Bonifica dolce: il miracolo dei pioppi nei terreni inquinati

Da discarica abusiva di fanghi di concerie ed industrie a laboratorio dell’Università Federico II nel quale docenti, ricercatori e studenti sperimentano le opportunità e le possibilità di restituire dignità alla terra maltrattata attraverso la bonifica ‘dolce’. Quella, in sostanza, che non ricorre alle ruspe per portare via il terreno ed inviarlo in discarica, ma si serve della capacità degli alberi di assorbire gli inquinanti presenti nel suolo e di decontaminarlo naturalmente. È la storia del terreno di San Giuseppiello, nel Comune di Giugliano, che fu proprietà dei fratelli Vassallo, imprenditori al centro di numerose inchieste sul traffico di rifiuti – è in corso il processo di appello nei confronti di alcuni di essi – e che è ora, sia pure provvisoriamente, gestito dalla Federico II. Affinché quell’assegnazione diventi definitiva – stante la disponibilità espressa dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati – occorre attendere che scatti la confisca e per questo è necessario che arrivi una condanna in Cassazione, dunque definitiva, degli ex proprietari. Intanto, però, a San Giuseppiello è in corso un mezzo miracolo, la testimonianza che si possono eliminare i veleni da un suolo agricolo spendendo venti volte meno di quanto sarebbe accaduto con la bonifica tradizionale, quella delle ruspe. Circa un milione di euro a fronte di venti milioni di euro. Uno dei protagonisti di questa bella avventura è il prof. Massimo Fagnano, che insegna Agronomia e coltivazioni erbacee ad Agraria (protagonista anche di un servizio divulgativo nel programma ‘Striscia la Notizia’ lo scorso 19 maggio). Un docente un po’ fuori dagli schemi e dal coro, basti pensare che nell’epoca in cui nelle tv imperavano i pomodori presunti avvelenati della Terra dei Fuochi e la vulgata secondo la quale tutta l’agricoltura della Campania era un pericolo per la salute umana, provò a dire che, dati scientifici alla mano, frutta e verdura del casertano potevano essere consumati senza pericoli, che forse il problema in certi territori, oltre ai roghi tossici, erano la fragilità e l’inadeguatezza del sistema sanitario e, soprattutto, la povertà. Quella per cui ci si cura meno bene o non ci si cura per nulla, non si fa prevenzione, si mangia male, si ha uno stile di vita sbagliato. A San Giuseppiello, insieme al commissario alle bonifiche Mario De Biase e ad altri compagni di avventura, Fagnano ha piantato circa 20 mila pioppi. “ll progetto – racconta – è nato nel 2015 e l’impianto è stato realizzato nel 2016. Acquistammo gli alberi in un vivaio calabrese che si chiama Allasia. Ha una varietà, il pioppo ballotino, che prospera anche in assenza di irrigazione. Il pioppo bianco senza acqua non cresce e a San Giuseppiello l’irrigazione è scarsa”. Gli alberi sono stati sistemati in tutto l’appezzamento che appartenne ai Vassallo: sei ettari. L’idea – che è stata confermata dai fatti e che si sostanziava all’epoca con esperienze già condotte in alcuni paesi europei ed extraeuropei – era che i pioppi sarebbero stati in grado di assorbire gli inquinanti dal terreno.
“Un bosco urbano”
Già, ma quali inquinanti in particolare? “Abbiamo ovviamente analizzato il suolo – racconta il prof. Fagnano – per capire cosa ci fosse lì sotto. La contaminazione su sei ettari è dovuta prevalentemente a fanghi di conceria ricchi di cromo e zinco. Messa così, può suscitare paura, ma in realtà è una buona notizia. Sono due sostanze che non migrano negli organismi vegetali, hanno una scarsa biodisponibilità. Se ne stanno ferme nel terreno. Con analisi di dettaglio, però, che sono state condotte dai colleghi chimici del suolo, i professori Paola Adamo e Fabio Terribile, abbiamo trovato 3000 metri quadrati, circa il 5 per cento del totale dell’appezzamento, contaminati dal cadmio. È molto mobile ed è un disgraziato perché si mimetizza da calcio. Ha le stesse dimensioni e due cariche positive ed è metabolizzato dalle piante e dagli uomini come fosse calcio. Ci siamo accorti, insomma, che in quel sito, inizialmente classificato come potenzialmente contaminato da cromo e zinco, il vero problema era in realtà il cadmio”. Come è finito il cadmio a San Giuseppiello? “Ce lo siamo chiesto anche noi”, risponde il prof. Fagnano. “È una sostanza – prosegue – che è presente tipicamente nelle vernici, ma la ritroviamo pure nei rivestimenti dei manici delle pentole. Probabilmente fu sversata una cisterna di vernice in quella parte specifica del fondo agricolo”. I pioppi che stanno assorbendo il cadmio, terminata la loro funzione, dovranno naturalmente essere a loro volta smaltiti. La soluzione potrebbe essere un sistema che si chiama pirolisi lenta. Il prodotto della combustione dovrà andare in discarica. “Il fitorisanamento – commenta a questo proposito il docente di Agraria – non è una bacchetta magica, ma una tecnica di concentrazione e riduzione del problema. Un metro contaminato di terreno per un ettaro sono 10.000 metri cubi e pesano 12.000 tonnellate. In 20 anni di fitorisanamento produci 200 tonnellate di legno che dopo pirolisi diventano 20 tonnellate di char, questo il termine esatto della sostanza derivante dalla pirolisi. Insomma, ti trovi a gestire un problema di dimensioni nettamente minori. Che resta, comunque, un problema perché una delle grandi lezioni di storie come quella di San Giuseppiello è che se fai un casino – e sversare fanghi industriali in un terreno agricolo è un grosso casino – poi non ritorni mai al punto di partenza”. Gli altri pioppi, quelli piantati al di fuori del cinque per cento di terreno contaminato dal cadmio e che non assorbono lo zinco ed il cromo – sostanze poco mobili che restano nel terreno senza provocare danni e trasmigrare nelle piante, come ha sottolineato il docente – svolgono un ruolo importante: producono ossigeno, ospitano i nidi degli uccelli, danno ombra. “È stato ripristinato – rivendica Fagnano – un ecosistema come biodiversità, ciclo del carbonio, animali selvatici, bellezza del paesaggio. È diventata un’aula per educazione ambientale, ci portiamo i ragazzi delle scuole e dell’Università. Ora c’è un bosco urbano”.
Un progetto Enel con Agraria 
Il docente, peraltro, tiene anche a sottolineare che il progetto di fitodepurazione messo in pratica nel fondo agricolo di Giugliano non può essere meccanicamente traslato in qualunque altra area da bonificare. “Dipende tutto – specifica – dalla natura e dal livello della contaminazione del suolo. Nelle aree degli impianti petrolchimici, per esempio, con livelli di contaminazione elevatissimi gli alberi non sopravvivono. Quando la contaminazione raggiunge la falda acquifera a venti metri di profondità non fai nulla con la fitodepurazione. Lì devi solo mettere in sicurezza, cerchi di evitare il sollevamento degli inquinanti e, una volta realizzata la messa in sicurezza, realizzi per esempio parchi sportivi, ricreativi. Il primo passo, però, in queste situazioni è evitare che i contaminanti si muovano”. Come si fa? “Nell’area dell’Expo di Milano utilizzarono il cemento. Un’altra possibilità sono i teli impermeabili ricoperti da terreno oppure, come avvenuto alla Ecobat di Marcianise, un tappeto erboso di quattro o cinque centimetri che stabilizza gli inquinanti, li confina. Con un termine inglese un po’ alla moda si definisce fitocapping. Sta per partire un progetto con Enel che coinvolge Agraria ed è relativo ad un sito contaminato da gasolio”.
Fabrizio Geremicca
Scarica gratis il nuovo numero di Ateneapoli su www.ateneapoli.it
- Advertisement -




Articoli Correlati