Donato Giovannelli, il biologo che si immerge negli abissi più reconditi e sconosciuti dell’Oceano Pacifico

Docente alla Federico II, ha partecipato, con  due dottorandi, ad una missione scientifica a bordo del sottomarino Alvin

Questa storia avrebbe certamente ispirato Jules Verne, il romanziere francese che nella seconda metà del diciannovesimo secolo scrisse il libro di fantascienza ‘Ventimila leghe sotto i mari’. Il protagonista, o almeno uno dei protagonisti, è un trentanovenne professore ordinario di Microbiologia presso il Dipartimento di Biologia della Federico II. Si chiama Donato Giovannelli e a dicembre, a bordo del sottomarino Alvin (sei metri di lunghezza, nei quali lo spazio abitabile è ricavato in una sfera di titanio di due metri), è sceso fino negli abissi più reconditi e sconosciuti dell’Oceano Pacifico, raggiungendo la profondità massima di 2560 metri sotto il pelo dell’acqua. Un viaggio, il suo, in un universo alieno, paragonabile per certi aspetti ad una esplorazione di un altro pianeta, che ha realizzato non per spirito di avventura o gusto delle imprese estreme, ma per aggiungere altri tasselli alla ricerca scientifica che da tempo studiosi di vari Paesi portano avanti su ambienti tanto particolari quanto cruciali per interpretare il grande libro della vita sulla Terra.

“Sulla nave oceanografica Atlantis – racconta il docente federiciano – abbiamo raggiunto un punto al largo del Messico, perpendicolare alla dorsale oceanica del Pacifico. Siamo stati in mare trentadue giorni ed ho partecipato ad una ventina di immersioni a 2500 metri di profondità. Non ero l’unico federiciano, perché hanno vissuto con me questa straordinaria esperienza due dottorandi: Martina Cascone e Matteo Selci. La spedizione oceanografica era finanziata dalla National Science Foundation degli Stati Uniti, nell’ambito di un progetto collaborativo tra Rutgers University, West Washington College e Woods Hole Oceanographic Institution. Come è il mondo lì sotto? A livello fisico non occorre nessuna preparazione particolare per arrivare con il sommergibile fino a quelle profondità. Certo è, però, che le sensazioni sono molto forti. Dopo una ora e mezza di discesa ti ritrovi a pensare che ti sovrasta una colonna d’acqua di due chilometri e mezzo e constati che sei in un mondo silenzioso, buio, dove i pesci e tutto ciò che osservi si muove con molta calma. Vedi una distesa di lava di basalto nera, camini alti anche 15 o 20 metri che immettono in oceano acqua a 350 – 370 gradi ed animali dall’aspetto alieno che crescono attorno a questi camini”.

“È come andare su un altro pianeta”

Un viaggio affascinante, ma per certi aspetti anche inquietante. È come andare su un altro pianeta – conferma il docente – e la cosa più strana è che ti ritrovi lì nel sottomarino mentre in una pausa del tuo lavoro bevi un caffè e mangi un panino mentre osservi un mondo ed uno scenario alieno. Accade di provare paura? “Alcuni si preoccupano. Ma la realtà delle cose è che Alvin è il primo sommergibile ad alta profondità che sia stato mai costruito. Ammodernato durante il Covid, ha compiuto 5143 immersioni e dal 1964 ha lavorato in maniera continua. Ha recuperato una bomba ad idrogeno al largo della Spagna, per esempio. Ha navigato attorno al relitto del Titanic. Ha scoperto le sorgenti idrotermali negli anni Settanta del secolo scorso. Ha fatto, insomma, la storia di questo tipo di esplorazioni. Altra cosa da dire è che è attrezzato per resistere tre giorni a quelle profondità. A bordo ci sono razioni alimentari, coperte, riserve di ossigeno ed un sistema che elimina l’anidride carbonica. Pausa, poi aggiunge: “Vero è che lì sotto nessuno ti può venire a prendere in tempi brevi. Solo cinque Paesi al mondo hanno sommergibili per raggiungere le profondità nelle quali abbiamo svolto l’attività di ricerca, ma erano tutti molto lontani. Il fatto che nessuno possa venirti a prendere, se ci ragioni, suscita una certa apprensione”. Ogni immersione è durata circa nove ore. “Alvin lasciava il ponte della nave alle otto del mattino e tornava in superficie alle cinque o alle sei di pomeriggio. A bordo c’erano tre persone: il pilota e due ricercatori”.  Due chilometri e mezzo sotto il livello del mare, la pressione è di 250 chili per ogni centimetro di superficie, pari a 250 atmosfere. La temperatura dell’acqua varia tra uno e due gradi. Nel sommergibile fa freddo. Bisogna coprirsi come quando in inverno in strada ci sono sei o sette gradi. Anche questa è una sensazione molto strana, perché partivamo dai 37 gradi di temperatura dell’aria sul ponte della nave. A bordo maglioni e felpe non dovevano mai mancare”.

Alvinella Pompeiana, un verme che vive  fino a 80 gradi

Cosa cercavano il docente della Federico II e gli altri scienziati, perché tramite le due sofisticate braccia meccaniche di Alvin e le pompe prelevavano campioni di sedimento e di acqua? “Si dice spesso – spiega il biologo – che i micronutrienti sono importanti per la specie umana. Lo stesso discorso vale per l’oceano. Le fioriture di alghe, per esempio, sono limitate dalla quantità di ferro che c’è in mare. Ebbene, in quella zona dell’oceano ed a quelle profondità esistono e noi le studiamo sorgenti marine che immettono grandi quantità di metalli necessari per il mare. Tutta l’acqua del mondo ogni 10.000 anni passa per una di queste sorgenti, le quali continuano a pompare nutrienti. C’è di più: una teoria delle origini della vita sul nostro Pianeta ipotizza che essa sia nata proprio in questi ambienti profondi. Alcuni scienziati ritengono, inoltre, che camini idrotermali simili possano sostenere la vita in altri pianeti, ad esempio su Saturno. Abbiamo evidenza di attività idrotermale lì”. Come nascono questi camini abissali e cosa sono? “La dorsale oceanica – sintetizza Giovannelli – è il bordo di due placche oceaniche che si allontanano di tre o quattro centimetri all’anno. È il punto dove il pianeta cresce molto velocemente. L’acqua dell’oceano trova fratture tra le placche e cola in profondità, fino ai margini delle medesime placche. Lì incontra calore, perché trova magma ed ambienti vulcanici. Viene riscaldata, dilava elementi chimici presenti nelle rocce e risale. Si formano, dunque, queste sorgenti idrotermali profonde, che sostengono una sorta di foresta con quella che i microbiologi chiamano chemiosintesi, ovvero una specie di fotosintesi fatta in assenza di luce. Gli animali presenti in queste zone molto spesso vivono in simbiosi con alcuni batteri che permettono loro di sopravvivere alle alte temperature e ai composti chimici rilasciati dall’attività vulcanica, che sono spesso tossici”. C’è una specie in particolare che ha un posto molto speciale nel cuore del biologo federiciano. “Forse sorprenderà chi legge – dice – ma è un verme, precisamente un polichete. Si chiama Alvinella Pompeiana e magari il richiamo a Pompei avrà contribuito a rendermela particolarmente cara. Certo è che quando fu scoperta sono stati riscritti i libri di biologia. È l’unico animale che conosciamo che riesce a vivere fino a 80 gradi centigradi. Se ne sta sepolto dalle ceneri ed è ricoperto di batteri bianchi. Si trova solo nelle zone di frattura come quella che abbiamo esplorato a dicembre. Trae nutrimento, come un altro verme scoperto più o meno nello stesso periodo, che si chiama Riftia ed è più lungo, perché arriva fino a 180 centimetri, dai batteri simbiotici che ha con sé. Fino alla scoperta di queste specie e delle sorgenti termali profonde si pensava che l’unico modo per produrre zucchero dal carbonio fosse la fotosintesi delle piante e che, dunque, si potesse costruire un ecosistema solo con le piante in superficie. Dopo, però, si è capito che la biomassa può essere sostenuta anche da questa forma di energia che noi definiamo oscura”. Prosegue: “Ci si chiede spesso quale sia il motivo di impiegare uomini nelle esplorazioni quando si potrebbero mandare telecamere e robot. Ebbene, la ragione è che dal vivo hai una prospettiva completamente differente. Osservi quanto sia grande e vasta e misteriosa la profondità oceanica e capisci che non c’è alternativa, che l’uomo deve essere presente per capire fino in fondo le cose”.

Fabrizio Geremicca

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