“Bisogna trovare da subito un proprio metodo di studio”

“Il primo contatto con l’università è stato molto forte – ricorda Marianna Coppola, 28 anni, laureata in Chimica che oggi lavora in un laboratorio di analisi ambientali, svolgendo anche mansioni di tipo commerciale – Il livello in aula era molto alto e mi sono trovata a vivere una vera e propria corsa all’esame, in un clima di competizione sfrenata che, però, mi ha aiutato a crescere”. La batosta, in tutti i percorsi scientifici, è rappresentata dagli esami fondamentali, specie quelli caratterizzanti: “uno scotto che paga chi si dedica alle discipline scientifiche in generale è l’ambiente chiuso, da torre d’avorio, che fa sembrare tutto più astruso di quanto in realtà non sia e indebolisce, in termini sociali, il nostro peso”. Andare all’estero, partecipare al progetto Erasmus e vivere esperienze che arricchiscano il proprio curriculum può risultare molto significativo: “l’università non prepara al mondo del lavoro. Sforna laureati bravissimi che non sanno niente del mondo. Si hanno tanti strumenti a disposizione, ma ne mancano altri, come i riferimenti legislativi, che aiutano a confrontarsi con la realtà”, prosegue Marianna che, prima della laurea, ha svolto un tirocinio presso la Procter&Gamble (“In quell’occasione ho scoperto che i ragazzi stranieri facevano, ogni anno, dei tirocini all’estero”). Pertanto è importante cominciare a pensare, fin dall’inizio, alla strada che si vuole seguire e non trascurare i compagni di studio perché: “nella vita lavorativa, possono dimostrarsi dei preziosi alleati”, conclude Marianna. 
Un consiglio analogo viene da Emanuele Ferrante, 34 anni, laureato in Chimica Industriale, che si occupa di collaudi di impianti industriali. Un lavoro che lo porta a viaggiare molto, fra l’Italia e l’estero: “una scelta motivata e consapevole si fa pensando allo sbocco lavorativo, mediando fra i propri interessi, perchè la laurea è un buon investimento. Non credete a chi dice che è solo un pezzo di carta, l’università ha tante pecche, ma resta un cardine importante”. Le difficoltà che si possono incontrare lungo il percorso sono diverse, un esame che va male, uno scritto che non si riesce a superare, “ma alla lunga vincono la resistenza e la costanza. Bisogna, però, fin dal primo giorno, trovare un proprio metodo di studio, altrimenti il primo semestre passa senza aver concluso nulla, e seguire sempre le lezioni, perché fa risparmiare tempo e influenza, favorevolmente, l’atteggiamento dei docenti”, conclude Emanuele.
Paolo Vollaro, 30 anni, laureato in Chimica Industriale e con un Dottorato di Ricerca, si occupa di caratterizzazione a fuoco dei materiali, presso il centro di ricerche IMAST, che pratica il trasferimento tecnologico presso grandi industrie meccaniche e aeronautiche: “l’impatto universitario è stato difficile. Non ero abituato ad autogestirmi e non è facile imparare a stare in laboratorio. Occorre un’educazione che si acquisisce nel tempo. L’importante è non abbattersi, perché ci sarà sempre un esame che non piace”. Ha scelto il dottorato perché “era in collaborazione con un’azienda; se fosse stato interno, probabilmente avrei rifiutato, perché preclude molte strade. In Italia non è valorizzato, le imprese preferiscono neolaureati, da formare secondo le proprie necessità, e per chi viene dall’università il confronto con l’industria è duro, perché le esigenze ed i tempi sono molto diversi”.
(Si.Pa.)
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