Concorso letterario “Inchiostro digitale”, c’è ancora tempo per partecipare

“L’istinto dell’uomo è quello di raccontare”. Lo scrittore napoletano Maurizio De Giovanni aprì con queste parole l’incontro che ebbe con gli studenti di Lettere della Federico II l’anno scorso. Quella mattinata di studi, incentrata sul tema “Scrittura creativa e scrittura seriale”, rientrava nell’ambito del concorso letterario “Inchiostro digitale”. L’iniziativa, promossa da Ateneapoli e dal Coinor (Centro di Servizio di Ateneo per il Coordinamento di Progetti Speciali e l’Innovazione Organizzativa della Federico II), è giunta alla seconda edizione. La scadenza per la presentazione dei lavori  è stata prorogata.Studenti, docenti e personale dell’ateneo federiciano, quindi, hanno la possibilità di tirare fuori dal cassetto i propri manoscritti e di caricarli sul sito del concorso (inchiostro-digitale.it) fino al prossimo 15 luglio. La votazione delle opere in gara si svilupperà in due fasi. La prima permetterà agli internauti di esprimere, entro il 17 settembre,  la propria preferenza sul sito. I dieci titoli più votati passeranno, poi, al secondo step. A giudicare e votare i lavori sarà, questa volta, una giuria di esperti costituita da De Giovanni, dal Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici Arturo De Vivo, dal prof. Andrea Mazzucchi, docente di Filologia della Letteratura Italiana, dal professore di ingegneria Luciano De Menna e dai giornalisti Antonello Perillo e Titti Marrone. Verranno così decisi i cinque vincitori che verranno premiati con la pubblicazione del proprio lavoro in formato e-book.
Per molti degli attuali partecipanti, il passaggio alla seconda fase delle votazioni viene già considerato una vittoria. È di quest’idea Giuseppe Alvino, studente al primo anno di Filologia Moderna: “il mio obiettivo è diventare giornalista sportivo. Sto provando a percorrere più strade, anche quella della scrittura di racconti. Partecipo a questo concorso con “Trauma cranico”, una riflessione amara sui rapporti umani. Spero di vincere, ma mi basterebbe già essere letto da De Giovanni e dai professori Mazzucchi e De Vivo”. Della sua stessa opinione è il coetaneo e collega (come studente e aspirante giornalista) Pasqualino Bellotta: “mi piacerebbe vincere. L’importante è passare almeno allo step successivo per far leggere il mio lavoro (“La metropolitana dello scrittore”) a Mazzucchi e agli altri”. I membri della giuria hanno anche contribuito a far conoscere il concorso. Lo spiega Carmine Ferraro, iscritto al secondo anno di Filologia moderna: “De Giovanni pubblicizzò il concorso e ho deciso in seguito di partecipare con “I famigli dello straniero”. Il mio è un esercizio letterario. I famigli sono le persone che ruotano intorno a un feudatario. L’ho pensato sia per le opere che abitano la biblioteca sia per le persone che vivono nel mondo. Spero di riuscire a pubblicare”.
Può presentare una nuova opera anche chi ha già partecipato l’anno scorso. Nel 2012 ha ottenuto un premio speciale lo studente del primo anno Magistrale di Sociologia Pasquale Aversano. Quest’anno partecipa con “Diginonno in Fb”, un romanzo che analizza i rapporti tra gli anziani e le giovani generazioni di nativi digitali. Le gratificazioni fanno piacere, ma non sono il suo scopo principale: “scrivo per passione. Sono agli inizi. Il mio obiettivo è solo quello di farmi conoscere”. Cerca notorietà anche Vittorio Todisco, aspirante avvocato di venti anni iscrittosi quest’anno a Giurisprudenza. Il suo racconto, “Storia d’un uomo”, è per lui un banco di prova: “ho partecipato al concorso per farmi notare, per verificare se la mia scrittura piace alla gente”.
Per il 2013, gli organizzatori hanno deciso di limitare la partecipazione al concorso soltanto ai romanzi e ai racconti, così da rendere più agevole la valutazione delle opere. La decisione ha trovato il consenso di quasi tutti i partecipanti. Per Roberto Flauto, iscritto al Corso di laurea Magistrale in Comunicazione pubblica, sociale e politica, è necessario, però, fare le dovute distinzioni: “se per poesia si intendono solo versi e rima, allora è meglio toglierla. Se invece racchiude qualcosa di veramente poetico, allora non ci devono essere limitazioni”.     È scritto in prosa anche il romanzo “Percezioni surreali” di Claudia Del Prete, la studentessa di Scienze e tecniche psicologiche che l’anno scorso è salita sul podio con “Sfumature ingannevoli”. A suo avviso, “eliminare la poesia è giusto solo relativamente, perché opere dello stesso genere rendono più semplice la valutazione. Il contro però sta nel dover per questo sacrificare i versi”. Dello stesso parere è lo studente di Scienze della pubblica amministrazione Vincenzo Alfano: “se è proprio necessario operare una scelta tra prosa e poesia, allora è più giusto sacrificare quest’ultima”. Non è un paese per versi. A stabilirlo, secondo Denise Ugliano, frequentante del Corso di Filologia, letteratura e civiltà del mondo antico, sarebbero anche logiche commerciali dettate dalla naturale necessità di vendere il prodotto libro: “l’anno scorso ho partecipato al concorso con una raccolta di poesie. Ma quest’anno accettavano solo lavori in prosa. Quindi ho presentato “Storia di Arianna”, un racconto che ho scritto al liceo e nel quale riprendo il mito della donna abbandonata da Teseo. Mi dispiace per la poesia, ma capisco la decisione. Credo che un libro di racconti si legga molto di più di una raccolta di rime”.
Uno dei punti fondamentali del regolamento di “Inchiostro digitale” è che può presentare il proprio lavoro qualsiasi membro dell’Ateneo, a prescindere dalla facoltà che frequenta.     Probabilmente smentendo ogni previsione, il concorso ha visto l’anno scorso l’ampia adesione di studenti di Ingegneria, arrivati addirittura secondi come numero di partecipanti.    
Quest’anno, dal Dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale, è arrivato un racconto scritto dal professore di Idraulica Armando Carravetta. Il docente, che per ora è l’unico con questo ruolo a partecipare all’attuale edizione del concorso, ha confermato che il mondo scientifico non è affatto chiuso alle discipline letterarie: “mi sento spesso con molti colleghi di Facoltà umanistiche. Io vengo da un liceo classico e credo che le conoscenze di storia, filosofia e letteratura siano necessarie per la formazione di una persona. Per questo motivo sono un avversario dei test puramente numerici”. Il suo interesse per la letteratura è datato: “coltivo la passione per la scrittura dai tempi del liceo. A quell’epoca forse non sono stato aiutato ad andare fino in fondo. Solo negli ultimi anni mi sono rimesso a scrivere e ho pubblicato, a mio spese, un romanzo pensato come il seguito ecologista del gabbiano Jonathan Livingstone”. L’opera in gara, invece, “Addio mammina”: “è un’inchiesta di un investigatore molto particolare, un netturbino ficcanaso che fa indagini per conto suo. Potrebbe esserci anche un seguito perché, a prescindere dal successo editoriale, scrivo per me stesso”. Non gli crea alcun imbarazzo la competizione con i partecipanti più giovani: “io sto sempre con studenti e dottorandi. Non è un problema gareggiare con loro, anzi, è piacevole”. Il concorso è nato dalla spinta di Ateneapoli verso il digitale. A suo avviso, i nuovi formati che stanno invadendo il mondo dell’editoria non sembrano poter mettere a repentaglio la sopravvivenza del supporto cartaceo: “da lettore preferisco la carta, però il romanzo l’ho scritto con l’I- phone. Credo che i nuovi mezzi siano necessari per chi scrive, ma non per chi legge. La carta, la fotografia, il disegno e tutto quello che è fissato su supporti tradizionali conservano quello che sentiamo in una forma capace di tramandare il messaggio nel tempo. Oggi non sappiamo se le strutture digitali, per quanto utili, siano capaci di conservare a lungo un contenuto. Per questo motivo il libro resta indispensabile sia per le discipline umanistiche che per quelle scientifiche”. Il docente, che in maniera diversa si è dedicato ad entrambi i saperi, non ha alcun pentimento per le strade percorse: “la scelta della Facoltà arriva quasi sempre quando si è ancora immaturi per decidere cosa si vuole fare nella vita. Spesso ci si lascia guidare dall’impulso. Non mi pento della mia scelta. Sono soddisfatto del lavoro che faccio. L’attività di scrittore potrebbe anche diventare una professione, ma questo dipende solo dai lettori”. 
Ciro Baldini 
 
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