della natura: dal rigido inverno alla rinascita della primavera. Si celebra in questo giorno la mutazione, e sono moltissimi i poeti che fin da epoche remote ne parlano, elencando nei loro testi i nomi dei fiori che evocano parti del corpo, metafora di una rinascita personale, e attingendo alla sfera dell’immaginazione – spiega il prof. Michele Bernardini, docente di Lingue e Letteratura Persiana – Questa festività entra anche nell’epica con la figura del suo fondatore, il re persiano Jamshid. Secondo il poeta Ferdowsi, Jamshid fu il quarto re del mondo, quello a cui si deve la manifattura delle prime armi e la creazione dell’ordito. La sua figura era circondata da un’aurea superiore. Il poeta scrive addirittura che in quel periodo non si moriva più: era l’epoca d’oro della civiltà persiana. È in quel momento che nasce questa festività: il nuovo giorno, il giorno nuovo per l’umanità”. Tuttavia – continua nella sua spiegazione il docente – Jamshid pecca di hybris, come molti grandi uomini della mitologia di ogni epoca; perde la sua gloria divina e diventa uomo come tutti gli altri. “La morte di Jamshid diventa metafora della storia del mondo, della ciclicità in cui tutto inizia e finisce. Un mito di costruzione e concezione nazionale che si trasmetterà a tutti i mondi vicini”, conclude il prof. Bernardini. 

Ma quanto antica è questa festa? Interrogativo al quale risponde il prof. Gian Piero Basello, docente di Filologia e storia dell’Iran antico e di altre discipline di ambito centro-asiatico: il primo collegamento è quello con la Babilonia e la festività Akitu, un nome a sua volta derivato dal sumero. L’inizio dell’anno si celebrava nei due giorni che segnano i due equinozi, quello autunnale e quello primaverile. A differenza del Nowruz, quindi, non si limitava ad un solo giorno”. Quando cade l’equinozio? “Il calcolo dipende dal calendario a cui si fa riferimento. Entrambi calendari lunari, in quello babilonese il giorno dell’equinozio variava, con una differenza di anno in anno, di circa 10 giorni; in quello persiano, invece, cade sempre il primo giorno del primo mese”,spiega il prof. Basello. La prof.ssa Bianca Maria Filippini, docente di Lingua persiana, propone al pubblico in presenza e a quello virtuale la spiegazione del racconto dell’autrice persiana Simin Daneshvar, “La festa degli iraniani”. I temi principali sono quelli dello straniero che guarda alla festività, la curiosità dei bambini americani e l’ingenuità di cercare un riscontro tra ciò che vedono e ciò che già conoscono; la festosa figura di Haji Firuz, il personaggio simbolo di questa natura che rinasce, che attira la loro attenzione; l’incomunicabilità irrisolvibile tra Oriente e Occidente. “Si tratta della più grande scrittrice di narrativa contemporanea dell’Iran, protagonista del vivace movimento intellettuale che contesta la presenza sempre più massiccia degli Stati Uniti nella vita degli iraniani, soprattutto dal punto di vista culturale. Il contesto storico a cui guardiamo è quello del colpo di Stato (per mano inglese e americana) del 1953 che destituisce il Primo Ministro, il quale aveva da poco nazionalizzato l’industria petrolifera. Questo scatena un dibattito acceso, a seguito del quale viene pubblicato il manifesto di Jalal al-e-Ahmed, dal titolo che si potrebbe tradurre con ‘occidentossicazione’. Si inizia a spingere per il recupero dei valori islamici come fondanti e delle proprie tradizioni, per reagire a questa ‘intossicazione’ dall’Occidente. Al-e-Ahmed è il marito di Daneshvar”, spiega la docente. Il racconto si può quindi analizzare nei termini di una riflessione sul Sé e su L’Altro, molto cara in quegli anni agli intellettuali, partendo dalla tematica della festa e arrivando poi ad una riflessione politica e sociale dell’Iran del tempo. 

Agnese Salemi