Aule stracolme a Giapponese III

A un mese dall’inizio dei corsi, notevoli criticità nello svolgimento della regolare didattica mettono a dura prova il trantran degli studenti. Prima tra tutte, il sovraffollamento degli spazi. Un disagio ancor più preoccupante se si ripresenta in annualità già ben consolidate. “È cosa nota ai più che Giapponese sia una lingua che va fortissimo a L’Orientale. Quasi tutti gli insegnamenti prevedono non a caso una distinzione in tre gruppi per cognome. Ed è capitato che a volte ciascuna di queste superasse i 200 studenti. A questo punto, la domanda è: come fanno 100 150 studenti a seguire una lezione in un’aula che dispone di 35 posti a sedere?”. Questa la testimonianza di Carmela Borrelli, al terzo anno di Lingue e Culture Comparate, rendicontando la situazione del giovedì mattina durante l’orario di lettorato di Giapponese III. “Abbiamo già fatto presente la questione al Polo. Ma le proteste a poco servono, non ci sono aule più capienti per fare lezione in quell’orario. I malcapitati di turno, a cui per un lieve ritardo spetta il posto sul pavimento, seguono senza riuscire a capire niente”, continua la collega Marta Morelli. In particolare, le esercitazioni linguistiche sono nel mirino della poco ortodossa gestione degli spazi. “In questo mese ne ho viste di tutti i colori: comunicazioni all’ultimo momento, litigi per i posti, lettori che facevano lezioni di una sola ora anziché due per consentire a tutti i corsisti di seguire in un contesto educativo vivibile. È il regno del caos”, la replica di Roberto Fucci, di Lingue e Culture Orientali e Africane. Che ribadisce: “questo non sta bene, perché già le ore non sono molte, in ogni lezione si fanno passi da gigante nella grammatica e non ci possiamo permettere di avere delle lacune nella formazione in cui stiamo investendo tempo e denaro. Vengo a lezione per risolvere i miei dubbi relativi a un esercizio e non riesco neppure a sentire la sua correzione”. Altri si domandano se la densità di affollamento non sia un caso contemplato dalla normativa didattica. “Mi rifiuto di pagare le tasse per non riuscire a seguire dignitosamente le lezioni. Sono pendolare e non riuscirò mai ad arrivare un’ora prima di una lezione che comincia alle 8.30, ammesso che io non viaggi con un pullman notturno. Sento che frequentare non mi aiuta. Non
posso fare progressi se una lezione si sofferma un’eternità sullo stesso concetto, perché giustamente la docente impiega un’ora affinché una certa regola sia incamerata, o quantomeno udita, da almeno metà classe”. Lo racconta deluso Giuseppe Caputo, fuoricorso. Dal momento che la situazione fatica a smuoversi, gli studenti più intraprendenti hanno proposto delle soluzioni collaborative. “La regola è darsi il cambio: chi sta seduto durante la prima ora, nella seconda si siede a terra”, riferisce Maria Annunziata. “È intollerabile fare lezione in queste condizioni: appoggiati al muro, alla finestra, in bilico tra porta e termosifone. L’Università dovrebbe fare delle indagini preliminari per informarsi sul numero stimato di studenti e provvedere da subito a ripartizioni più adeguate”. Non pochi gli episodi di disagio causati dal pienone delle aule. “Una volta una ragazza si è sentita male.
Un’aula da 50 posti? Allora che siano tali gli studenti previsti. Capisco che al primo anno sia difficile fare una stima precisa, perché poi dopo un paio di settimane e agli sgoccioli delle immatricolazioni gli studenti si dimezzano. Ma al terzo anno questa scusa non è più accettabile da parte nostra”, riprende Marta. In altre parole, “un giovedì da incubo: quattro ore ‘soffocanti’ di lettorato e per finire due ore di lezione di Lingua che fortunato chi ci arriva senza mal di testa”, ironizza infine Giuseppe senza troppo discostarsi dalla realtà dei fatti.
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