Caringella, un magistrato-scrittore

Avere un Consigliere di Stato tra le aule di Giurisprudenza potrebbe sembrare un evento interessante, ma tutto sommato normale per chi in quelle aula studia o insegna. Stesso discorso per un romanziere che presenta un libro in un Dipartimento di Lettere. La SUN deve essere sembrata a Francesco Caringella il luogo perfetto per unire le due cose. Il 13 maggio, infatti, l’ex magistrato barese è stato ospite nell’Aulario di via Perla (sede condivisa dai due Dipartimenti) per presentare il suo ultimo thriller dal nome di per sé eloquente: “Non sono un assassino”.
Ha introdotto l’incontro il prof. Fabrizio Amatucci, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, porgendo i suoi saluti e lasciando la parola al “vero promotore dell’iniziativa”, ovvero il prof. Marcello Rotili, Direttore del DILBEC, il quale ha spiegato: “Quando ho conosciuto il Consigliere Caringella e ho letto il suo libro, il mio primo impulso è stato di chiedergli di venire a presentarlo in questa sede. È un’opera che sta avendo successo e che testimonia il multiforme ingegno dell’autore”. La scelta dei relatori, ha poi sottolineato, “muove dalla duplice natura del legal thriller, quella letteraria e quella giuridico-processuale”. Ad interpretare l’opera di Caringella dal punto di vista letterario è il prof. Luca Frassineti, docente di Letteratura italiana: “Scoprendo subito le carte, sono particolarmente contento di poter parlare di questo libro alla presenza dell’autore, perché ritengo che l’opera abbia grandi meriti anche dal punto di vista letterario, e in special modo per quanto riguarda la costruzione dei personaggi. Vedremo con il mio intervento se mi riuscirà quello che è il compito della critica, ovvero di amplificare la bellezza dell’opera”. Al professore è stata affidata, dunque, l’analisi stilistica del libro. Un intervento denso, dal tono saggistico, che ha avuto il merito di mettere in luce la caratterizzazione del personaggio principale, il narcisistico vicequestore Francesco Prencipe, antieroe, la cui personalità è stata inquadrata anche attraverso una puntuale analisi lessicale dell’opera. È toccato poi a Flavio Cusani e Simonetta Rotili, l’uno Gip e l’altra Giudice del Dibattimento penale al Tribunale di Benevento. Un intervento congiunto il loro, perché “abbiamo fatto il viaggio in macchina, ci siamo confrontati e ne è uscito fuori un duetto”. Il microfono, così, rimbalza tra i due giuristi, puntuali e completi ad analizzare i temi del romanzo: sia quelli più strettamente tecnici che quelli assaporabili da tutti tramite il semplice piacere della lettura. “Vorrei parlare – ha detto Cusani – di un romanzo sull’imperfezione umana. Ne deriva che il processo, fatto da uomini che giudicano, che testimoniano, per definizione non può essere perfetto. Può portare anche ad un errore giudiziario, ed il romanzo si muove proprio su questo argomento, nello spazio di differenza tra la verità processuale e la verità storica”. Il giudice – gli fa eco Rotili parlando di quella che a suo avviso è la chiave di lettura del romanzo – “nonostante si impegni, faccia uno sforzo massimo per raggiungere l’accertamento della verità, deve fare i conti con una serie di variabili che conducono ad un risultato talvolta non soddisfacente sotto il profilo sostanziale, anche se tecnicamente ineccepibile”. E anche se siamo in un tempio della legalità, tra le aule dei futuri giuristi, si viaggia a questo punto sul filo dell’omertà, perché il romanzo è un thriller e, si sa, nei thriller il finale è una cosa importante. Basterà dire che il processo al centro della narrazione è, per i due magistrati, uno strano caso che può servire a riflettere su alcune caratteristiche del processo penale e, in maniera più filosofica, sul confine tra verità e falsità. Al prof. Mariano Menna, ordinario di Diritto processuale penale, il compito di raccontare la questione da un punto di vista tecnico e scientifico. Quali sono i punti critici del processo che emergono dall’opera di Caringella? “Noi, in tutte le storie che affronta l’autore, siamo di fronte alla necessità di operare delle letture dei dati e degli avvenimenti in termini di eccezionalità. Così, nel primo romanzo dell’autore, c’è il caso di violenza sul piccolo Filippo. Una sentenza di assoluzione verso il padre che sul piano tecnico può risultare accettabile, ma che di fatto è insufficiente, tanto che conduce poi al suicidio del bambino”. Ed è una questione che, con una platea parzialmente svuotata dalla lunga durata dell’incontro, riprende anche l’autore: la verità. “Ma quale verità? Mia madre mi telefona alle undici e mezza; ha appena visto in televisione il programma Quarto grado, e mi chiede com’è possibile che due giudici che applicano le stesse leggi, esaminano gli stessi fatti, analizzano le stesse prove, arrivino a giudizi antitetici. Io provo a dirle che il giudice deve cercare una verità processuale, che il giudizio è un giudizio soggettivo, che quando la questione è opinabile è persino normale che persone diverse arrivino a conclusioni diverse. Ma lei non capisce, e la gente è come lei: è frastornata. Vede il processo come una macchina impossibile, capricciosa, completamente casuale”. E allora la verità per Caringella non esiste, e il giudice deve solo cercare di guardare la realtà attraverso, per citare un suo romanzo, il vetro dal colore più vicino alla trasparenza, per raggiungere una verità probabilistica. “In questo romanzo mi sono chiesto cosa significherebbe essere un imputato e dover essere giudicato. E mi hanno chiesto «quando capiterà, vorrà essere giudicato da un uomo o da una donna?». Scherzando ho risposto: se fossi colpevole, un uomo; se fossi innocente, una donna. Non spiego perché, mi sembra autoevidente”.
Valerio Casanova
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