200 partecipanti, un’unica certezza: “un singolo voto può fare la differenza

Il Referendum Costituzionale del 4 dicembre è alle porte. In occasione della tornata elettorale, l’Università ritaglia uno spazio destinato al confronto e al dibattito critico tra studenti e docenti che saranno chiamati a rispondere sul quesito referendario. “È bene arrivare informati alla data del voto. Questa più che mai è una tematica che ci riguarda tutti da vicino. Ed è giusto che in qualità di studenti universitari ci sia concessa l’opportunità di discuterne insieme in termini propositivi”, la testimonianza di Nicole, studentessa approdata da pochi mesi a L’Orientale, nella cui voce si rispecchia un’ampia platea di giovani. Circa 200 coloro che hanno preso parte all’assemblea nel pomeriggio del 10 novembre presso l’Aula T1 di Palazzo del Mediterraneo in vista della quale, su disposizione della Rettrice, l’attività didattica è stata sospesa. Frase all’ordine del giorno: “ascoltarsi”, come preannuncia il moderatore Marco Di Domenico, rappresentante degli studenti in seno al Consiglio di Amministrazione. A ognuno è stato permesso di dire la propria e di avvicendarsi nello scambio di idee rispettando i turni di parola. Tuttavia, divisi al bivio i pro e contro di chi esprime un parere confermativo, e viceversa, in materia di Riforma. Ma in cosa consiste il Disegno di Legge proposto? Questa la ragione per la quale molti partecipanti affermano di aver aderito all’incontro. “Formazione e informazione: la double mission dell’Assemblea. Gli argomenti sono complessi ed eterogenei, alcuni dei punti essenziali poco evidenti. Dire, ad esempio, che il Referendum è un avvenimento storico perché dà la possibilità di abbattere i costi della politica è un’argomentazione alta. Siamo qui per fare chiarezza”, ribadisce Marco. Che ci tiene a precisare dal canto suo: “Politica non è sinonimo di costo, bensì di qualità del funzionamento”. Se l’oggetto della revisione costituzionale è cosa generalmente nota, resta all’oscuro di tanti il contenuto esteso della Carta che gli elettori dovranno approvare o respingere insieme agli effettivi cambiamenti procedurali che implicano le modifiche ai 47 articoli interessati. “Non tutti siamo costituzionalisti. Riscontriamo una confusione di massa sui temi della campagna referendaria. A noi il compito di informarci bene anche per informare gli altri. L’assemblea è un momento di arricchimento, riflessione. Non un campo di battaglia”,
le parole di Cristiana Ruocco, laureanda in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali. I dubbi più persistenti si fanno sentire intorno a un singolo interrogativo: cosa succede se vince il Sì? “Una buona fetta degli aventi diritto al voto partecipa al dibattito solo indirettamente, ascolta i duelli che passano alla tv e crede di aver maturato un partito valido. E invece confonde i contenuti della Riforma con il futuro del governo Renzi. Bisogna prendere con le pinze i discorsi mediatici”. Tale è l’opinione di Alessandro Affinito, che trova appoggio nelle impressioni a caldo di un uditorio condiscendente. Tutte le questioni meritano un’analisi più approfondita, perché ne va della trasformazione radicale della Costituzione. “Segnare una crocetta su una delle due opzioni comporta un’enorme responsabilità – riprende Nicole – e bisogna poter assolvere a questo dovere in assoluta libertà e consapevolezza”.
Governabilità contro Rappresentanza
Interessarsi, discutere e ascoltare sono le prime tappe per avvicinarsi con cognizione all’istante decisivo, ossia “rispolverare la tessera elettorale e prendere una posizione netta. E farlo perché un singolo voto può fare la differenza”. Non è infatti necessario il raggiungimento del quorum: “Semplicemente, vincerà l’opzione che avrà ottenuto più consensi a prescindere dal numero di votanti”, prosegue Marco prima di cedere la parola ai relatori. Il primo, Matteo Giardiello, parte attiva del centro sociale ‘Ex Opg – Je So’ Pazzo’ di Napoli, va subito al nocciolo della questione: “un No popolare, dal basso” – scardinando le motivazioni capitali portate avanti dal Comitato per il Sì. “Semplificazione? Una Riforma che non semplifica”, afferma lo studente pronunciandosi in merito a uno dei punti più innovativi: il superamento del bicameralismo paritario. “Anziché superarlo, la Riforma lo complica e crea conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni, Camera e nuovo Senato in un caos di leggi in controtendenza con le aspettative di velocizzazione. Maggiore partecipazione? Tutto il contrario. La tanto discussa riduzione dei costi, stimata intorno a 57,7 milioni di euro, consiste in pratica in 1 euro a cittadino. E io per così poco la mia Costituzione non la svendo. È vero: non è perfetta, ma solo perché non è applicata veramente”. Una Riforma di cui si vanno a contestare le basi di legittimità, “dato che è il frutto di un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale”, la puntualizzazione netta di Lucia Amorosi, membro dell’Ex Opg, che sviscera nel suo discorso altri fattori di riflessione. “Dimezzare i costi è una buona premessa, ma in questo caso si tratterebbe solo del 20%. Soluzioni incisive sono, invece, decurtare gli stipendi dei parlamentari e le spese militari. In più, le modalità di elezione di questo Senato drasticamente ridimensionato restano poco chiare: senatori non più eletti direttamente dai cittadini, ma scelti tra consiglieri regionali e sindaci. Per non parlare delle Autonomie locali e regionali, sostanzialmente subordinate allo Stato stando alla revisione del titolo V della II parte del Dettato costituzionale”. Sul versante opposto si erge solitario lo studente Ivan De Vita: “Consiglio a tutti di leggere autonomamente le opportune modifiche e scaricare il testo della Riforma. Perché non è mai stata pensata prima d’ora? Per la paura di derive autoritarie dopo il ventennio fascista. Votare Sì vuol dire un salto di qualità per l’assetto politico italiano, il suo lento processo legislativo, e maggiore stabilità in un Paese che ha visto 63 governi susseguirsi negli ultimi 70 anni. Dobbiamo metterci al pari con altre nazioni europee”.
Il prof. Herman, un punto di vista giuridico
A fornire una chiara lettura imparziale, dal piano teorico a quello operativo, ci pensa il prof. Carlos Ernesto Herman Rodriguez, docente a contratto di Diritto Pubblico, esplicitando un preambolo: “Quando il diritto costituzionale è troppo vicino alla politica ne risente fortemente. Il voto al Referendum non è politicizzato, partitico, anzi tocca questioni tecniche ben precise che orienteranno il futuro della macchina politico-istituzionale in questo Paese”. Tra le faccende su cui il giurista insiste, figura l’abolizione del CNEL, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. “Un Organo presentato come misura per contenere i costi della politica, che però non ha mai funzionato, superfluo dichiararne la fine adesso”. Altre considerazioni riesaminano la riduzione del numero dei parlamentari: “una mezza
verità perché riguarda solo i senatori, dato che si vuole fare di una sola Camera la sede politica per eccellenza”. Su 95 senatori, 5 saranno eletti dal Presidente della Repubblica e decadranno alla fine del suo mandato. “Questo determina inevitabilmente alterazioni degli equilibri della forma di governo che si ripercuotono poi su quella di Stato. Le costituzioni si possono riformare, certo, ma non in modo surrettizio”. Dal dopoguerra in poi, la capacità di dare vita alle leggi è estesa a più soggetti, tra cui il popolo. “Ma immettendo nuovi strumenti di partecipazione – il Referendum propositivo ne è un caso – e forme di procedimento legislativo che ‘costringono’ il parlamento a fare ciò che dice il governo, in qualche modo si depotenziano le altre categorie”. Ebbene, i problemi del sistema politico italiano sono quelli che fermentano anche in altri Paesi, “ma non tutti hanno riveduto la propria Costituzione. Sta a noi chiederci se il problema sia il testo, dunque un malessere giuridico, oppure se sia responsabile la crisi della classe politica, manifesta da circa 30 anni”. In che modo valutarlo? Leggendo. “9000 sono le parole della Costituzione. Di queste solo 70 sono ‘tecniche’, ma sono quelle che siamo già in grado di capire”, annullamento, abrogazione, e così via. Dire addio al bicameralismo perfetto significa per alcuni snaturare le due Camere, ma non è questo il fulcro reale, “perché solo il 20% delle leggi subisce la navetta parlamentare. La verità è che le Costituzioni più semplici sono quelle che funzionano meglio e durano di più”.
In Aula prevale il ‘No’
Intanto, la discussione continua e la maggioranza degli studenti propende per il No alla Riforma. “Oggi, venendo in aula, avevo paura di sentir parlare solo i sostenitori del No. E invece hanno avuto voce anche quelli del Comitato opposto. Ciononostante, il loro discorso non era sostanziato da alcuna analisi. Quindi, pur avendo idee poco definite, il Sì non mi ha convinto”, sostiene Delia Angelini. Una differenza essenziale va tracciata tra Costituzione materiale e formale. Questo il punto di vista di Francesco dell’Aula Flex Napoli: “I diritti presenti sulla Carta non sono garantiti. Sostenere il Sì per adeguarsi all’Europa? Ma se non conosciamo più stati realmente democratici, l’unica speranza è mettere al centro i bisogni del popolo, agire per guadagnare ciò che ci viene negato”. Anche lo studente Giorgio Nugnes interviene sulla questione di ‘conformità’ ai modelli europei: “Modelli che nel 2016 alzano muri, non consentono più di muoverci e fanno morire centinaia di persone nel Mediterraneo. Il Referendum è solo una tappa per costruire un’alternativa che parta dalle nostre esigenze”. Per altri come Nicola, la Riforma Renzi-Boschi rappresenta la “messa a sistema di un tipo di fare politica invasivo e distruttivo nei confronti delle realtà sociali che vivono il Paese. Il nostro No è diverso: diciamo No per dire una serie di Sì verso un’Europa dei popoli”. Lorenzo Perrella, dell’Ateneo federiciano, sottolinea infine l’importanza di un’atmosfera di condivisione e aggregazione sociale e politica, quale il corteo organizzato per il 18 novembre. “Un invito all’agire collettivo nelle piazze”, secondo Domenico Cristiano di Link Napoli Coordinamento Universitario. Che conclude: “L’Università sta diventando sempre di più una corsa a ostacoli per ottenere crediti, altrimenti si va fuoricorso, si pagano più tasse, si perde la borsa di studio. Mai che ci sia consentito di soffermarci un attimo. Votare perciò un No difensivo per rifiutare i processi decisionali che prefigurano uno stato fortemente autoritario e costruire insieme un avvenire democratico”.
Sabrina Sabatino
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