Ricordare quanto è stato perché gli eroi continuino a vivere: lo scopo della giornata “un cammino tra vita e memoria” a venti anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio. L’incontro si è svolto il 15 maggio a Palazzo Melzi, sede della Facoltà di Giurisprudenza. A moderare questo ‘momento di vita’, come lei stessa lo ha definito, la dott.ssa Anna Rita Motti, Presidente del sindacato dei giudici, che ha sottolineato la scelta di una cornice simbolica per l’evento, l’Università, un luogo dove si formeranno le coscienze del futuro. A porgere i saluti alla platea il Preside di Giurisprudenza Lorenzo Chieffi: “questo incontro è l’ultimo di una serie di iniziative che vedono sempre più coinvolta la nostra Facoltà per la promozione della legalità; abbiamo collaborato con tribunale, procura, questura ed abbiamo appena completato un corso di formazione per la gestione dei beni confiscati alla camorra, che, dato il successo riscosso, sicuramente in futuro riproporremo”. Una riflessione sull’assenza di uno Stato a tutela dei suoi funzionari e la necessità di combattere la mafia non con investimenti, ma con persone ed idee, sono stati i punti conclusivi del suo intervento. “Una volta un magistrato mi ha detto: ‘per uno che ne arrestiamo dieci ne nascono’; ma il punto di vista di un docente è diverso, perché ne vediamo nascere venti eccezionali. In circa venti anni di attività, in questa Facoltà sono nati dieci magistrati, ragazzi che hanno fatto una scelta diversa su un territorio difficile”, ha detto il Pro-rettore Gianfranco Califano, che ha messo in evidenza l’importante cammino avviato dall’Ateneo verso la lotta all’illegalità. La Preside della Facoltà di Lettere Rosanna Cioffi ha continuato sulla scia tracciata dai suoi colleghi, ricordando l’importanza di un Corso di Laurea come “Conservazione dei beni culturali”, necessario per la valorizzazione e la tutela del territorio. Saluti alla platea sono arrivati dalle autorità togate di Santa Maria Capua Vetere, i dottori Andrea Della Selva, Presidente del Tribunale, e Corrado Lembo, Procuratore della Repubblica, e dall’avv. Alessandro Diana, Presidente del Consiglio d’Ordine degli Avvocati.
La bellezza del
profumo di libertà
profumo di libertà
Parentesi musicale con il sassofonista Marco Zurzolo, che ha suonato un brano dal titolo “Bruno”, da lui composto in memoria del professore di Ematologia alla Federico II, appassionato musicista, e suo caro amico Bruno Rotoli, e per l’occasione dedicato a Falcone e Borsellino perché, ammette, “vorrei essere come loro”. E come loro, o quasi, è stato il Procuratore della Repubblica di Termini Merese, nonché cognato dello stesso Falcone, Alfredo Morvillo, che ha offerto un amaro ricordo della Palermo degli anni ’90: “un luogo in cui la vita umana valeva pochissimo e lo Stato era quasi totalmente assente; non solo magistrati come Chinnici, Falcone e Borsellino, ma imprenditori, medici legali e anche un sacerdote persero la vita. Gli omicidi erano commessi davanti a tutti, eppure le persone negavano l’esistenza della mafia, ecco perché c’è stato bisogno di eroi”. Eroi, uomini come Dalla Chiesa, Mario D’Aleo, Emanuele Basile, che dovevano lottare non solo contro la mafia, ma anche contro ostacoli interni ai propri stessi organi, perché la corruzione era a livelli altissimi; lo stesso Falcone fu spesso lasciato solo e proprio persone a lui vicine non gli permisero di essere eletto come Procuratore capo di Palermo prima e al Consiglio Superiore della Magistratura poi. Era un uomo solo. Negli ultimi 20 anni, le cose sono cambiate, ma non di molto: “ è chiaro che la repressione alla mafia ha vissuto dei momenti eccezionali, e con cognizione di causa posso affermare che abbiamo gli apparati investigativi migliori al mondo; eppure, anche oggi, la mafia non è un discrimine né politico né etico in Sicilia, basti pensare che, nonostante le proprie compagnie poco raccomandabili, Ciancimino sia stato eletto sindaco di Palermo. Chi deve governare i siciliani, non deve governare un popolo di mafiosi, ma un popolo che ha subito danni dalla mafia, e a prendere le redini, quindi, non possono essere persone vicine a questi ambienti”. A proposito di questa connivenza, Morvillo cita l’esempio di un medico di Bagheria, che ammise in tribunale di aver cercato una raccomandazione perché ormai nei concorsi pubblici tutti lo superavano, in quanto avevano una spinta che lui non aveva. “La società siciliana è come un triangolo ai cui vertici ci sono il popolo, il potere e la mafia, ma, mancando il collegamento tra potere e popolo, quest’ultimo è costretto a chiedere la mediazione del mafioso, visto come l’unico in grado di fare qualcosa”. E’ qui la chiave di tutto: l’abolizione del clientelismo per sconfiggere la criminalità, e non basta limitarsi a commemorazioni e ricordi per onorare la vita degli eroi, urge fare qualcosa per proseguire il loro lavoro, o un giorno sarà stato tutto inutile. Morvillo chiude la sua relazione citando proprio Borsellino: “la lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
Ancora un momento legato all’arte, con l’attore Marco D’Amore che, dopo aver ricordato il sacrificio dei suoi ‘coetanei’ Peppino Impastato e Giancarlo Siani, ha recitato un brano tratto da “Paolo Borsellino- Essendo stato”. “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore solo una volta”, esordisce, citando Borsellino, il dott. Federico Cafiero De Raho, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Napoli, e prosegue tracciando le sempre maggiori somiglianze tra mafia e camorra: “una struttura rimasta mimetizzata per molti anni ed esplosa con il processo Spartacus, il primo a portare alla luce un sistema strutturato come la mafia, con appalti ed agganci”. Come sconfiggere questo male in un territorio in cui sembra radicato? “E’ necessario che ciascuno di noi prenda una strada e la manifesti, faccia una scelta, perché tutti i giorni siamo chiamati a scegliere. Oggi è necessario che tutti coloro che credono nella lotta alla camorra si uniscano per far capire alla gente che la Procura e gli organismi sono lì per aiutare le persone”. Tutti i latitanti campani sono stati arrestati e importanti cambiamenti sono in atto: “ho incontrato delle persone a Casal di Principe che mi hanno chiesto di continuare, di andare avanti”, segnali che valgono come un tesoro.
Ancora un momento legato all’arte, con l’attore Marco D’Amore che, dopo aver ricordato il sacrificio dei suoi ‘coetanei’ Peppino Impastato e Giancarlo Siani, ha recitato un brano tratto da “Paolo Borsellino- Essendo stato”. “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore solo una volta”, esordisce, citando Borsellino, il dott. Federico Cafiero De Raho, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Napoli, e prosegue tracciando le sempre maggiori somiglianze tra mafia e camorra: “una struttura rimasta mimetizzata per molti anni ed esplosa con il processo Spartacus, il primo a portare alla luce un sistema strutturato come la mafia, con appalti ed agganci”. Come sconfiggere questo male in un territorio in cui sembra radicato? “E’ necessario che ciascuno di noi prenda una strada e la manifesti, faccia una scelta, perché tutti i giorni siamo chiamati a scegliere. Oggi è necessario che tutti coloro che credono nella lotta alla camorra si uniscano per far capire alla gente che la Procura e gli organismi sono lì per aiutare le persone”. Tutti i latitanti campani sono stati arrestati e importanti cambiamenti sono in atto: “ho incontrato delle persone a Casal di Principe che mi hanno chiesto di continuare, di andare avanti”, segnali che valgono come un tesoro.
La cultura
dell’amicizia
nemica della
gente meridionale
dell’amicizia
nemica della
gente meridionale
“Quella di oggi non è una semplice commemorazione, ma stiamo celebrando una civile religiosità”, afferma il prof. Aldo Masullo, filosofo e giurista. “Fino agli anni ’90, qualcuno diceva che la mafia non esisteva, la reazione nasce quando la mafia cessa di essere nascosta, cessa di essere pura e semplice struttura portante, ma si trasforma in grande azienda, a cominciare dalle droghe; è in questo momento che non si può più far finta di niente e nasce la grande stagione della giustizia, in Sicilia e Campania”. E’ la stagione dei grandi eroi e dei loro tormenti, poiché quando scoppiò la guerra tra Stato e mafia non potevano prendere indistintamente le difese dell’uno in quanto ‘giudici’ e quindi garanti del diritto di tutti. Una società del diritto che oggi non esiste più, rimpiazzata dalla società della protezione: tra cittadino e potere non c’è un rapporto diretto, ma mediazione malefica. “Se devo farmi un certificato, la prima cosa che faccio è cercare un amico che lavori sul Comune: l’amicizia è il nemico della gente meridionale, un rapporto che va contro la logica aristotelica di un’amicizia tra uomini virtuosi ed avulsa da qualsiasi interesse. La stessa etimologia della parola ‘società’ suggerisce ai cittadini di essere ‘socius’, ‘alleati’ quindi, non amici, proprio perché abbiamo un interesse in comune, ossia la conservazione dei nostri diritti”. Ecco il motivo del tormento di questi grandi eroi come Falcone e Borsellino, uomini soli perché circondati di amicizie non disinteressate, ma in fondo ogni uomo è solo per lo stesso motivo: “ognuno deve porre un intervallo tra sè e chiunque puzzi di criminalità; superare la nostra solitudine significa isolare il nemico, trasformare la società di protezione in società del diritto; bisogna distruggere questa cultura dell’amicizia e far apparire una cultura della giustizia, vero punto d’arrivo del processo educativo”. Un passo di Giordano Bruno tratto da “Lo spaccio della bestia Trionfante” è la degna conclusione di una relazione da standing ovation: “Convertiamoci alla giustizia, dalla quale essendo noi allontanati siamo allontanati da noi stessi; di sorte che non siamo più dei, non siamo più noi. Ritorniamo dunque a quella, se vogliamo ritornare a noi”. Una giustizia non esterna a noi, ma interna, unica arma per combattere l’ambiguità di uno Stato che ancora si trincera dietro la ragione di Stato, combattere attraverso “la concentrazione drammatica di Borsellino e l’ironia malinconica di Falcone”. Napoli protagonista nella conclusione dell’incontro, tanto nella performance di Marco D’Amore, che recita “Fuoco su Napoli”, che nelle note di Marco Zurzolo, che suonando “A’ rumba de scugnizzi” lancia il suo appello: “Eduardo diceva ‘fuitevenne a Napule’, io dico restate”.
Anna Verrillo
Anna Verrillo