“Questo sport ha tirato fuori il meglio di me”. Judo: cintura nera per Mattia, Lorenzo e Danilo

Quante volte, nel linguaggio comune, abbiamo sentito o usato l’espressione ‘cintura nera’ per indicare che, in una determinata attività, siamo proprio degli esperti, dei veri maestri? Nel mondo delle arti marziali, da cui questa espressione proviene, in realtà non è proprio così. Pur essendo la massima cintura conseguibile, è solo “un punto a cui arrivare per andare oltre”. Lo hanno raccontato Mattia Castagna, Lorenzo Parziale e suo fratello Danilo, atleti del CUS Napoli che, il 14 gennaio, hanno coronato con la più alta cintura conseguibile una passione intrapresa insieme fin da piccolissimi.
Superato con successo l’esame finale, dove i tre ragazzi hanno dimostrato le loro competenze tecniche e teoriche, sono stati poi accolti nel dojo dove, da sempre, si allenano con il Maestro Massimo Parlati, definito da tutti e tre quasi come un padre, che ha allacciato loro le cinture nere sulle note degli applausi di amici, familiari e di tutti i compagni di allenamento.
Proprio Parlati ha trasmesso loro l’idea che la cintura nera “non sia un traguardo, ma una nuova partenza”, come riporta Mattia. Chi diventa cintura nera si impegna a trasmettere le tecniche e i valori del judo agli altri e può, infatti, diventare maestro o giudice di gara: prospettive che entusiasmano tutti e tre i judoka. “Salendo di cintura, mi allenavo anche con ragazzi più inesperti e ho iniziato a mettermi nei loro panni e a pensare che, come qualcuno aveva insegnato a me, anche io dovevo essere paziente con loro”, continua Mattia, studente di Servizio Sociale alla Federico II.
Proprio grazie al suo sport ha scoperto “il piacere di aiutare gli altri”: qualcosa che, probabilmente, risiedeva già dentro di lui ma che, senza il judo, “forse non sarebbe mai venuta fuori: questo sport ha tirato fuori il meglio di me e vorrei, un giorno, poter diventare per qualcuno una figura di riferimento, come il Maestro Massimo lo è stato per me”. Da qui la scelta del percorso di studi e di fare dell’aiuto al prossimo la sua professione, con il sogno che lavoro e sport possano viaggiare di pari passo: “Se con la carriera potrò essere d’aiuto dal punto di vista sociale, legale ed emotivo, spero di poter fare altrettanto anche come preparatore”.

Sport e università “due facce della stessa medaglia”

“Conciliare sport e università non è sempre facile”, rivela il compagno Danilo: da sempre appassionato alla matematica e al mondo delle nuove tecnologie, frequenta Ingegneria dell’automazione alla Federico II, con il sogno di lavorare all’estero, portando però sempre con sé la passione per il judo: “mi ha aiutato tanto ad affrontare gli studi. A tre anni, quando ho iniziato, lo vedevo come un gioco. Pian piano, ho assunto consapevolezza dei valori su cui si fonda: resilienza, gestione dello stress, determinazione, perseveranza, disciplina”.
L’errore, a suo dire, è vedere questi due mondi, lo sport e l’università, in contrapposizione fra loro quando, invece, “sono due facce della stessa medaglia: lo sport può aiutare molto nello studio, mentre l’università mi ha aiutato ad essere più analitico e ragionare anche sul tatami”. Certo, qualche momento di sconforto non è mancato, ma è proprio qui che, ancora una volta, la figura del Maestro Parlati è stata un punto di riferimento: “è sempre riuscito ad aiutarmi e a darmi la forza per andare avanti, anche all’università: mi ha spronato a continuare e a non perdere di vista gli obiettivi, ma sempre dando il giusto peso alle cose. Tutto quello che consideriamo importante ci esorta a coltivarlo”. Per suo fratello Lorenzo, invece, l’Università è stata proprio ciò che gli ha permesso di riprendere una passione abbandonata negli anni del liceo a causa dello studio.
Oggi frequenta Ingegneria gestionale delle costruzioni alla Federico II e il suo sogno è realizzare strade, ponti, edifici perché, sospira, “In Italia servirebbe molto”. Una disciplina, l’ingegneria, che richiede “un impegno ed una disciplina che rispecchiano molto il judo. Questo sport ci ha sempre insegnato il senso del rispetto verso gli altri, che siano insegnanti o compagni, e continuerò ad applicarlo sia nella mia vita personale che all’università e, un giorno, nella mia professione”.
Accanto alle costruzioni, c’è il desiderio di aprire una sua palestra di judo. Insomma, dopo anni di fermo è ben deciso a non appendere il judogi al chiodo: “Sono passati diciassette anni da quando ho iniziato e la cerimonia del passaggio della cintura è stato per me un momento davvero intenso. Ho provato una soddisfazione immensa. Molti ragazzi mollano dopo la cintura nera, anche un po’ per stanchezza, ma questa scusa la buttiamo via”.
Giulia Cioffi
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Ateneapoli – n. 2 – 2025 – Pagina 35

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