Internet occupa. Ma occorre superare il digital divide. Una solida preparazione affiancata da una buona conoscenza della rete e di una lingua straniera e tanta creatività: i requisiti per farsi strada nel mondo del lavoro. Li indica la prof.ssa Maddalena della Volpe, docente di Comunicazione Strategica al Suor Orsola Benincasa. “Contrariamente ai luoghi comuni, Internet non crea disoccupazione. Il valore economico del fattore internet è pari al 2% del PIL nel 2010 e per capire il valore del dato si pensi che l’agricoltura nello stesso periodo è pari al 2,3% del PIL”, afferma la docente. Le prospettive di crescita “dell’Internet economy italiana sono interessanti, nell’industria alimentare come nella moda e nel turismo. C’è dunque un’economia digitale in espansione e che crea posti di lavoro. Una ricerca di Boston Consulting Group, voluta da Google, rileva come le PMI che usano Internet attivamente crescono più rapidamente, assumono più risorse umane, esportano di più e sono più produttive di quelle che non ricorrono al web. I mercati di nicchia, considerati da Chris Anderson come i mercati del futuro perché aggregano le offerte molto diversificate ma con pochi acquirenti, rappresentano uno spazio profittevole per le imprese. La domanda non si interrompe dove finisce l’offerta, troppo onerosa da sopportare con i meccanismi tradizionali di produzione, stoccaggio, distribuzione e vendita. Amazon lo sa già da tempo, rendendo disponibili attraverso la rete 2,3 milioni di titoli di libri, contro i 500-1000 di una libreria di quartiere o i 30.000-100.000 volumi di un megastore del centro di una città. Le imprese che colgono le opportunità dell’economia digitale si trasformano in Enterprise 2.0, utilizzando i social network come strumenti dalla logica fortemente innovativa ed ereditando i principi del web 2.0, basato su condivisione, partecipazione, collaborazione”.
Eppure i dati sulla disoccupazione in Italia sono preoccupanti. “In Italia ci sono circa 3 milioni di giovani dai 15 ai 29 anni che non frequentano scuole o università, non lavorano, né seguono corsi di formazione. Si chiamano Neet (Not in Education, Employment or Training) e vivono esclusi sia dai percorsi formativi, spesso poco attrattivi, che dal mercato del lavoro, in cui non riescono a penetrare. E’ un dato che deve far riflettere sulla necessità di svecchiare percorsi e modalità formative delle istituzioni scolastiche e universitarie”.
Dove si annidano le criticità per le imprese digitali? “Mentre il processo di digitalizzazione va avanti, si registrano ancora gravi contraddizioni: forti ritardi nella banda larga e ancora un numero elevato di famiglie (4 su 10) che non si collega alla rete. L’Italia è leader in Europa per possesso di smartphone e tablet (15 milioni di persone), ma di questi un terzo non ha connessione per navigare (5 milioni di persone). Fondamento della crescita sono l’educazione digitale, la sicurezza dei pagamenti on line, il superamento dei ritardi nella banda larga, il wifi per essere sempre connessi senza pagare, nello sforzo di colmare il digital divide. Con la consapevolezza che il wifi presenta ancora molti problemi, non copre tutto il territorio e se troppe persone nella stessa area si collegano si crea un intasamento che lo manda in tilt. Come è successo all’ultima conferenza di Steve Jobs che, innervosito, ha dovuto pregare il pubblico di disconnettere cellulari e tablet”.
Quali sono gli aspetti critici in rapporto alla trasmissione della conoscenza sul web? “La democratizzazione degli strumenti produttivi, grazie alla diffusione di tecnologie per la produzione di contenuti in maniera economica, consente agli utenti di diventare protagonisti nella rete e creare propri contenuti. Ma l’impressione è che una tecnologia così facilitante spesso non sia accompagnata da contenuti validi. E’ vero, gli utenti sono oggi parte attiva riguardo all’UGC (User Generated Content) e questo è un fenomeno di massa. Tecnicamente è diventato facile realizzare un blog o un sito. Ma questo non significa che si tratti di un blog o un sito efficaci, interessanti. La componente tecnologica affianca sempre, in realtà, una componente di contenuti e questi si costruiscono coltivando un faticoso e più lento bagaglio di conoscenze da sottoporre a un esame critico rigoroso: si pensi che il fenomeno enciclopedico wiki è alimentato da una redazione che controlla fonti e validità di quanto viene pubblicato, inserendo commenti critici nelle voci laddove venga ritenuto opportuno. In rete spesso si deve fronteggiare l’incapacità di produrre contenuti nuovi, risultati da correlazioni o compilazioni originali e l’incapacità di distinguere tra contributi validi e contributi di valore scarso o nullo”.
La rete ha dato vita a nuove professioni? “Sì, certo. Sono nati esperti di siti, community manager per i social network, gestori di portali per e-commerce, esperti di strategie per il posizionamento delle imprese in rete, conduttori radiofonici 2.0. Molte di queste professioni, però, non sono ancora registrate nell’ultimo Rapporto Istat. Non è un buon segnale”.
Che consiglio darebbe ad un giovane in cerca di lavoro? “A partire da una solida preparazione scientifica, coltivare la rete e i suoi aspetti tecnologici, affiancare con la conoscenza di una lingua straniera e, a questo punto, si è pronti per andare oltre. Mescolare i propri saperi con i propri interessi e inclinazioni personali, per tirare fuori quel raro elemento che fa la differenza anche nel nuovo mondo imprenditoriale: la creatività”.
Eppure i dati sulla disoccupazione in Italia sono preoccupanti. “In Italia ci sono circa 3 milioni di giovani dai 15 ai 29 anni che non frequentano scuole o università, non lavorano, né seguono corsi di formazione. Si chiamano Neet (Not in Education, Employment or Training) e vivono esclusi sia dai percorsi formativi, spesso poco attrattivi, che dal mercato del lavoro, in cui non riescono a penetrare. E’ un dato che deve far riflettere sulla necessità di svecchiare percorsi e modalità formative delle istituzioni scolastiche e universitarie”.
Dove si annidano le criticità per le imprese digitali? “Mentre il processo di digitalizzazione va avanti, si registrano ancora gravi contraddizioni: forti ritardi nella banda larga e ancora un numero elevato di famiglie (4 su 10) che non si collega alla rete. L’Italia è leader in Europa per possesso di smartphone e tablet (15 milioni di persone), ma di questi un terzo non ha connessione per navigare (5 milioni di persone). Fondamento della crescita sono l’educazione digitale, la sicurezza dei pagamenti on line, il superamento dei ritardi nella banda larga, il wifi per essere sempre connessi senza pagare, nello sforzo di colmare il digital divide. Con la consapevolezza che il wifi presenta ancora molti problemi, non copre tutto il territorio e se troppe persone nella stessa area si collegano si crea un intasamento che lo manda in tilt. Come è successo all’ultima conferenza di Steve Jobs che, innervosito, ha dovuto pregare il pubblico di disconnettere cellulari e tablet”.
Quali sono gli aspetti critici in rapporto alla trasmissione della conoscenza sul web? “La democratizzazione degli strumenti produttivi, grazie alla diffusione di tecnologie per la produzione di contenuti in maniera economica, consente agli utenti di diventare protagonisti nella rete e creare propri contenuti. Ma l’impressione è che una tecnologia così facilitante spesso non sia accompagnata da contenuti validi. E’ vero, gli utenti sono oggi parte attiva riguardo all’UGC (User Generated Content) e questo è un fenomeno di massa. Tecnicamente è diventato facile realizzare un blog o un sito. Ma questo non significa che si tratti di un blog o un sito efficaci, interessanti. La componente tecnologica affianca sempre, in realtà, una componente di contenuti e questi si costruiscono coltivando un faticoso e più lento bagaglio di conoscenze da sottoporre a un esame critico rigoroso: si pensi che il fenomeno enciclopedico wiki è alimentato da una redazione che controlla fonti e validità di quanto viene pubblicato, inserendo commenti critici nelle voci laddove venga ritenuto opportuno. In rete spesso si deve fronteggiare l’incapacità di produrre contenuti nuovi, risultati da correlazioni o compilazioni originali e l’incapacità di distinguere tra contributi validi e contributi di valore scarso o nullo”.
La rete ha dato vita a nuove professioni? “Sì, certo. Sono nati esperti di siti, community manager per i social network, gestori di portali per e-commerce, esperti di strategie per il posizionamento delle imprese in rete, conduttori radiofonici 2.0. Molte di queste professioni, però, non sono ancora registrate nell’ultimo Rapporto Istat. Non è un buon segnale”.
Che consiglio darebbe ad un giovane in cerca di lavoro? “A partire da una solida preparazione scientifica, coltivare la rete e i suoi aspetti tecnologici, affiancare con la conoscenza di una lingua straniera e, a questo punto, si è pronti per andare oltre. Mescolare i propri saperi con i propri interessi e inclinazioni personali, per tirare fuori quel raro elemento che fa la differenza anche nel nuovo mondo imprenditoriale: la creatività”.