Alta Formazione, nasce Nova Universitas

Un consorzio di atenei per l’alta formazione. Cinque università messe a sistema per  formare figure di eccellenza nell’ambito della ricerca scientifica e umanistica. Tutto questo è il consorzio Nova Universitas, nato nel settembre del 2005 dall’incontro tra Federico II, Bicocca di Milano, LUISS di Roma, Università di Udine e Università di Macerata. L’inaugurazione ufficiale si è svolta presso il centro congressi di Monte Sant’Angelo, giovedì 2 marzo. Presente all’inaugurazione anche il premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia. “Si tratta di un’iniziativa di grande prestigio che rafforza, sempre più, il ruolo dell’alta formazione e della ricerca scientifica. Mai come in questo momento, essere capaci di intraprendere iniziative di qualità assoluta, è determinante per conservare la centralità degli atenei nella nostra società” dice in apertura il Rettore della Federico II Guido Trombetti ringraziando pubblicamente l’emozionato prof. Carlo Lauro, presidente del Consorzio Interuniversitario, quale “vero animatore dell’iniziativa”. “Cercheremo di ricostruire il soggetto originario dell’Universitas, frutto della libera creazione di docenti e discenti, proiettandolo, però, verso il futuro creando un’alleanza fruttuosa con il mondo delle imprese” dice il docente di Statistica, mentre illustra alla platea lo statuto. Il Consorzio si propone di promuovere attività di alta formazione interdisciplinare volte alla crescita del capitale umano, elemento vitale dello sviluppo. I principi cui esso si ispira sono quelli della solidarietà e della sussidiarietà, per affrontare i temi della giustizia sociale, della libertà dei cittadini, dell’efficienza dello Stato e rispondere alla domanda di innovazione proveniente dalla società. Le risorse degli atenei fondatori verranno valorizzate quanto più possibile, mettendo in comune progetti che diano valore aggiunto a ciò che le università già producono. Il primo anno di attività sarà di sperimentazione, i partecipanti non pagheranno per seguire i corsi che saranno, tra l’altro, disponibili in rete grazie al contributo della struttura di didattica telematica della Federico II. “Questi atenei hanno compreso che, unendosi, avrebbero potuto fare ciò che da soli non sarebbero stati in grado di svolgere” ha concluso il prof.Lauro. Il tema del capitale umano nasce con l’economia moderna. Il problema è individuare un modo per stimarlo. “È un tema non risolto, perché siamo ancora alla ricerca di una stima econometrica valida che dia una visione prospettica attendibile del modo in cui utilizzare il capitale umano” dice il professore milanese Giorgio Vittadini. Negli ultimi anni è nata la necessità di definirlo come variabile statistica per quantificare il vero ritorno dell’istruzione e il nesso esistente tra investimenti in capitale umano, disoccupazione, tempi di attesa per trovare lavoro e grado di soddisfazione dei lavoratori. Occorre valutare la quota di reddito che è associata agli investimenti sia nella formazione scolastica che in quella lavorativa. “In Italia, negli ultimi quarant’anni, abbiamo investito molto ma abbiamo speso male. Spendiamo poco, ad esempio, per la formazione universitaria. I laureati hanno difficoltà a trovare un’occupazione qualificata e siamo molto indietro per quanto riguarda la formazione continua al lavoro” prosegue Vittadini che sottolinea il ritardo della scuola italiana in termini di sviluppo delle capacità di tipo logico-matematiche, organizzative e comunicative.  I modelli suggeriscono che le politiche pubbliche sono in grado, nel lungo periodo, di incidere su questi fattori, incrementando l’autonomia degli istituti scolastici per quel che riguarda il bilancio, i programmi di studio e la retribuzione dei docenti. “Come avviene negli Stati Uniti, in cui la formazione non è concepita per essere di massa, ma è di eccellenza. È una questione di scelte, il nostro paese non ne ha fatta alcuna” chiosa il docente che suggerisce, per migliorare la qualità dell’investimento in capitale umano degli atenei, la diversificazione di università e studi per qualità e un’alta formazione volta al superamento delle barriere tra le discipline. Investire nelle capacità mette una società in condizioni di far fronte alle, già pressanti, sfide del futuro, soprattutto in materia di energia. “Mancano strumenti adeguati per una politica planetaria, che anteponga gli svantaggi collettivi al benessere dei singoli e non è un caso che le misure effettivamente adottate siano inadeguate alla soluzione dei problemi” sostiene l’ultimo relatore il prof.Carlo Rubbia. In questo contesto, il nostro paese è ulteriormente danneggiato da una forte e patologica dipendenza dall’estero per le fonti di energia primaria incidendo sul prodotto interno lordo per circa il 10-12%. Oltre ai combustibili, acquistiamo dall’estero, in particolare dalla Francia, energia nucleare, della quale paghiamo tutti gli scotti in termini di inquinamento, senza ricavarne alcun beneficio. Non esiste una chiara differenziazione tra paesi che hanno investito nel nucleare e quelli che l’hanno invece escluso. Il contenimento dei costi dipende dall’utilizzo combinato delle diverse fonti energetiche e dalle politiche di investimento statali. Una produzione economicamente ottimizzata deve disporre di più sistemi, “una delle ragioni dell’anomalia energetica italiana deriva dall’assurda decisione di puntare sul petrolio per oltre il 50% della produzione di energia,” aggiunge lo scienziato.  Un primo passo per contenere i costi italiani, potrebbe essere quello di ridurre l’uso del petrolio a favore del carbone, prodotto in grande abbondanza in un elevatissimo numero di paesi.  Con un finanziamento di circa 60 milioni di euro, sarebbe possibile realizzare una quindicina di reattori di nuova generazione, la cui attivazione richiederebbe comunque una decina d’anni di tempo, “sempre che si riuscisse ad avere un consenso popolare adeguato” ironizza Rubbia. Il più grande dei problemi legati al nucleare risiede nello smaltimento delle scorie e nessuno dei paesi in cui questa tecnologia è largamente diffusa, ha ancora mai deciso di stoccare grandi quantità di rifiuti. “È per questo che ho appreso con profonda tristezza che il consiglio di amministrazione dell’ENEA,  aveva deciso di interrompere le ricerche sul bruciamento delle scorie nucleari” prosegue il premio Nobel, facendo riferimento alla sua vicenda personale. Implementando gli studi sul Torio, un elemento abbondantemente presente anche in Italia, potrebbe essere possibile realizzare nei prossimi anni, delle centrali di nuova concezione, che potrebbero produrre un’energia capace di conciliare le esigenze di sicurezza ambientale e militare, con la necessità di poter disporre di una fonte di energia di durata virtualmente infinita. Senza trascurare le fonti di energia alternative che l’ENEA, in questi anni ha saputo sfruttare in maniera mirabile arrivando a realizzare, in collaborazione con l’ENEL prototipi industriali in grado di sfruttare quasi integralmente l’energia solare “la fase industriale è bloccata in attesa del decreto ministeriale che sancisca la natura ecologica della tecnologia. Quando questo sarà avvenuto, toccherà alle regioni pronunciarsi” aggiunge il fisico che adesso continuerà il suo lavoro in Spagna dove verranno ben presto realizzate con fondi totalmente privati, 10 centrali solari termodinamiche, mentre altri paesi europei avanzano nella realizzazione di impianti eolici. “Il nostro è un paese che arretra di fronte agli altri, ci sono sfiducia e rassegnazione e la costante resistenza alla vera innovazione di calibro internazionale” conclude.
Simona Pasquale
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