“L’Università ci penalizza”, l’appello disperato dei fuoricorso Casus belli: piani di studio bloccati

La corona d’alloro è solo un simbolo per testimoniare il traguardo raggiunto dopo anni di sacrifici, notti insonni sui libri, salti degli appelli e tentativi falliti agli esami scritti, ma spesso per i fuoricorso diviene motivo di frustrazione e malessere, come emerge dalle voci di quattro studenti napoletani, tra i 24 e i 26 anni. Immatricolatisi nel lontano 2011, non hanno ancora centrato l’obiettivo laurea. Fuoricorso sì, ma con una media che s’aggira intorno al 27, vogliono perciò smentire alcuni falsi miti sulla loro categoria. Perché spesso il fuoricorso può essere ‘questione di lingua’. “Sono al quarto anno fuori corso e mi mancano solo cinque esami. All’inizio del mio percorso avevo scelto Inglese e Arabo. Malgrado una forte motivazione, ho riscontrato non poche difficoltà a superare gli esami di Lingua, cosa che ha inciso molto anche sul profilo psicologico”. Parla Rita C., iscritta a Mediazione Linguistica e Culturale. “Sono stata più volte bocciata, nonostante abbia frequentato a più riprese i corsi e affrontato spese aggiuntive per supplire le mie lacune con ulteriori lezioni private”. Nel suo caso, non crede di aver fallito nella scelta del Corso di Laurea: “Non mi sono mai pentita di aver optato per Lingue, tant’è che ho superato ad oggi circa 15 esami. Con Inglese non è stato mai facile, certo, provenivo da un Liceo Classico quindi ho dovuto apprendere le basi della grammatica daccapo, ma senza perdere la determinazione. Con Arabo, purtroppo, non si è mai creato feeling. Ho puntato su una lingua che, speravo, mi potesse garantire un lavoro e, invece, ho toppato”. 
Una questione
 di lingua
Giunta a questo punto, dopo numerosi tentativi falliti, la studentessa decide perciò a malincuore di cambiare lingua, ma l’Università non glielo concede. “Sentiamo tanto parlare di studenti che non si laureano in tempo, ma non è tutta colpa del nostro mancato impegno”, replica Federica M., di Lingue, Lettere e Culture Comparate. “L’Università ci penalizza. Studenti lavoratori e fuoricorso sono le classi più deboli. Anch’io ho avuto un problema analogo con Cinese: mi sono resa conto troppo tardi, circa due bocciature fa, che non era la lingua adatta al mio stile di vita. Lavoro in un call-center e i miei ritmi non mi consentono di studiare più di 4 ore al giorno. Perciò avevo pensato di indirizzarmi verso lo spagnolo, in seguito a un soggiorno Erasmus a Valencia, e invece scopro dopo anni che non posso più cambiare”. Perché? A causa dei piani di studio bloccati. Stando al Regolamento ufficiale, i fuoricorso possono modificare il piano carriera unicamente nei modi e nei tempi stabiliti dal Polo Didattico di Ateneo. Di norma le modifiche sono concesse sino al secondo anno fuori corso per gli iscritti alle Lauree Triennali. “Anch’io avevo pensato di cambiare Arabo con Francese. Ho iniziato a seguire i corsi e l’impatto con la nuova lingua e i nuovi professori si sono rivelati più che positivi, anzi una scoperta inaspettata! – dice Giulia C., anche lei di Mediazione – Ma, recandomi in segreteria per una questione di tasse, vengo a sapere di non poter fare più nulla adesso. In pratica, se voglio laurearmi sono costretta a dare Arabo. Tutto ciò a causa di una scelta presa con leggerezza subito dopo il diploma”. Una situazione condivisa anche da altri che a turno raccontano ai compagni i propri insuccessi: chi bocciato tre volte a Giapponese I, chi ha sostenuto quattro volte Arabo II, chi rifiuta l’ennesimo 18 in Cinese. “Sono esausta e a pensare che mi separano dalla laurea tre annualità di Arabo sto male – riprende Rita – Avevo anche pensato di trasferirmi presso un altro Ateneo per andare fino in fondo, ma le questioni logistiche da risolvere sarebbero troppe. Faccio prima a rinunciare agli studi”. Nell’immaginario collettivo, “il fuoricorso è un perdigiorno che si fa mantenere dai genitori. Il fuoricorso a L’Orientale è uno studente che va a lavorare proprio per evitare tutto questo, mentre paga lo scotto di una scelta inadatta a sé”, sostiene Marco S., che prosegue: “Ho lavorato per due anni in un Museo di Napoli con un contratto di stage. Mi hanno assunto anche senza laurea perché avevo delle certificazioni di Lingua e perché parlo un inglese fluente. Peccato, però, che io abbia scelto all’Università Spagnolo e Tedesco ed è da due anni che tento invano Tedesco II, ormai senza speranze”. Gli studenti hanno anche valutato l’opzione di cambiare Università, “ma siamo bloccati su ogni fronte, perché nessun altro Ateneo prevede percorsi analoghi ai nostri”, fa notare Giulia. Per esempio, “la Federico II non ha all’attivo un Corso di Laurea Triennale in Mediazione Linguistica e Culturale o con un curriculum specifico in Analisi linguistica e traduzione”. Di conseguenza, la situazione peggiorerebbe: “dovrei cambiare Corso di Laurea, molti esami non mi sarebbero convalidati e dovrei affrontarne altri per entrambe le lingue, soprattutto nelle materie letterarie, non presenti nel mio piano, il tutto aggravato da ulteriori spese economiche”. Il discorso soldi non è, infatti, in fondo alla lista. “Il nuovo sistema di tassazione universitaria ci ha danneggiato. Non mi importerebbe se l’aumento delle spese fosse direttamente proporzionale a un aumento di servizi e opportunità per gli studenti. Non chiedo di regalarmi gli esami, ma solo di modificare una lingua che dopo gli insuccessi collezionati sono arrivata ad odiare”. D’altra parte, “non c’è via d’uscita: noi contestiamo il modus operandi dell’Università che tassa il nostro ritardo, ma l’Università anche riporta un consistente danno economico a causa di coloro che non si laureano nei tempi dovuti, fattore che incide sui finanziamenti pubblici”, conclude Marco, a cui fa eco infine la soluzione proposta da Federica. “È un male che va estirpato alla radice: ben vengano provvedimenti come il Test a numero programmato a Inglese per mettere alla prova dal primo momento le matricole su una decisione che condiziona la vita. Un discorso del genere andrebbe ripensato anche per altre lingue, ma nessuno ci ascolta perché si vanno a toccare delle resistenze. Soluzioni fattibili? Prove selettive in itinere, corsi di recupero o, perché no, un servizio di tutorato alla pari. L’Università non vuole perdere iscritti e fondi, mi sembra giusto, ma intanto trascina come un peso morto la categoria fuoricorso, uno spreco che non trasforma in risorsa”.
Sabrina Sabatino
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