Il Don Giovanni, opera che riprende il topos del dissoluto impunito, così stratificato nella cultura e nell’ambito europeo da assumere le sembianze del mito. Una riflessione multidisciplinare ha appassionato per tre giorni –il 27,28 e 29 aprile- antropologi, musicologi e studiosi di letteratura di livello mondiale riuniti nella Sala degli Angeli del Suor Orsola Benincasa in occasione di un convegno nato nell’ambito delle celebrazioni per i 250 anni dalla nascita di Mozart.
La prima giornata, presieduta da Loredana Lipperini, è stata aperta dall’intervento di Nadia Fusini, autrice del libro Genio d’Amore, nel quale si narra il volto appassionato e coatto del Don Giovanni, al quale piace bere, danzare, corteggiare, divertirsi; egli rappresenta la tarda rinascita di un dio pagano. Nel Don Giovanni prevale non la volontà ma l’istinto. La Fusini dice: “Don Giovanni si concede al proprio autoerotismo che prevede il piacere altrui. Nel mondo naturale è l’immediatezza sensuale che vuole e consuma”. Il desiderio, sostiene ancora Fusini, “è sporco per Amleto il quale ordina ad Ofelia di andare in convento, dichiarando che non ci saranno più matrimoni dopo quello della madre con lo zio. Lutero, invece, riconosce che non si può negare a nessuno il desiderio, meglio sposarsi quindi anche per chi si sia dedicato a dio. Per il Don Giovanni di Mozart i tempi sono cambiati; un secolo dopo, infatti, egli sfida il castigo cercando ostinatamente il piacere”. Da questo intervento è quindi possibile dedurre che il tempo del Don Giovanni vive nell’attimo, egli rinvia il futuro per dare sfogo al piacere del momento.
Al convegno, altra testimonianza autorevole è stata quella di Mario Martone, al lavoro per la regia di Don Giovanni e della trilogia Mozart – Da Ponte. Martone ha diretto due volte in teatro il Don Giovanni, nel 2001 e quest’anno, apportando delle variazioni sulla scena quali l’uso di una scenografia che non fosse soggetta a cambiamenti, insieme allo spostamento in avanti sul palcoscenico dei cantanti. Martone dice: “Don Giovanni è stato lo spettacolo che mi ha rivelato la giustezza di questa impostazione. Le opere come ‘Le nozze di Figaro’, ‘Così fan tutte’, e ‘Don Giovanni’ appunto, rappresentano un corpo unico, esiste una linea che collega questi componimenti che comunque risultano caratterizzati da una differenza strutturale”. “Le Nozze di Figaro – continua Martone – possono essere paragonate ad una fotografia nitida, in cui vi è una grande cura del dettaglio. Don Giovanni, invece, sembra una fotografia scattata in movimento; quest’opera può assumere diverse interpretazioni ed è proprio per questa sua forma scomposta che è difficile da mettere in scena, infatti la tenuta narrativa può divenire farraginosa. In definitiva nel Don Giovanni vi è malinconia ed un qualcosa che dà un’idea crepuscolare”.
A seguire si registra l’intervento del prof. Marino Niola, che ha messo in luce la velatura del mito e le variazioni barocche, in altre parole ha posto l’accento sul Don Giovanni prima di Mozart. Niola afferma: “Le numerose varianti barocche, costituiscono le vere basi del mito del Don Giovanni; in età barocca, infatti, vi è la prima vera rappresentazione del mito. Nei primi sedici anni del ‘600, nel teatro spagnolo, i temi sviluppati sono quelli della statua animata e del personaggio ingannatore, che ritroviamo anche nell’opera di Mozart, aventi come costante scenica l’irruzione del soprannaturale”.
Illuminante l’intervento che ha chiuso la prima giornata del convegno ad opera di Umberto Curi, sulla filosofia del Don Giovanni e sulla negazione dello stereotipo della sua figura, così fuorviante. Curi inizia raffrontando i testi di Tirso di Molina, che rappresenta il Don Giovanni nel 1625, e il testo di Da Ponte per mettere in mostra come l’inizio di entrambe le opere sia caratterizzato da una negazione della propria identità da parte del Don Giovanni. A conferma di questa tesi il Curi dice: “Il confronto dei due testi, dimostra come il Don Giovanni appartenga a quella schiera di eroi senza nome che popola la cultura d’Occidente. Di questa schiera fanno parte Edipo, Odisseo sempre caratterizzato dalla sua molteplicità e che risponde a Polifemo dicendo di chiamarsi Nessuno, lo stesso Amleto e sicuramente il Don Giovanni il cui nome non può essere pronunciato in forma univoca. Dal 1630 in poi, si è raccolta la sfida del Don Giovanni cercando di definirlo, ma da nessun punto di vista, se analizziamo i testi di Tirso, Moliere, Mozart – Da Ponte, vi è traccia dello stereotipo del seduttore, ma al contrario vengono trattate tesi di argomento filosofico, dottrinale e teologico”. Infine Curi conclude il proprio contributo con una interessante tesi sul significato della fine del Don Giovanni. Egli dice: “Il Don Giovanni viene inghiottito vivo all’inferno, quindi subisce la pena peggiore che possa esistere. Bisogna considerare che è necessario vi sia sempre una corrispondenza tra pena e colpa, ma la colpa del Don Giovanni non può essere ricercata nel tentativo di seduzione di una donna, bensì nella sua sfida alla divinità, nel suo trasformare l’amore in una burla, nell’inganno. Ecco quindi che questa colpa merita di essere sanzionata nel modo peggiore”.
Gianluca Cammarota
La prima giornata, presieduta da Loredana Lipperini, è stata aperta dall’intervento di Nadia Fusini, autrice del libro Genio d’Amore, nel quale si narra il volto appassionato e coatto del Don Giovanni, al quale piace bere, danzare, corteggiare, divertirsi; egli rappresenta la tarda rinascita di un dio pagano. Nel Don Giovanni prevale non la volontà ma l’istinto. La Fusini dice: “Don Giovanni si concede al proprio autoerotismo che prevede il piacere altrui. Nel mondo naturale è l’immediatezza sensuale che vuole e consuma”. Il desiderio, sostiene ancora Fusini, “è sporco per Amleto il quale ordina ad Ofelia di andare in convento, dichiarando che non ci saranno più matrimoni dopo quello della madre con lo zio. Lutero, invece, riconosce che non si può negare a nessuno il desiderio, meglio sposarsi quindi anche per chi si sia dedicato a dio. Per il Don Giovanni di Mozart i tempi sono cambiati; un secolo dopo, infatti, egli sfida il castigo cercando ostinatamente il piacere”. Da questo intervento è quindi possibile dedurre che il tempo del Don Giovanni vive nell’attimo, egli rinvia il futuro per dare sfogo al piacere del momento.
Al convegno, altra testimonianza autorevole è stata quella di Mario Martone, al lavoro per la regia di Don Giovanni e della trilogia Mozart – Da Ponte. Martone ha diretto due volte in teatro il Don Giovanni, nel 2001 e quest’anno, apportando delle variazioni sulla scena quali l’uso di una scenografia che non fosse soggetta a cambiamenti, insieme allo spostamento in avanti sul palcoscenico dei cantanti. Martone dice: “Don Giovanni è stato lo spettacolo che mi ha rivelato la giustezza di questa impostazione. Le opere come ‘Le nozze di Figaro’, ‘Così fan tutte’, e ‘Don Giovanni’ appunto, rappresentano un corpo unico, esiste una linea che collega questi componimenti che comunque risultano caratterizzati da una differenza strutturale”. “Le Nozze di Figaro – continua Martone – possono essere paragonate ad una fotografia nitida, in cui vi è una grande cura del dettaglio. Don Giovanni, invece, sembra una fotografia scattata in movimento; quest’opera può assumere diverse interpretazioni ed è proprio per questa sua forma scomposta che è difficile da mettere in scena, infatti la tenuta narrativa può divenire farraginosa. In definitiva nel Don Giovanni vi è malinconia ed un qualcosa che dà un’idea crepuscolare”.
A seguire si registra l’intervento del prof. Marino Niola, che ha messo in luce la velatura del mito e le variazioni barocche, in altre parole ha posto l’accento sul Don Giovanni prima di Mozart. Niola afferma: “Le numerose varianti barocche, costituiscono le vere basi del mito del Don Giovanni; in età barocca, infatti, vi è la prima vera rappresentazione del mito. Nei primi sedici anni del ‘600, nel teatro spagnolo, i temi sviluppati sono quelli della statua animata e del personaggio ingannatore, che ritroviamo anche nell’opera di Mozart, aventi come costante scenica l’irruzione del soprannaturale”.
Illuminante l’intervento che ha chiuso la prima giornata del convegno ad opera di Umberto Curi, sulla filosofia del Don Giovanni e sulla negazione dello stereotipo della sua figura, così fuorviante. Curi inizia raffrontando i testi di Tirso di Molina, che rappresenta il Don Giovanni nel 1625, e il testo di Da Ponte per mettere in mostra come l’inizio di entrambe le opere sia caratterizzato da una negazione della propria identità da parte del Don Giovanni. A conferma di questa tesi il Curi dice: “Il confronto dei due testi, dimostra come il Don Giovanni appartenga a quella schiera di eroi senza nome che popola la cultura d’Occidente. Di questa schiera fanno parte Edipo, Odisseo sempre caratterizzato dalla sua molteplicità e che risponde a Polifemo dicendo di chiamarsi Nessuno, lo stesso Amleto e sicuramente il Don Giovanni il cui nome non può essere pronunciato in forma univoca. Dal 1630 in poi, si è raccolta la sfida del Don Giovanni cercando di definirlo, ma da nessun punto di vista, se analizziamo i testi di Tirso, Moliere, Mozart – Da Ponte, vi è traccia dello stereotipo del seduttore, ma al contrario vengono trattate tesi di argomento filosofico, dottrinale e teologico”. Infine Curi conclude il proprio contributo con una interessante tesi sul significato della fine del Don Giovanni. Egli dice: “Il Don Giovanni viene inghiottito vivo all’inferno, quindi subisce la pena peggiore che possa esistere. Bisogna considerare che è necessario vi sia sempre una corrispondenza tra pena e colpa, ma la colpa del Don Giovanni non può essere ricercata nel tentativo di seduzione di una donna, bensì nella sua sfida alla divinità, nel suo trasformare l’amore in una burla, nell’inganno. Ecco quindi che questa colpa merita di essere sanzionata nel modo peggiore”.
Gianluca Cammarota