“Quando si pensa agli autori della letteratura tedesca, il primo nome a farsi largo non è mai quello di una donna. Abbiamo perciò deciso di dedicare quest’iniziativa a coloro che hanno contribuito in maniera rilevante a far emergere voci silenti, storie meno note, soggettività femminili adombrate dalla
storiografia dominante”, spiega la prof.ssa Ulrike Böhmel, Coordinatrice del ciclo seminariale dedicato alle biografie e opere di scrittrici tedesche, organizzato dalle Cattedre di Letteratura tedesca, che ha visto protagonisti, a partire dal mese di novembre, diverse docenti degli Atenei campani. L’ultimo incontro prima della pausa estiva, il sesto, si è tenuto nel pomeriggio del 24 maggio presso il Dipartimento di Studi Umanistici. L’ospite della giornata, la prof.ssa Lucia Perrone Capano, docente presso l’Università di Salerno, ha dedicato il suo intervento alla figura e alla produzione di Irmgard Keun (1905-1982), “trattata con sufficienza dalla critica novecentesca e recentemente oggetto di riscoperta da parte del pubblico, ma anche dei Women’s Studies. Quando una scrittrice vende, molto spesso suscita perplessità più che ammirazione”. Tanti a suo dire sono i falsi miti da sfatare: “Si crede che la letteratura tedesca sia qualcosa di pedante, noioso, retorico se non estremamente intellettuale, invece si tratta di conclusioni affrettate che derivano da un problema di ricezione. Che la storiografia abbia una predilezione per gli scrittori maschi è un fatto, ma questo non significa che non esistano grandi scrittrici, al di là dei nomi celebri”. In particolare, la studiosa inquadra il fenomeno della scrittrice in una più ampia categoria di esuli che all’epoca del nazionalsocialismo furono costretti ad abbandonare la propria patria. “Si pensi ad Alfred Döblin o ai fratelli Heinrich e Thomas Mann. In quegli anni, soprattutto dal 1935
al 1938, paradossalmente la letteratura tedesca non ha più sede in Germania, ma vive nel transito ed è particolarmente produttiva perché si alimenta del dolore e della nostalgia, la cosiddetta Heimweh, e si esalta attraverso lo sradicamento”. Su questo punto interviene il prof. Bernhard Arnold Kruse, introducendo una differenza – peraltro attualissima – tra scrittori d’esilio e della migrazione. “In una poesia, Bertolt Brecht scriveva: non siamo emigranti, ma espulsi dal nostro paese, che attendono il giorno del ritorno. Per alcuni è ancora così. Potremmo interrogarci a lungo sulla differenza tra nomadi ed espatriati, sulla questione dell’identità nel quadro della società multiculturale europea”. Vivace è il dibattito che si crea subito con gli studenti di Lingue, Culture e Letterature Moderne Europee. “Leggere brevi passaggi dei romanzi della Keun ha richiamato alla mia mente altri del saggio ‘Orientalismo’ di Edward Said circa la vita nomadica di autori segnati dalle ferite della storia”, sottolinea Sara. Su questa scia un’altra studentessa, Annachiara Marino, rivela: “Alcuni concetti chiave esplorati oggi, il senso d’attesa o lo struggimento amoroso, come la Sehnsucht romantica, dove l’amore può anche essere rivolto al suolo che ci ha dato i natali, a me ha ricordato la fenomenologia dell’attesa di cui parlava nei suoi ‘Frammenti di un discorso amoroso’ Roland Barthes”. In verità, “non vi è dicotomia tra uomini e donne in fatto di scrivere. Tutto dipende dai propri gusti, c’è chi ama l’assurdità della prosa
kafkiana, chi preferisce le analisi lucide e febbrili dei romanzi di Christa Wolf. Non è sessismo, o misoginia. La scrittura è un dono, ma, insieme alla sensibilità o all’impegno sociale, sono tanti i criteri per scegliere un buon libro: lo stile, il tema, l’immaginario”. È la riflessione di Lisa Rivieccio, che confessa: “Uno dei miei libri preferiti in assoluto è ‘Il tamburo di latta’ del Premio Nobel Günter Grass, che poi ho avuto la fortuna di approfondire durante il
corso di Letteratura, eppure credo che se dovessi scegliere uno solo tra gli esponenti che riassumono al meglio il pensiero critico, filosofico e politico della Germania del secolo scorso farei senza dubbio il nome di Hannah Arendt”. Entusiasta di questi ‘cortocircuiti’ interculturali, la prof.ssa Böhmel trae le sue conclusioni: “La letteratura, come l’arte tutta, non fa distinzioni tra maschile e femminile, la sua lingua è universale, oltre i tempi e i territori. Volevamo lanciare degli spunti, dare agli studenti la possibilità di conoscere nuovi libri e, perché no, magari di tradurre quelli che ancora non circolano in lingua italiana”. Il ciclo riprenderà nel prossimo anno accademico a partire da ottobre con incontri fino al mese di dicembre aperti a tutti gli interessati.
storiografia dominante”, spiega la prof.ssa Ulrike Böhmel, Coordinatrice del ciclo seminariale dedicato alle biografie e opere di scrittrici tedesche, organizzato dalle Cattedre di Letteratura tedesca, che ha visto protagonisti, a partire dal mese di novembre, diverse docenti degli Atenei campani. L’ultimo incontro prima della pausa estiva, il sesto, si è tenuto nel pomeriggio del 24 maggio presso il Dipartimento di Studi Umanistici. L’ospite della giornata, la prof.ssa Lucia Perrone Capano, docente presso l’Università di Salerno, ha dedicato il suo intervento alla figura e alla produzione di Irmgard Keun (1905-1982), “trattata con sufficienza dalla critica novecentesca e recentemente oggetto di riscoperta da parte del pubblico, ma anche dei Women’s Studies. Quando una scrittrice vende, molto spesso suscita perplessità più che ammirazione”. Tanti a suo dire sono i falsi miti da sfatare: “Si crede che la letteratura tedesca sia qualcosa di pedante, noioso, retorico se non estremamente intellettuale, invece si tratta di conclusioni affrettate che derivano da un problema di ricezione. Che la storiografia abbia una predilezione per gli scrittori maschi è un fatto, ma questo non significa che non esistano grandi scrittrici, al di là dei nomi celebri”. In particolare, la studiosa inquadra il fenomeno della scrittrice in una più ampia categoria di esuli che all’epoca del nazionalsocialismo furono costretti ad abbandonare la propria patria. “Si pensi ad Alfred Döblin o ai fratelli Heinrich e Thomas Mann. In quegli anni, soprattutto dal 1935
al 1938, paradossalmente la letteratura tedesca non ha più sede in Germania, ma vive nel transito ed è particolarmente produttiva perché si alimenta del dolore e della nostalgia, la cosiddetta Heimweh, e si esalta attraverso lo sradicamento”. Su questo punto interviene il prof. Bernhard Arnold Kruse, introducendo una differenza – peraltro attualissima – tra scrittori d’esilio e della migrazione. “In una poesia, Bertolt Brecht scriveva: non siamo emigranti, ma espulsi dal nostro paese, che attendono il giorno del ritorno. Per alcuni è ancora così. Potremmo interrogarci a lungo sulla differenza tra nomadi ed espatriati, sulla questione dell’identità nel quadro della società multiculturale europea”. Vivace è il dibattito che si crea subito con gli studenti di Lingue, Culture e Letterature Moderne Europee. “Leggere brevi passaggi dei romanzi della Keun ha richiamato alla mia mente altri del saggio ‘Orientalismo’ di Edward Said circa la vita nomadica di autori segnati dalle ferite della storia”, sottolinea Sara. Su questa scia un’altra studentessa, Annachiara Marino, rivela: “Alcuni concetti chiave esplorati oggi, il senso d’attesa o lo struggimento amoroso, come la Sehnsucht romantica, dove l’amore può anche essere rivolto al suolo che ci ha dato i natali, a me ha ricordato la fenomenologia dell’attesa di cui parlava nei suoi ‘Frammenti di un discorso amoroso’ Roland Barthes”. In verità, “non vi è dicotomia tra uomini e donne in fatto di scrivere. Tutto dipende dai propri gusti, c’è chi ama l’assurdità della prosa
kafkiana, chi preferisce le analisi lucide e febbrili dei romanzi di Christa Wolf. Non è sessismo, o misoginia. La scrittura è un dono, ma, insieme alla sensibilità o all’impegno sociale, sono tanti i criteri per scegliere un buon libro: lo stile, il tema, l’immaginario”. È la riflessione di Lisa Rivieccio, che confessa: “Uno dei miei libri preferiti in assoluto è ‘Il tamburo di latta’ del Premio Nobel Günter Grass, che poi ho avuto la fortuna di approfondire durante il
corso di Letteratura, eppure credo che se dovessi scegliere uno solo tra gli esponenti che riassumono al meglio il pensiero critico, filosofico e politico della Germania del secolo scorso farei senza dubbio il nome di Hannah Arendt”. Entusiasta di questi ‘cortocircuiti’ interculturali, la prof.ssa Böhmel trae le sue conclusioni: “La letteratura, come l’arte tutta, non fa distinzioni tra maschile e femminile, la sua lingua è universale, oltre i tempi e i territori. Volevamo lanciare degli spunti, dare agli studenti la possibilità di conoscere nuovi libri e, perché no, magari di tradurre quelli che ancora non circolano in lingua italiana”. Il ciclo riprenderà nel prossimo anno accademico a partire da ottobre con incontri fino al mese di dicembre aperti a tutti gli interessati.