Covid e dati: il ruolo della statistica

L’epidemia da Covid-19 ha portato con sé un’infinità di dati che, data la loro copiosità, hanno finito per confondere l’utente che ne volesse fruire e per generare una sensazione di smarrimento. Sì, perché il dato, come dice la prof.ssa Rosanna Verde, ordinario di Statistica del Dipartimento di Matematica e Fisica, “deve essere interpretato, non può essere preso così come ci appare e comunicato subito. Questo serve a preservare e garantire la qualità del dato, che è il principio chiave in Statistica”. È per questo che il 17 marzo si è tenuto un seminario, erogato sulla piattaforma Microsoft Teams, dal titolo I dati al tempo del Covid-19. “L’incontro – racconta la prof.ssa Verde – rientra in un ciclo di seminari previsti per l’orientamento in ingresso ed è rivolto principalmente agli studenti degli istituti superiori e a quelli del Corso di Laurea internazionale in Data Analytics (che la docente coordina, n.d.r.), ma naturalmente è aperto a chiunque, dato l’alto interesse e l’attualità delle tematiche affrontate”. Sin dalle prime fasi dell’epidemia, nel marzo 2020, si è riscontrato un grande interesse nei confronti dei dati, ma ad occuparsene sono stati principalmente Istituti di Sanità, come l’OMS, e nel nostro Paese sono stati divulgati unicamente dalla Protezione Civile, senza l’avvalersi di esperti statistici: “nel trattamento dei dati bisogna però considerare tre fattori principali: la qualità del dato, il suo trattamento e la comunicazione. Per essere attendibile, un dato deve essere connesso, attinente e rappresentativo del fenomeno posto sotto analisi. Ad esempio, grande confusione è stata fatta nell’interpretazione di due principali parametri: l’indice di positività e l’RT (il numero di individui che una persona infetta può mediamente contagiare). All’opinione pubblica è arrivato che l’indice di positività corrispondesse al numero di persone infette, ma non è così!”, chiosa la docente. L’infezione da Covid-19 è un fenomeno molto variabile per area geografica, fascia d’età, sesso e professione, “ed è per questo che un indice di positività che rifletta la realtà del fenomeno dovrebbe tener conto dell’alta variabilità dell’infezione”, dice la prof.ssa Verde. I dati principali provengono dal numero dei tamponi effettuati, ma nel nostro Paese chi lo effettua è colui che ha il sospetto di aver contratto il virus o che presenta alcuni sintomi: “ciò significa che tra coloro che effettuano il tampone è più probabile che ci siano positivi. Ad oggi la percentuale dei positivi tra coloro che effettuano il tampone è del 7 per cento, ma attenzione! Ciò non significa che di conseguenza sia positivo il 7 per cento della popolazione, perché questa sarebbe una cosa gravissima”. Quello che manca è dunque un campione, cioè una parte di popolazione che comprenda individui di qualsiasi età, sesso e professione: “sottoponendo questo campione di individui al tampone e traendo da essi il numero di positivi, ci si potrà rendere conto di quanto sia effettivamente incidente l’infezione a livello di popolazione; va da sé che maggiore è il numero di individui compresi nel campione, più attendibile sarà il dato”, spiega la docente. L’Istat (Istituto Nazionale di Statistica) ha anche proposto di affiancare gli epidemiologi e gli Istituti di Sanità nel vaglio dei dati via via occorsi, purtroppo non c’è stato un riscontro positivo dacché l’emergenza è stata gestita esclusivamente dal punto di vista medico. “Credo che in futuro il ruolo degli statistici sia destinato ad essere maggiormente riconosciuto, anche per quanto concerne l’evoluzione del virus e gli sviluppi futuri”, si augura la docente. Oltre al problema della qualità del dato e del suo trattamento, come abbiamo visto, c’è però anche quello della divulgazione e quindi della comunicazione: “molte testate giornalistiche, anche le più attendibili, hanno spesso divulgato dati inesatti, questo perché oggi c’è un’altissima competizione nel campo dell’informazione che porta alla ricerca spasmodica dello scoop: troppe informazioni, tuttavia, corrispondono spesso a nessuna informazione”, dice la prof.ssa Verde. Molti giornalisti oggi seguono dei corsi di formazione in analisi dei dati, “proprio per non gettare dati a caso nell’acervo di parole cui siamo sottoposti quotidianamente, e trasmettere quindi un’informazione attendibile e consapevole”, conclude la docente.
A un anno esatto dall’insorgenza del virus nel nostro Paese molti sono i progressi compiuti, e l’appello della comunità degli statistici sta forse a dimostrare un’ulteriore presa di coscienza. Sta di fatto che è dalla collaborazione interdisciplinare e dallo scambio di conoscenze che si ottengono i risultati migliori, così come accaduto nella corsa al vaccino, in cui sono confluite le competenze di migliaia di esperti permettendo così di accorciare sensibilmente i tempi di sviluppo di una vaccinoprofilassi. Consentire a esperti statistici di interpretare i dati può contribuire a salvare delle vite e a prevedere il futuro dell’infezione: questo è l’appello della comunità degli statistici cui la prof.ssa Verde appartiene e, in questo scenario, il seminario dello scorso 17 marzo vuole essere un richiamo alla divulgazione intelligente del dato.
Nicola Di Nardo

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