Giancarlo Siani “un modello per i giovani”

“Siani amava profondamente il suo mestiere e riponeva in esso cura e fatica. Non anteponeva il traguardo carrieristico al lavoro. Oggi c’è l’idea che bisogna arrivare subito al successo e l’apparato mediatico costruisce dal nulla – meritatamente o immeritatamente – personaggi di successo. Talvolta figure pittoresche e perfino negative. Si dà un messaggio fuorviante, secondo il quale il successo si raggiunge con un colpo di mano, una conoscenza, una occasione fortunata, un asso nella manica. Giancarlo era certamente interessato a diventare un giornalista affermato e ad avere un contratto a tempo indeterminato, ma il suo primo obiettivo era di svolgere bene il suo lavoro passo dopo passo”. Trentacinque anni dopo il suo omicidio la vita di Giancarlo Siani ha ancora molto da dire, secondo Armando D’Alterio, alle ragazze ed ai ragazzi che si iscrivono all’Università per inseguire il sogno di un lavoro che piaccia loro e che li gratifichi. D’Alterio è il Pubblico Ministero che ha condotto l’inchiesta attraverso la quale sono stati identificati i sicari del giovane cronista precario ucciso nel 1985. Oggi è Procuratore Generale a Potenza. Ha scritto un libro per raccontare quella vicenda. Si chiama “La stampa addosso”, edito da Guida e curato dai giornalisti Conchita Sannino ed Ottavio Ragone, del quotidiano la Repubblica. È una operazione di memoria che ricostruisce anche il clima di quell’epoca e dalla quale trapelano l’umanità e la personalità del cronista precario de Il Mattino assassinato a 26 anni il 23 settembre 1985. D’Alterio risponde in questa intervista alle domande di Ateneapoli. Perché un libro su Siani e perché proprio adesso? “Il primo motivo è che è trascorso abbastanza tempo. Nel 2000 la Cassazione ha confermato le condanne a carico dei responsabili dell’omicidio e da allora sono trascorsi venti anni. Un magistrato deve mantenersi in una ottica di sobrietà e riservatezza e non sarebbe stato opportuno scrivere il libro a poca distanza dalla conclusione della vicenda giudiziaria. Un altro motivo è che ho voluto riconoscere a Siani ciò che gli era dovuto e per farlo ho cercato di raccontare la sua figura di giornalista corretto, integro. Un modello per i giovani. Nelle scuole dove sono andato a parlare di legalità e lotta alla criminalità ho visto che i ragazzi hanno bisogno di figure positive, di simboli. Ho scritto il libro anche per rendere onore agli uomini della Polizia dei quali nessuno sa nulla. Persone che per catturare esponenti di quei clan hanno rischiato la vita in senso letterale”.
“C’è chi immagina di raggiungere subito la vetta senza passare per le falde della montagna”
Cosa racconta la vita di Giancarlo Siani ad un giovane che si affaccia alla Università e che si iscriva a Giurisprudenza nella speranza di diventare un giorno magistrato, oppure a Lettere, Scienze Politiche o Sociologia con l’ambizione, poi, di diventare giornalista? “Giancarlo voleva fare bene il suo lavoro anche nei dettagli. Sapeva che questo aiuta a raggiungere livelli di eccellenza in quello che si fa. Lo ha tenuto presente in ogni momento della sua breve esistenza. Il suo approccio è un esempio oggi per chi affronta gli studi universitari o prepara il concorso per accedere alla magistratura. C’è l’idea che per vincere bisogna affrontare chissà quale vetta e ci si scoraggia, oppure, al contrario, c’è chi immagina di raggiungere subito la vetta senza passare per le falde della montagna. Due atteggiamenti opposti ed entrambi sbagliati. Servono pazienza, da non confondere con l’inerzia, e tenacia. Nel percorso universitario e dopo la laurea, quando ci si approccia, per esempio, al concorso in magistratura. È una preparazione che va fatta passo dopo passo, quella per il concorso in magistratura, con cura e pazienza. La frase di San Francesco d’Assisi che ho scelto di mettere all’inizio del libro su Giancarlo Siani dovrebbe essere ricordata sempre dai giovani che ambiscono a diventare magistrati o giornalisti. Dice San Francesco: ‘Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile’. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Immagini che un giovane studente di Giurisprudenza oggi venga nel suo ufficio e le parli del suo desiderio di entrare in magistratura per contrastare la criminalità organizzata. Cosa gli direbbe? “Che per fortuna i mezzi di contrasto sono ora più effi caci che all’epoca di Siani. Oggi è normale che un magistrato che indaga su un clan continuerà ad occuparsene fino a che non abbia conseguito un obiettivo o decida di dedicarsi ad altro. All’epoca si diceva: hai indagato, ora non seguire più tu perché sarebbe persecutorio. Il fenomeno della criminalità organizzata era sottovalutato, non c’era la chiara consapevolezza che fosse un cancro da demolire. Forse nel non detto di qualche capo degli uffi ci giudiziari c’era l’idea che con queste organizzazioni criminali si dovesse fare i conti, quasi convivere. Alcuni capi all’antica degli uffi ci giudiziari, anche in buona fede, dicevano che il magistrato non deve indagare i fenomeni ma i singoli delitti. Peccato che l’associazione mafiosa sia un fenomeno e non puoi valutarla se sganci dal tessuto sociale determinati atteggiamenti. Se io entro in un negozio a Palermo ed a Napoli e dico che sto facendo una colletta per i detenuti, la mia frase ha un senso ben diverso che se la pronuncio a Trento. C’è voluta la creazione della Direzione Nazionale Antimafi a e delle Direzioni Distrettuali Antimafi a per superare alcuni approcci inefficaci al fenomeno malavitoso”.
“Il bravo giudice si appassiona anche ad un processo bagatellare”
Cos’altro gli racconterebbe? “Gli direi che il fenomeno malavitoso mi pare sia in parte cambiato. Sono aumentati i livelli di corruzione, si sono ridotti quelli di intimidazione diretta. Al tavolo con tre sedie – politici, imprenditori e pubblici amministratori – si è sostituita una sedia di comando unica nella quale siede un soggetto che unisce le tre caratteristiche. Ormai la mafia tende a creare un unico pacchetto economico, politico ed imprenditoriale che si chiude in una sola persona. Ci sta un forte riciclaggio e la mafia agisce non con facce note ma con imprenditori immuni da precedenti i quali, con l’aiuto di personaggi specializzati in giochi bancari e commerciali, fanno finta di non sapere da dove viene il denaro, ma lo sanno bene. L’emergenza Covid, la pioggia di risorse in arrivo e la necessità di fare presto, come tutte le emergenze – si pensi al post terremoto – accresce il pericolo di infiltrazioni malavitose nella gestione dei fondi. Rischia di passare in secondo piano la cautela antimafia in ragione della cautela antiCovid, ma ce ne pentiremo tra qualche anno”. Non parlerebbe della sua esperienza? “Le racconterei che ho iniziato questo lavoro nel 1981 a Savona e mi occupavo delle cause degli incidenti stradali, poi mi capitò un processo importante, che riguardava una causa per un contratto di borsa sospeso. Non mi sentivo umiliato quando ascoltavo i testimoni che riferivano della dinamica di un tamponamento e mettevo lo stesso impegno che dedicavo a quel processo che investiva delicate questioni finanziarie. La cura verso il lavoro che si è scelto è fondamentale nella vita e questo devono sempre ricordarlo anche gli studenti che sognano di diventare magistrati. Direi, anzi, soprattutto loro, perché nelle vicende di giustizia si discute della vita delle persone ed anche una lite condominiale può renderla impossibile. Il bravo giudice si appassiona anche ad un processo bagatellare”. Ad un giovane aspirante giornalista, invece, che consigli darebbe? “Gli racconterei che ho scritto il testo del libro dedicato a Giancarlo Siani almeno una ventina di volte per renderlo semplice. Io, magistrato, sono abituato a scrivere rivolgendomi ai colleghi in giuridichese, frasi articolate di sei o sette righi con principali e subordinate. Non andava bene. La comunicazione deve essere di contenuto, semplice e chiara”.
Fabrizio Geremicca

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