Il racconto di Carmen Pagano, interprete LIS

È l’interprete professionale LIS del progetto ‘Fiabe e storie da mondi lontani per l’inclusività’. Si chiama Carmen Pagano e si è laureata lo scorso dicembre in Lingue e Comunicazione Interculturale in Area Euromediterranea con una tesi sull’inclusione della categoria LGBT e la rappresentazione mediatico-discorsiva delle figure queer nella stampa britannica (con relatore il prof. Giuseppe Balirano e correlatore il prof. Fabio Amato). Ha conseguito anche la Triennale a L’Orientale, in Mediazione Linguistica e Culturale. Anni significativi sul versante della formazione in cui ha iniziato a germogliare in lei la passione per la lingua italiana dei segni, “grazie agli spunti che ho avuto modo di cogliere già durante il percorso a L’Orientale – sottolinea – prima durante i corsi di lingua improntati allo studio delle tecniche traduttive (Traduttologia generale, per esempio), o agli argomenti di matrice antropologica, e dopo con un corso introduttivo di 60 ore avviato dall’ex C.I.L.A. Da quella locandina che vidi lì, per caso, al quarto piano di Palazzo del Mediterraneo, mi si è aperto un mondo”.
È una “lingua a tutti gli effetti”
Una strada durata più di quattro anni che poi la studentessa ha proseguito durante gli anni universitari, specializzandosi privatamente presso una scuola di interpreti a Napoli, Counselis, ottenendo il diploma nel 2017. “Le ore di lezione che ho svolto le ho poi convalidate come altre attività formative per i due crediti universitari”. Il percorso per l’avviamento a questa figura professionale, spiega, è organizzato in moduli per livello. “Si tratta di una lingua a tutti gli effetti che ha un orizzonte culturale di riferimento, un proprio sistema grammaticale e un lessico peculiare”. Cambia soltanto il canale, perché “il processo comunicativo è veicolato esclusivamente sul piano visivo-gestuale”. Un ambito affascinante per tutti gli appassionati di discipline linguistiche, “anche se circolano molti falsi miti sul tema. Alcuni tendono a confondere la lingua dei segni con il linguaggio dei gesti, intendendo a torto la LIS come un insieme di segni convenzionali per comunicare con i sordomuti: il mutismo è un fenomeno che non rientra necessariamente nella sfera della sordità”. La struttura di ogni lingua segnante, invece, è diversa per ogni sistema linguistico orale, che sia l’italiano, l’inglese, il francese, e così via. “Questa lingua, oltre ad essere un mezzo di comunicazione tra i membri di una stessa comunità, rafforza il senso d’identità linguistica e culturale della popolazione sorda. Al mondo esistono circa 140 lingue dei segni”.
Gli sbocchi professionali
Gli sbocchi lavorativi, per chi ha questa competenza linguistica, sono paralleli: l’assistente alla comunicazione o, se si continua il percorso professionalizzante, l’interprete in diversi contesti comunicativi (in trattative lavorative, conferenze, televisione, ambienti scolastici). “Come in ogni traduzione, l’interprete ha la necessità di documentarsi su nozioni culturali, formarsi sul lessico settoriale, studiare il modo in cui parla il relatore e sostituirsi a esso, rimanendo però invisibile nel trasferimento delle informazioni”. I principi di fondo sono gli stessi: “tradurre senza tradire la fonte di partenza e non interferire lungo la mediazione”. Varia, invece, l’attenzione posta alla prosodia del relatore, “perché ogni interprete LIS modula i segni in relazione al tono, all’andamento e all’impostazione vocale di chi sta parlando: il segnato può essere lento, concitato, dipende dal ritmo del relatore. E per rendere al meglio il suo discorso occorre trasformare quella voce in un segno attraverso il movimento del corpo, l’espressione del viso, l’uso delle mani. Anche nel linguaggio dei segni esiste una punteggiatura”. O anche una componente morfologica: “ad esempio, il plurale si può realizzare in vari modi, ripetendo lo stesso segno più volte, posizionandolo nello spazio del segnato, oppure ricorrendo all’espressione facciale”. Ogni piccolo dettaglio, anche se impercettibile, può fare la differenza. “La prima sensazione che si ha, quando si inizia a studiare questa lingua, è un lieve dolore agli occhi. È del tutto normale: rimanendo in silenzio per ore, si sforza il canale visivo”. Serve, tuttavia, un allenamento costante. “Non si può prescindere dall’esercizio quotidiano per tenere allenato il segnato e dal confronto con persone sorde per un feedback sulla propria performance traduttiva. Con la pratica, ovviamente, si migliora e si diventa più precisi. Certo, può sfuggire sempre qualcosa”. Qual è l’aspetto più affascinante di questo lavoro? “Il risvolto etico-sociale”, risponde senza esitazioni. Ovvero, “la possibilità di riuscire ad arrivare a tutti e comunicare con una minoranza linguistica. Spesso quello del mondo non udente è considerato una diversità. È un deficit sensoriale, non una malattia da sconfiggere”. 
Musica e lingua dei segni
Alcuni segnali, di recente, hanno messo in luce il valore degli interpreti LIS. “Non molti in Italia hanno questa competenza. È una lingua non conosciuta da tutti, che ha suscitato un interesse da parte delle ricerche linguistiche a partire dalla metà del XVII secolo, ma che andrebbe opportunamente valorizzata: nelle scuole, ad esempio, dove non sempre è prevista una didattica ad hoc per la disabilità uditiva”. O anche in occasione di eventi culturali. “Non è detto che una persona sorda non possa fruire di un concerto”. A febbraio, per la prima volta in 70 anni, il Festival di Sanremo, per esempio, ha lanciato questa bellissima iniziativa: “dare spazio sul palco dell’Ariston agli interpreti LIS per accompagnare il non udente durante l’ascolto, anche se attraverso un canale bidimensionale”. In quel caso, il processo traduttivo si complica: “insieme alle parole del testo l’interprete deve provare a tradurre anche le vibrazioni, la musica, le sensazioni”. Sono le premesse con cui Carmen si è approcciata al lavoro di traduzione delle fiabe. “L’Orientale mi ha dato tanto, in termini di conoscenze, adesso –  in questo momento così triste – avevo voglia di provare a restituirle qualcosa. Preparo le traduzioni di volta in volta, studiando il testo e ascoltando la registrazione del docente”. Durante il processo traduttivo, “occorre la massima concentrazione, in quel momento non ci si può permettere distrazioni, bisogna essere presenti con il corpo nel qui e ora, processare le informazioni ed entrare nella voce del relatore con il proprio corpo. Non si può pensare ad altro e bisogna eliminare il pregiudizio, poiché il filtro della propria soggettività potrebbe creare interferenze nel processo”. 
Un settore che andrebbe implementato a L’Orientale
Un settore degli studi linguistici che andrebbe implementato in un Ateneo di lingue e culture come L’Orientale. “Nel piano di studi di alcune Università vi sono dei moduli introduttivi alla LIS: sarebbe un modo per diffondere anche da noi l’importanza e la parità di tutte le minoranze linguistiche”, la proposta. Intanto, adesso Carmen lavora come assistente di volo per una compagnia straniera. “Mi sono laureata tra un volo e l’altro. Amo viaggiare e amo le lingue, è sempre bellissimo, però, unire entrambe le cose. Quando incontro a bordo persone non udenti, mi gratifica vedere lo stupore nei loro occhi quando comunico con loro attraverso i segni. Il sogno sarebbe la libera professione: in Campania sarebbe opportuno utilizzare strumenti per dare una giusta accessibilità ai sordi ed estendere il campo di apprendimento di questa lingua, che non ha uno scopo meramente comunicativo, ma è un arricchimento culturale per gli udenti. Apprendere questa lingua non solo fa sviluppare aree del cervello altrimenti inutilizzate, ma ci permette di entrare in una cultura lontana dalla nostra, che vive nella nostra comunità, proprio accanto a noi”. 
Che effetto fa a un interprete LIS guardare un collega in tv? “È sempre interessante perché ognuno ha il suo stile traduttivo. Li guardo e sono orgogliosa, perché riconosco l’utilità della loro funzione, e penso ‘vorrei essere al loro posto’”. 
 
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