Giovani, appassionati, vantano esperienze all’estero e progetti di grande interesse: i ricercatori premiati da Star si raccontano

Ritorna Star, il programma di finanziamento di progetti che abbiano come Principal Investigator un giovane ricercatore della Federico II. È una iniziativa che nasce dalla collaborazione tra l’Ateneo e la Compagnia di San Paolo e che è sostenuta per complessivi 2.297.000 euro, dei quali 978.000 dalla Compagnia di San Paolo ed il resto dall’Università. Sono più di cento i progetti che una commissione esterna ha considerato meritevoli di finanziamento e sono stati suddivisi in varie categorie: massima priorità, alta priorità, priorità e finanziabile. I gruppi coordinati da Chiara Di Malta, che afferisce al Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, e da Salvatore Fusco
(Biologia) sono quelli che hanno ricevuto la somma maggiore: 100 mila euro ciascuno. I progetti classificati con la qualifica di massima priorità sono venti. Tra essi c’è quello di Maria Luisa Di Martino, che fa parte del Dipartimento di Studi Umanistici, è laureata in Psicologia, è psicoterapeuta familiare e di coppia ed ha conseguito nel 2011 il dottorato. “Il nostro obiettivo – dice Di Martino – è creare un modello innovativo di elaborazione narrativa dell’esperienza traumatica legata all’insorgenza di cancro al seno in età precoce, al di sotto dei 40 anni, e al relativo percorso di cure. Un modello che, a differenza di quanto è stato fatto finora, consenta di elaborare
l’esperienza traumatica non al termine delle cure, ma nel corso della malattia e della terapia. Sarà uno strumento prezioso per gli operatori che agiscono nelle istituzioni sanitarie e per orientare gli interventi di presa in carico, supporto psicologico e psicoterapia entro le diverse fasi della malattia oncologica”. Prosegue: “Il progetto durerà due anni. Attualmente sto predisponendo le procedure per poter dare avvio alle attività a partire dal prossimo mese. Si svolgeranno presso il Dipartimento di Studi Umanistici. Avremo la collaborazione dei principali centri di cura, ricerca e prevenzione oncologica del territorio”.
“Le passioni sono contagiose”
Impronte, questo il nome dello studio, è stato finanziato per 96 mila euro. Risorse preziose, sottolinea Di Martino, “perché la continua precarietà del sistema universitario mette a dura prova noi giovani ricercatori. Sempre più, siamo alle prese con una scarsità di risorse economiche e di occasioni di crescita e stabilizzazione professionale,
nonostante gli alti livelli di formazione e competenza. Questo rischia di creare sfiducia e discontinuità. Nel caso specifico della ricerca in area umanistica, questa difficoltà si avverte ancora di più”. Ciononostante, consiglierebbe oggi ad un ragazzo di intraprendere l’attività di ricerca, perché “alle proprie passioni non si può comandare. Io
sono dell’idea che bisogna seguirle e tenere duro se si persegue un sogno. Nonostante i momenti di sconforto, non saprei immaginarmi diversamente e sono immensamente grata ai ‘Maestri’ che ho incontrato nel mio percorso, i quali hanno alimentato la mia curiosità, le mie passioni, e mi hanno permesso di imparare e crescere professionalmente. Le passioni sono contagiose”. Pazienza, umiltà, capacità di mettersi in discussione e imparare
sempre – conclude – sono i requisiti indispensabili ad un buon ricercatore. Dall’elaborazione del trauma legato all’insorgenza di un tumore al seno all’economia sanitaria, disciplina forse ancora poco conosciuta in Italia, ecco il progetto che ha come capofila Carla Guerriero, trentaduenne ricercatrice in forza al Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche. Finanziato per 98 mila euro, s’intitola: “Il ruolo dei bambini nella loro salute”. Dice Guerriero: “Lo studio prevede di somministrare questionari e di intervistare genitori e bambini che frequentano le scuole napoletane per capire quanto pensano che l’ambiente possa influenzare la loro salute. Una ricerca di economia sanitaria-ambientale che coinvolgerà psicologi, economisti ed esperti di sanità pubblica”. Aggiunge: “Mi
sono occupata in passato di valutare i benefici economici delle bonifiche, per esempio nell’ambito del sito di
interesse nazionale di Gela e Priolo, per misurare cosa si risparmia in termini economici dagli interventi di recupero di aree contaminate. In queste situazioni si chiede alla popolazione quanto vorrebbero pagare per evitare le patologie connesse alla presenza di sostanze inquinanti. Si fa con gli adulti, ma è complicato con i bimbi. Da lì il mio interesse per capire da che età i bimbi siano razionali e possano rispondere in merito a questioni che riguardano la loro salute”. La ricerca coinvolge, per quanto concerne il Dipartimento di Napoli di Scienze Economiche e Statistiche, i professori Tullio Jappelli, Maria Gabriella Graziano, Ornella Wanda Maietta, Riccardo
Martina ed il ricercatore Vincenzo Platino. Partecipano anche il capo del Dipartimento Ambiente e Salute di Public Health for England Giovanni Leonardi e docenti della London School of Economics, della London School of Hygiene and Tropical Medicine e della Columbia. Le scuole interessate al progetto possono contattare guerriero.carla@gmail.com.
Il rientro “non è stato un ripiego”
È un percorso di formazione, quello della ricercatrice, che si è compiuto tra l’Italia e l’Inghilterra. Laurea Triennale in Economia alla Federico II, si è poi trasferita a Londra, dove ha conseguito un Master in Economia Sanitaria alla London School of Economics ed ha svolto ulteriori specializzazioni in questo settore. “Sono tornata in Italia – racconta – per applicare nella mia città e nel mio contesto quello che ho imparato. Sulla base della mia esperienza, ci tengo a sfatare il luogo comune che in Italia e al Sud vada tutto male e che per tornare qui a fare ricerca devi essere raccomandato”. Prosegue: “In Inghilterra ho avuto la fortuna di imparare da Maestri che hanno fondato e sviluppato questa materia, ma anche qui al Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche si svolge ricerca di alto livello. È un ambiente molto stimolante e non è stato un ripiego”. Giuseppe Rengo, 38 anni, laurea nel 2002 in Medicina, oggi ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, dove insegna Medicina Interna e Geriatria, coordina un progetto che è stato finanziato con 96 mila euro e si propone di approfondire alcuni meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza dell’insufficienza cardiaca. Lo scopo: identificare nuovi obiettivi terapeutici e quindi sviluppare terapie innovative. Il gruppo di ricerca è costituito da Nicola Ferrara, ordinario di Medicina Interna e Geriatria ed attuale Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, e Dario Leosco, associato di Medicina Interna e Geriatria, della Scuola federiciana di Medicina, da Alessandro Cannavo, attualmente post-doctoral fellow presso la Temple University di Philadelphia. La squadra si completa con Nazareno
Paolocci, docente di Medicina presso la Johns Hopkins University di Baltimora. Spiega Rengo: “La prevalenza dell’insufficienza cardiaca è altissima, circa il 2% nella popolazione adulta per superare il 10% nei pazienti ultra-settantenni. Nonostante i miglioramenti nella diagnosi e nel trattamento, si stima che ancora oggi la mortalità a 3 anni di pazienti sintomatici sia superiore al 50%. È pertanto evidente l’estrema necessità di identificare nuove terapie che non possono prescindere da ulteriori conoscenze dei meccanismi molecolari dell’insufficienza
cardiaca”. Il progetto sarà svolto nei laboratori sperimentali della cattedra di Geriatria del Dipartimento. Anche Rengo è tornato in Italia dopo aver trascorso un periodo di studio e ricerca all’estero.
Occorre “grande capacità di sacrificio”
Laureato nel 2002 in Medicina, si è specializzato prima in Medicina Fisica e Riabilitazione e quindi in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, ha conseguito poi il dottorato nel 2010. Racconta: “Durante questo lungo periodo di formazione ho trascorso diversi anni presso il Center for Translational Medicine della Thomas Jefferson University di Philadelphia. Il mio mentore era il dott. Walter J Koch. Alla Jefferson sono stato dapprima in qualità di Visiting Researcher, poi ho svolto il mio post-doc, riuscendo ad ottenere un finanziamento di un progetto di ricerca dall’American Heart Association”. Nel 2010 il rientro a Napoli. “Ho ripreso a lavorare – prosegue – presso i laboratori della Cattedra di Geriatria, presso la quale, dopo un lungo periodo di precariato, sono divenuto coordinatore dei laboratori sperimentali e ricercatore a tempo determinato di tipo B, posizione che comporterà la nomina a Professoe Associato nel 2018, perché nel frattempo ho acquisito l’abilitazione scientifica nazionale. Ho continuato a seguire nella collaborazione scientifica e nella frequentazione il gruppo di ricerca del dott. Koch anche dopo il suo trasferimento alla Temple University di Philadelphia, presso la quale rivesto dal 2012 una posizione
di Adjunct Assistant Professor”. Secondo Rengo in Italia la ricerca paga uno scotto notevole: “alle scarse disponibilità economico-finanziarie, tenuto conto che gli attuali alti costi della ricerca scientifica sono legati
soprattutto alle necessità di doversi confrontare con i più importanti centri di ricerca dello scenario internazionale”.
La giornata tipo di un ricercatore? “Diversamente da quanto accade nelle Università statunitensi, un ricercatore universitario di una Scuola di Medicina in Italia deve contemporaneamente assicurare l’attività assistenziale, didattica e scientifica. Assolvere a queste diverse ed importanti mansioni è piuttosto complicato. Impone una programmazione attenta delle attività giornaliere, che spesso sono modificate dai numerosi e purtroppo costanti imprevisti, superabili purché la giornata di lavoro non si limiti all’orario di servizio”. Consiglierebbe ad un ragazzo
di intraprendere l’attività di ricerca in ambito universitario nelle sue discipline? “All’inizio di una carriera scientifica il ricercatore è probabile debba accettare condizioni molto precarie, spesso economicamente inadeguate, e debba essere disponibile a trasferirsi all’estero per periodi più o meno lunghi”. È un percorso particolarmente lungo, soprattutto per un medico, che viene impegnato nei 6 anni della laurea, nei 4-6 anni della Specializzazione, nei 3-4 anni del Dottorato e negli anni di formazione all’estero. Dunque, un ‘mestiere’ da consigliare se si possiedono “grande passione, grandi doti intellettuali e grandi capacità di sacrificio”.
Fabrizio Geremicca
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