Accademica dei Lincei: onorificenza per la traduttrice dei Nobel scandinavi

La prof.ssa Maria Cristina Lombardi, docente di Lingue e Letterature Nordiche a L’Orientale, riceverà il riconoscimento l’11 novembre

L’ultimo tassello in ordine di tempo di una carriera fulgida è la nomina a socia dell’Accademia dei Lincei per la sezione “Poesia e critica”. Un riconoscimento per lo sguardo appassionato rivolto sempre ai versi e alla prosa scandinavi, alla loro fine traduzione in italiano, che le ha consentito di affermarsi, sul panorama internazionale, come ‘il ponte linguistico’ tra il Belpaese e personalità come, tra gli altri, i Premio Nobel Tomas Tranströmer e Harry Martinson. Nata a Pistoia e cresciuta a Firenze, poi la spola tra Svezia e Finlandia fino a Napoli, dove è titolare della cattedra di Lingue e Letterature Nordiche a L’Orientale. È la prof.ssa Maria Cristina Lombardi che, ad Ateneapoli, racconta di sé: della nomina ricevuta; di mito, teatro e traduzione come stelle polari di una vita dedicata alla cultura nordica. Sono molto orgogliosa dell’onorificenza, non me l’aspettavo – dice – tra l’altro, l’11 novembre ci sarà il conferimento a Roma, dove avrà luogo una riunione dei soci per tutti i settori. Devo anche dire che non conoscevo di persona il prof. Carlo Ossola, cioè colui che mi ha nominata. Parliamo di un italianista di grandissima fama, è stato ordinario in tante Università. Quando ho ricevuto la sua telefonata, a giugno, mi sono emozionata molto”.

Partendo da questo riconoscimento e andando a ritroso, quali sono i passaggi chiave della sua carriera?

“Se ripenso agli inizi, sicuramente i primi contatti con il mondo nordico. Quello svedese in particolare, ma anche quello islandese. La mia tesi di dottorato verteva su poesie medievali islandesi, poi mi sono occupata di letteratura e poesia vichinga, che contengono i miti, le storie degli dei pagani come Odino, Thor, diventati poi popolari. Ho sempre trovato quell’orizzonte magico molto affascinante. E vedo che attrae tantissimo anche gli studenti. Un altro momento che potremmo definire di svolta riguarda il periodo in cui ho svolto il dottorato a Stoccolma. Le università sempre molto organizzate, strutture architettoniche bellissime. Il tutto, immerso nei boschi e nel verde, a tal punto che spesso dalla finestra si potevano osservare gli animali. I Paesi nordici sono animati da un grande amore per la natura”.

La sua biografia racconta della Toscana, dov’è nata e cresciuta, della Scandinavia e di Napoli. Mondi completamente opposti. Ci racconta di questo cammino?

A Napoli sono arrivata come ricercatrice di filologia germanica nel 2002, dopo anni di dottorato un po’ in Svezia un po’ in Italia. E Napoli, devo dire, la amo molto, mi sono sempre trovata bene, innanzitutto con i colleghi e gli studenti, ma anche con la città stessa. La trovo una città cosmopolita e per di più ha il mare, che mi piace moltissimo. Inoltre, sempre qui, porto avanti tanti progetti con autori e attori teatrali, siamo stati anche a Procida, capitale della Cultura. Mi sembra che Napoli renda il teatro, mia grande passione, ancora più affascinante. Penso alle prove fatte a Palazzo Liguoro ai Vergini, al Lanificio”.

Tradurre: come per la musica, “bisogna avere orecchio”

Passando alla traduzione, come si riesce, in fase di lavoro, a non condizionare il messaggio contenuto nell’opera? È possibile?

“Servirebbe una lezione intera per rispondere a questa bella domanda. Intanto la traduzione, a seconda che sia prosa, poesia o altro, richiede ogni volta un diverso approccio. Tuttavia, la cosa fondamentale che un traduttore deve avere è la conoscenza dell’autore, della cultura dalla quale proviene, ma anche della sua vita e delle sue esperienze. Io sono stata fortunata perché ho avuto la possibilità di conoscere Tranströmer. Ho visto casa sua, gli oggetti, il pianoforte. Ho potuto capire e leggere i suoi appunti. La poesia spesso è concentrazione, lingua metaforica, di conseguenza, se si conosce il poeta, si può capire meglio ciò che scrive e la traduzione ne trae beneficio. Poi è chiaro che è importante avere sensibilità linguistica anche per l’italiano. Per scegliere l’aggettivo giusto, rappresentare bene le sfumature. È un po’ come per la musica, bisogna avere orecchio”.

Quali sono gli autori ai quali è più legata?

“Beh, senza dubbio alle poesie di Tranströmer, è naturale. Quando si arriva a tradurre un Premio Nobel, è il massimo della carriera. Innanzitutto è stato importante farlo conoscere in Italia, e poi in quel periodo sono stata invitata in tutto il Paese, è stata un’esperienza bellissima. Ma cito anche un altro autore svedese, ancora vivente, Jesper Svenbro. Ho tradotto una poesia che in italiano ho chiamato ‘Apollo Lappone’. Lui è anche un grecista e in questi versi ha immaginato il dio Apollo nel mondo nordico. Ne è venuto fuori un qualcosa che mi è sempre piaciuto molto. Cioè che, anche se appartenenti alla cultura classica, possiamo rintracciare gli dei, i loro principi e ciò che rappresentano ovunque, anche nel mondo nordico”.

Dove si vede in futuro oltre il lavoro?

“Spero di rimanere in contatto con Napoli sempre. Mi vedo a camminare sul lungomare, con qualche puntatina a Ischia e Procida. Sarò sempre impegnata all’Accademia, naturalmente, perché si organizzano costantemente convegni. Insomma, le mie passioni non le abbandonerò mai. E poi c’è il nord, dove magari passerò periodi a tradurre”.

Un piccolo regalo per i lettori di Ateneapoli. Alcuni suoi versi tradotti.

“Ce ne sono alcuni che si riferiscono a Dio, sono gli ultimi 6 versi di una poesia. Recitano così: ‘ma egli è anche immutabile, per questo è raro osservarlo qui. Incrocia da un lato il cammino del corteo, come il vascello attraversa la nebbia, senza che la nebbia lo noti. Silenzio. La debole luce della lanterna è il segnale’. È una poesia che parla di Dio come lo intendeva Tranströmer (autore dei versi, ndr), cioè qualcosa che c’è ma senza che ci sia alcun riferimento ad una religione in particolare. Si rintraccia una spirituale divina, ma non si può definire. Il segnale è la nebbia. Mi piace molto perché è un concetto di religione e spiritualità molto moderno, si sente qualcosa che va al di là del mondo materiale”.

Claudio Tranchino

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