Claudia e Dario: due ‘percorsi’ di sostenibilità
Lavorare nel settore dell’economia sostenibile: si può. Questo è quanto emerso dal Placement Day “Percorsi di sostenibilità” del 3 maggio, organizzato dall’Università Suor Orsola Benincasa per consentire agli studenti impegnati – o appena laureati – nel percorso di studio attinente, di cominciare a tracciare la rotta che li condurrà nel mondo del lavoro, dialogando e sostenendo colloqui one-to-one con aziende del settore. Da anni, infatti, sono tanti gli slogan di governi e imprese sulla svolta green, dunque è lecito chiedersi quanto sia ampio questo mercato per chi ha appena chiuso dietro di sé le porte dell’Università. Di voglia – soprattutto di mentalità – ne mostrano tanta Claudia Perrella e Dario Catania: 22 anni la prima, laureanda alla Magistrale di Economia, Management e Sostenibilità dopo la Triennale in Economia aziendale e Green economy; 36 anni il secondo, che l’8 aprile scorso è diventato dottore nello stesso percorso biennale. Due storie completamente diverse. Lei ha già maturato diverse esperienze lavorative in città, mentre lui, dopo aver girato per anni il mondo e aver scoperto l’Australia con una Triennale in Economia aziendale alla Federico II, è tornato sotto l’ombra del Vesuvio. È l’obiettivo, tuttavia, ad accomunarli: mettere a disposizione di Napoli le proprie conoscenze e il proprio vissuto per ingenerare un cambio di rotta che stenta a decollare.
Il Placement Day ha riservato una bella sorpresa a Claudia che, dopo ben dieci colloqui con altrettante aziende, è stata chiamata da Ikea per un tirocinio di sei mesi presso il settore sostenibilità, nel Digital circular Hub, “dedicato all’economia circolare, della quale sono una grande appassionata – racconta – Cercavano una figura con competenze in questo ambito e che soprattutto mostrasse di avere a cuore i temi legati al green. Lo stage, infatti, è finalizzato a capire quale sia il fine vita di un prodotto che torna indietro”. Affinché la mentalità cambi, la svolta verde deve essere innanzitutto individuale; nel caso di Claudia la spinta decisiva è arrivata con il varo dell’Agenda 2030, un piano d’azione con obiettivi di sviluppo sostenibile declinati in 17 obiettivi, sottoscritto nel 2015 dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite. “All’indomani del diploma è come se mi fossi sentita chiamata in causa. Man mano che ho proseguito con gli studi universitari ho capito che ognuno nel proprio piccolo può essere parte attiva nell’aiutare il pianeta”. Una scelta che per Claudia ha comportato anche qualche rischio, perché nel 2019 “sono stata assunta con un contratto a tempo indeterminato come figura economico-amministrativa in una scuola, ma non era la mia strada. Mi sono licenziata e ho ripreso la via della Green Economy”. Una via che non porta a Roma, né tantomeno all’estero, ma resta ancorata ai cartelli stradali campani e partenopei: “Io voglio restare qui, desidero che Napoli diventi una città sostenibile. E si può raggiungere l’obiettivo solo con un rovesciamento totale di prospettiva e cultura. Penso sia possibile, perché il 3 maggio mi sono resa conto che le aziende stanno iniziando a puntare per davvero sullo sviluppo sostenibile. Anche se con un po’ di ritardo. Ricordo ancora il mio ultimo stage presso un’impresa che trattava pelli. Loro le vedevano come materia prima, io come uno scarto che diventa materia rigenerata”.Bisogna girare velocemente Maps, invece, per comprendere la genesi del percorso di Dario, che durante il Placement Day ha sostenuto tre colloqui, due dei quali con Temi e Rvm, entrambe impegnate nell’economia sostenibile. Lambire idealmente le coste dell’Australia e del Messico, dove – soprattutto nel primo caso – il 36enne ha scoperto un divario di 30 anni quanto a sostenibilità. Un’illuminazione, che “ha funto da vero paradigma della società per me. A tal punto che, tornato qui, ho fondato un’associazione che si chiama n’SeaYet, nata con un gioco social: raccogliere tre pezzi di plastica al ritorno dal mare. Attualmente siamo in 12 come soci fondatori, 23 soci in generale e circa 80 volontari. Il nostro obiettivo è fare educazione ambientale ed economia circolare attraverso piantumazione di alberi, riciclo di materiali”. L’incontro con il percorso di studi del Suor Orsola, grazie ad una pubblicità vista alla banchina della metropolitana in attesa del treno: “Mi ha incuriosito a tal punto che mi sono detto ci provo, riprendo i libri in mano a 34 anni.
Ora mi piacerebbe lavorare in un’azienda che punti davvero sulla sostenibilità. A dispetto di quanto si possa pensare, questa può aiutare le imprese a guadagnare, per esempio attraverso la ricerca di materiali più sostenibili da inserire nella catena di produzione”. Insomma, per Dario basterebbe copiare dall’estero approfittando del paradosso tutto italiano: “proprio per l’assenza di una vera mentalità green – le sole iniziative individuali non bastano – ci sono un mare di opportunità sommerse. Serve fare come in una municipalità di Sidney, dove il cittadino può informarsi su bonus e iniziative relative a fotovoltaico, compostaggio, per essere poi indirizzato verso le aziende del territorio. A livello imprenditoriale, da noi, mancano figure che facciano informazione e creino reti”. Come la collega, Dario è tornato a Napoli cosciente di dovere e volere far qualcosa affinché la mentalità cambi. Per esempio, sul problema tutto partenopeo di traffico e spazi: “Abbasserei i pedaggi delle tangenziali e una parte li indirizzerei verso le casse comunali, a loro volta obbligate ad investire queste somme in parcheggi pubblici, piste ciclabili”. Le idee, le energie, le così tanto abusate competenze, quindi, ci sono. Cos’è che manca? Questi sono Claudia e Dario. Due semplici testimonianze che rendono conto di un fatto: la fuga, spesso, non è dei cervelli, ma della classe dirigente che dovrebbe creare le condizioni per restare.
Claudio Tranchino