Terremoto in Turchia e Siria: la parola al prof. Warner Marzocchi, docente di Geofisica e di Natural hazard forecasting alla Scuola Superiore Meridionale
Le stime ipotizzano che abbia provocato 40mila morti il terremoto – ma in realtà le scosse sono state più d’una – che ha colpito la Turchia e la Siria ad inizio febbraio. Magnitudo della prima scossa 7.8, profondità di circa 15 chilometri, il sisma si è verificato di notte ed ha messo in ginocchio una regione molto vasta, già provata da anni di guerre e conflitti. Ateneapoli ne ha parlato con il prof. Warner Marzocchi, bolognese, professore di Geofisica e di Natural hazard forecasting presso l’Università Federico II e presso la Scuola Superiore Meridionale.
Professore, ci si poteva aspettare un evento così forte in quella zona? “Sì, non è una sorpresa. L’area che è stata colpita dal sisma è stata già interessata storicamente da vari terremoti di forte entità. È una zona ad elevato rischio per la presenza della faglia sud-est anatolica, il movimento della quale è all’origine del terremoto recente”.
Ce ne saranno altri lì nei prossimi mesi? “Certamente ci vorrà del tempo per ritornare ad una fase, per così dire, di normalità. Sono molto probabili nuove scosse e, in una prima fase, potrebbero essere anch’esse di magnitudo piuttosto elevata. Con il tempo i fenomeni tenderanno ad attenuarsi”.
L’allerta tsunami
Dopo il terremoto è stata diramata in Italia un’allerta maremoto che ha determinato per qualche ora il fermo della circolazione dei treni in Puglia, in Calabria ed in Sicilia. Abbiamo corso un pericolo reale? “Il terremoto non si è verificato in mare, ma lo spostamento della faglia ha fatto sì che una parte di essa penetrasse nel mare. In teoria, poi, avrebbero potuto esserci frane sottomarine capaci di innescare uno tsunami.Per fortuna non è accaduto. Nel Mediterraneo orientale è stato misurato uno spostamento d’acqua di trenta centimetri e nulla di più. Il rischio c’era anche in Italia e per questo è scattato il primo livello di allarme. Un eventuale tsunami avrebbe raggiunto le coste italiane. La Protezione Civile ha ritenuto opportuno in via precauzionale adottare alcune misure e credo di poter dire che ha fatto bene”.
Vari filmati amatoriali girati in Turchia subito prima del sisma mostrano bagliori e lampi. Sono fenomeni correlati al sisma? “Ho visto anche io alcune immagini e credo che quei lampi fossero determinati dal collasso di alcune infrastrutture, in particolare centrali elettriche ed elettrodotti, durante la scossa di terremoto”.
Ciò che è accaduto in Turchia ed in Siria potrebbe innescare forti terremoti anche in Italia? “No, il sisma che si è verificato lì non ha alcuna correlazione con il sistema di faglie e fratture che rendono l’Italia in gran parte un territorio ad elevata sismicità”.
Le aree a rischio in Italia
Quali sono nel nostro Paese le aree più a rischio? “Tutta la zona degli Appennini, la Sicilia orientale, il Friuli. Si fa prima a dire quali sono le aree meno a rischio: la Sardegna, una parte del Piemonte, la zona costiera della Toscana. Meno a rischio, però, non vuol dire che sia impossibile che si verifichino terremoti pure lì”.
C’è una domanda che forse le avranno rivolto già molte volte, ma che inevitabilmente ritorna dopo eventi così imponenti come quello che ha devastato la Turchia e la Siria: i terremoti sono prevedibili? Esistono segnali premonitori tali da far scattare l’allarme in tempo utile ad evacuare la popolazione? “No. Al momento nessuno è in grado di prevedere l’imminenza di un sisma. Possiamo naturalmente, sulla base di ciò che è avvenuto in passato e della conoscenza sempre più approfondita e sofisticata del sottosuolo, dire quali sono le aree particolarmente esposte ai terremoti. Conosciamo le faglie, le fratture, abbiamo mappe precise, sappiamo come si muovono. Quando e perché, però, una certa faglia si attiva e scatena un terremoto resta una incognita. Non sappiamo predire il momento nel quale si passa da un rischio potenziale ben noto – come in Turchia – al terremoto. Neppure sappiamo perché, nella molteplicità dei sismi che ogni giorno si verificano in varie parti del mondo, alcuni – per fortuna una minoranza – hanno una magnitudo particolarmente elevata. Nel corso degli anni sono state avanzate diverse ipotesi circa la possibile manifestazione di segnali premonitori di un terremoto, relative per esempio a taluni gas o al comportamento delle acque nel sottosuolo. Purtroppo queste ipotesi non si sono trasformate in evidenze scientifiche. Quel che certamente possiamo dire è che, quando si verifica una sequenza ravvicinata di terremoti, un cluster, le probabilità che tra essi ce ne sia uno di elevata magnitudo aumentano. Il che potrebbe indurre ad adottare alcune precauzioni in tali evenienze”.
Il rombo del terremoto
Il 23 novembre1980 anche l’Irpinia fu colpita da un forte terremoto. C’è una registrazione dell’epoca nella quale, mentre una radio locale trasmette una musica in diretta, irrompe il boato del sisma. I terremoti hanno un suono, una voce? “Alcune frequenze di propagazione delle onde sismiche possono essere udite e percepite dall’orecchio umano. Sì, talvolta i terremoti parlano, o meglio rombano. Quando accade, però, il fenomeno è già in atto, non è un segnale predittivo della imminenza del sisma. È la manifestazione stessa del sisma”.
Esistono terremoti provocati dalle attività umane? “Sì. La tecnica di estrazione petrolifera del fracking, molto diffusa negli Stati Uniti, che consiste nell’iniettare un lubrificante nel sottosuolo, può facilitare lo scorrimento delle faglie e l’attivazione di terremoti. Non di grande intensità, a quel che oggi si conosce. In linea di massima mi sento di dire che nessuno è mai morto per un terremoto provocato dall’attività umana. Ciò non vuol dire, però, che non sia necessario valutare sempre il rapporto tra i rischi ed i benefici quando si adottano determinate tecniche di estrazione e c’è il rischio di innescare un terremoto”.
Lei è un sismologo, ma i terremoti continuano a non essere prevedibili. Non le provoca frustrazione? “Ho scelto di dedicarmi a questo settore per una fascinazione che la Natura esercita su di me anche in queste sue manifestazioni distruttive. Conoscerle, poi, capire dove sono più probabili è necessario per adottare tecniche costruttive e di riduzione del danno che permettano di gestire i fenomeni nel modo migliore possibile. Non sappiamo quando ci sarà un terremoto, ma possiamo dire quali sono le zone dove è più probabile che ce ne siano e che abbiano una forte magnitudo. Dati essenziali per adeguare gli edifici affinché possano resistere con più probabilità ad un sisma di magnitudo elevata. Aggiungo che non è detto che in futuro non saremo in grado di prevedere i terremoti. La scienza va avanti, i metodi di analisi, di osservazione anche tramite i satelliti, di elaborazione dei dati sono sempre più sofisticati. Non è una battaglia persa definitivamente”.
Prima ha parlato di prevenzione. Si fa abbastanza in Italia per costruire edifici capaci di resistere a sismi di elevata intensità? “Il discorso è complesso. Certamente l’obiettivo va perseguito e nel corso degli anni ci sono stati molti miglioramenti nelle tecniche costruttive e nelle leggi. Va anche considerato, però, che l’Italia non è la California, dove il patrimonio edilizio è molto recente. Lì, giustamente, se devono adeguare un palazzo per renderlo più resistente ai terremoti non ci pensano due volte: lo abbattono e lo ricostruiscono. In Italia abbiamo edifici che hanno secoli di storia, vincolati, di grande valore artistico. È chiaro che in una tale situazione è meno facile e richiede più sforzi applicare ovunque le più recenti tecnologie che aumentano la resistenza di un edificio ai terremoti. Va fatto, ma costa molto di più e richiede grande attenzione”.
Fabrizio Geremicca