A ‘Milano Moda’ sfila l’abito no gender di Francesca Barberio

Il percorso di una neo laureata in Design per l’innovazione

“È stata una esperienza formativa e stimolante dal punto di vista lavorativo. Mi ha permesso di conoscere la realtà aziendale. Ho avuto a che fare con laboratori come Lessico Familiare e D House”:Francesca Barberio, Laurea Magistrale conseguita circa un anno fa in Design per l’innovazione alla Vanvitelli, Triennale in Scienze della moda e del costume all’Università La Sapienza di Roma, racconta attraverso quale percorso ha raggiunto l’obiettivo di far sfilare un abito di sua creazione a Milano Moda Graduate, che ha aperto l’edizione di Milano Moda. “Dopo la tesi di laurea il prof. Liberti mi ha proposto di partecipare al concorso nazionale per la sezione YKK,  azienda internazionale che produce zip (cerniere lampo) per i più grandi marchi di moda. Sono stata selezionata tra i dieci migliori designer in Italia dopo una valutazione di una giuria della quale era parte, tra gli altri, il presidente di Camera Moda. A maggio c’è stato un primo incontro, al quale è seguita una sorta di formazione di Camera Moda. Si è creata l’opportunità di attivare la formazione non solo rispetto alle zip ma di scoprire altre realtà aziendali, di partecipare a workshop con comunicatori di moda e di scoprire la realtà interna dell’associazione”. Da maggio a settembre, dunque, Barberio ha vissuto in uno dei centri della moda italiana ed in quel contesto ha lavorato alla realizzazione di una sua creazione. “Ho disegnato e prodotto – spiega – un abito no gender, un tailleur, partendo dal concetto di recupero di capi vintage provenienti da stock invenduti. L’ho definito Reborn (rinato in inglese) per dare il senso della mia creazione: una seconda vita ed una seconda speranza a qualcosa che poteva essere dimenticato. Il tutto rientra in un discorso di sostenibilità che è la nuova frontiera della moda ed è essenziale per evitare gli sprechi e diminuire la produzione dei rifiuti”. Fa una parentesi: “Io sono molto appassionata di moda vintage ed il mio progetto di tesi verteva su questo. Moda ed identità e come, attraverso l’abito, ciascuno rappresenta la sua identità”. Una delle peculiarità di Reborn “è la tecnologia del ricamo di filo in poliestere dipinto con una macchina molto precisa e sostenibile che calibra tutto sul capo. Dopo un sondaggio proposto con analisi di mercato sui consumatori, i ricami più votati sono stati posti nell’abito”. Un elemento sul quale concentrarsi: “la presenza delle zip. L’abito ne ha una ventina. Si può portare a gilet, a giacca lunga o corta, a cappotto. Anche la parte interna del pantalone è trasformabile e versatile. Una necessità per rispettare l’idea del no gender”. Quanto al colore: “ho scelto il rosa per uscire dai canoni stereotipati”. Le cerniere lampo, prosegue, “non sono state tradizionalmente cucite, ma termosaldate tramite una particolare macchina. Sono frutto del recupero di pantaloni non venduti”. Reborn – si diceva – ha sfilato a Milano. “Per ora – avverte però Barberio – non partirà una produzione. È un unico capo e si rivolge ad un target maschile e femminile tra i 18 ed i 35 anni. Spero che sia apprezzato e possa essere notato da qualche azienda di moda o, magari, mi piacerebbe avviare una mia produzione”. Barberio, che ha 25 anni ed è calabrese, a Milano sta lavorando nella gestione dello show room e del set fotografico e nella parte di styling per alcuni grandi nomi della moda.Ho un contratto, non sono free lance. Mi piacerebbe in ogni caso intraprendere un’attività mia e mettere a frutto al meglio tutto ciò per cui ho studiato”.

Una parentesi sull’esperienza universitaria alla Vanvitelli. A causa del Covid, sottolinea, “non ho potuto viverla pienamente. È stato qualcosa di totalmente nuovo perché non avevo mai frequentato online. I risultati sono arrivati, in ogni caso, perché mi sono laureata con il massimo dei voti. L’attività pratica inevitabilmente ha risentito della pandemia”. Ai nuovi iscritti dice: “Serve molta determinazione, ci sono tanti ostacoli da dover superare. Si impara all’Università, ma non solo lì. Non è un Corso di Laurea teorico, bisogna sempre avere la mente attiva, essere curiosi, osservare quel che accade fuori dalle aule per essere attenti alle tendenze. Curiosare sui social ed in giro, partecipare a mostre per prendere ispirazione dalla strada è fondamentale. L’ispirazione si può trovare ovunque”. L’esame più bello? “Senza alcun dubbio quello di tesi: Fashion ecodesign. Quello che più l’ha fatta penare? “Era un esame di ingegneria, Tecnologia dei materiali mi pare si chiamasse. L’ho trovato davvero ostico. Poi, però, ho superato l’ostacolo e sono andata avanti”.

L’ultima domanda, inevitabilmente, è su Milano. È indispensabile trasferirsi nel capoluogo lombardo per lavorare nel campo della moda con buone opportunità? “Certamente. Milano offre tanto, ma credo che anche il distretto campano possa proporre discrete opportunità. Basta avere tanta volontà e saper cercare. Le collaborazioni dell’Ateneo con il Cis sono importanti anche per dare agli studenti ed ai laureati occasioni di vivere esperienze in azienda. Poi, ovviamente, ognuno ha ambizioni diverse e si pone obiettivi differenti da raggiungere. Io volevo scoprire nuove realtà e certamente Milano è il meglio. Credo, però, che qualunque esperienza si viva sia formativa, perché anche la piccola azienda può dare soddisfazioni”.

- Advertisement -

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here





Articoli Correlati