Curare l’immagine degli spazi, dialogare con gli studenti, investire

Interviene per il Dipartimento di Asia, Africa e Mediterraneo il prof. Giorgio Amitrano, ordinario di Letteratura Giapponese e noto traduttore, che in quasi trent’anni di insegnamento ha ricoperto diversi ruoli istituzionali presso l’Ateneo. “Sarà prioritario per l’Università come per il Paese avviare una nuova fase di ricostruzione. L’emergenza ci vede tutti uniti dalla stessa parte con l’unico desiderio di non interrompere le attività didattiche in corso, cosa che avrebbe creato notevoli difficoltà agli studenti”. Da questo frangente critico, lungi da slogan retorici, occorre tirar fuori il lato positivo dell’esperienza. “Prima di questa circostanza, non ero mai stato un fautore della didattica virtuale. Credo anzi fermamente che la cosa fondamentale quando s’insegna sia il rapporto diretto con la classe. È un po’ come quando si va a teatro, quella magia irripetibile che si crea tra scena e platea: solo sul campo si misura la temperatura emotiva, si testano le reazioni e il grado di attenzione di chi si ha davanti. Dal vivo riusciamo a capire se gli studenti hanno delle perplessità, quando sono stanchi o il momento in cui si è finalmente raggiunta una buona interazione tra le parti. Sta proprio in questo meccanismo legato alla presenza l’aspetto più appassionante del mestiere di docente”. Rispetto al nulla, tuttavia, “gli strumenti informatici ci consentono di adoperare delle soluzioni provvisorie che, però, non sono assolutamente sostitutive. Ma in questo momento servono a darci coraggio. Pensiamo a cosa sarebbe stato se non avessimo avuto Internet e gli altri ausili online”. Quando si rientrerà in aula, “respireremo un clima diverso. Noto con piacere, però, l’immensa solidarietà che riesco a constatare nel dialogo con tutti gli attori in causa. E vorrei, quindi, che anche in funzione del cambiamento ai vertici si continuasse in questa tradizione di confronto, adesso necessario più che mai, nel solco del progetto che L’Orientale da un po’ di anni porta avanti nel perseguimento di obiettivi comuni”.
Spazi: la “vera grande scommessa”
Gli strumenti d’intervento riguardano più settori. Innanzitutto, “come avranno già ribadito i miei colleghi, il discorso sugli spazi è la vera grande scommessa. Abbiamo delle sedi molto belle, dove però gli studenti non riescono a seguire ‘comodamente’ le lezioni”. L’inefficienza degli spazi “è il rovescio della medaglia del nostro più grande pregio: la varietà dei corsi. Offrire un così fitto numero di lingue, specializzazioni, legami interdisciplinari vuol dire intercettare molteplici interessi nella potenziale platea di iscritti. Per custodire questa ricchezza, direi ‘sostanziale’, occorre incanalarla in una forma più adeguata, in un’immagine più idonea. Altrimenti si rischia che la forma vada ad incidere negativamente sulla qualità di cui siamo strenui difensori”. Certamente, “vi sono corsi molto specifici che non hanno il problema di ‘dove far sedere lo studente’ e garantiscono un contatto one-to-one in aula. Ma ci sono talvolta lezioni, sia per le lingue orientali che occidentali, dove registriamo centinaia di frequentanti (inglese, francese, tedesco, spagnolo, russo, cinese, giapponese, arabo e ultimamente anche il coreano è richiestissimo)”. Un problema che “affronteremo sicuramente con il nuovo Rettore nella speranza di ottenere in tempi non troppo lunghi risposte soddisfacenti. A questi temi si lavora da moltissimi anni, già quando ero parte del Consiglio di Amministrazione”, dal 2003 al 2006. E molti tentativi sono stati fatti per intervenire sulla questione: “abbiamo provato a sdoppiare i corsi con l’immenso impegno dei nostri Uffi ci che hanno fatto in modo di aiutarci venendo incontro alle esigenze di docenti e studenti per limitare gli spostamenti tra le sedi”. Da un lato, “gli spazi devono rispondere alle esigenze dei corsi” e, dall’altro, anche il corpo docente e l’amministrazione necessitano di rinforzi. “Abbiamo molti giovani ricercatori, dovremmo distribuire la loro presenza in maniera equa sui vari insegnamenti”. Al contrario, “fare affidamento sui docenti a contratto è un meccanismo controproducente, che alimenta forme di precariato e richiede un notevole costo per l’Ateneo”. Investire è certamente più rischioso, “ma questo limite è legato alla considerazione che la scuola e l’Università rivestono sul piano nazionale. Sono stato Preside di Facoltà – a Scienze Politiche dal 2010 al 2012 – nella fase di passaggio storica e devo dire che per quanto un Ateneo possa sforzarsi di interpretare al meglio una legge, o come si dice in inglese ‘make the best of it’, siamo necessariamente vincolati in quanto Università pubblica alle decisioni dei piani alti. E alla cultura spesso si guarda con ostilità in politica, come se fosse qualcosa di preoccupante”. L’Orientale, però, nel suo piccolo ha dei vantaggi. “A differenza di grandi Atenei di tipo generalista, come la Federico II o La Sapienza di Roma, siamo una piccola isola con delle radicate specificità. Occorre valorizzarle con una buona presentazione”, dunque “curare di più i luoghi dove trascorriamo intere giornate”. Sebbene possa sembrare un discorso in apparenza meno influente quello correlato agli spazi fisici, “la manutenzione delle strutture architettoniche o il funzionamento dei servizi igienici sono il primo biglietto da visita”. Come in un sistema informatico, “nell’Università ci sono software e hardware. Noi adesso dobbiamo lavorare sull’hardware”. Anche in prospettiva dei traguardi raggiunti con l’internazionalizzazione: “quando i nostri studenti vanno all’estero si rendono conto dei mezzi che hanno a disposizione gli Atenei stranieri e quasi mai il confronto gioca a nostro favore”. Al contrario, “quando ospitiamo docenti da Oxford o da Yale ci piacerebbe mostrare loro un’immagine migliore che possa dar lustro ai nostri meriti didattici e scientifici”. Al contrario, “non credo che col futuro Rettore si discuterà di un ripensamento legato all’offerta formativa. È necessario che la si adegui, come detto, a mezzi, materiali e strutture più performanti”. Non trascurabile, infine, un rinforzo degli strumenti critico-metodologici sul piano didattico. Per esempio, “insegnando letteratura, in aula mi capita di leggere con gli studenti e chiedere loro di proporre una possibile traduzione. Ed è in un modo indiretto, attraverso le riflessioni che un testo attiva, che cerco di insegnare a leggere da una certa prospettiva, a intravedere possibili strategie traduttive e, in generale, a carpire il significato che sta dietro l’uso delle parole. E anche questo aspetto è importante per lo studente, che lui stesso si senta ispirato dalla nostra passione”. Pertanto, “il mio unico auspicio è continuare a far parte di un Ateneo in cui autorità, docenti e studenti si sentano dalla stessa parte, non separati da un muro, bensì entrambi protagonisti di un percorso fatto di saperi, collaborazione e scoperte. Ritengo che sia questa la strada avviata dai precedenti Rettorati e sono sicuro che con tali presupposti non ci resti che prepararci nei prossimi mesi a una nuova grande sfida”.
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