I magistrati Cantone e Woodcock all’inaugurazione del corso di Diritto Penale

Due magistrati di fama e docenti di altre sedi universitarie per l’inaugurazione del corso di Diritto Penale. Un evento, svoltosi il 16 gennaio presso la nuova sede dell’Ateneo al Monte di Dio, che ha visto la partecipazione dell’Assessore regionale all’Università Guido Trombetti, del Rettore Claudio Quintano, del Preside della Facoltà di Giurisprudenza Federico Alvino e del dott. Carlo Alemi, Presidente del Tribunale di Napoli. “Il principio di tassatività è il primo argomento che si tratterà, poiché è al crocevia tra i poteri coinvolti nell’esercizio di un processo. È la condizione necessaria per l’inveramento della legge penale, altrimenti si avrebbe una norma che galleggia nel vuoto”, ha spiegato il prof. Alberto De Vita, titolare della cattedra. Poi si sofferma sul ruolo che il principio riveste: “individua le leggi in modo preciso e determinato, permette la percezione della pena e, di conseguenza, la sua funzione rieducativa. Oggi è garanzia dell’equilibrio costituzionale, non a caso il sottotitolo al tema, infatti, consente al giudice di colmare i vuoti lasciati dal legislatore”. Afferma l’importanza dell’interpretazione del testo giuridico: “Umberto Eco la distingue dall’uso del testo: se riteniamo che dice qualcosa d’importante, lo interpretiamo, altrimenti lo usiamo”. Poi introduce gli ospiti. Intervengono i professori Francesco Palazzo, ordinario di Diritto Penale nell’Università di Firenze (su “Legge penale e interpretazione giudiziale nello specchio dei principi di determinatezza e di democrazia”) ed il prof. Vincenzo Maiello, ordinario di Diritto Penale alla Federico II, il quale si sofferma sul ruolo della dogmatica nell’interpretazione della legge penale, “si è presa finalmente coscienza del fatto che i testi normativi non contengono significati legati solo all’apparato linguistico dell’enunciato. Il significato è qualcosa che scaturisce dall’interazione tra lettore e testo, in questo modo il principio di determinatezza non è più un monolite”. Attingono dal loro vissuto professionale i magistrati Raffaele Cantone ed Henry John Woodcock. Concorso esterno in associazione mafiosa, il tema su cui è intervenuto Cantone, Magistrato presso il Massimario della Cassazione: “Si è scritto moltissimo sul concorso esterno, eppure viene canonizzato per la prima volta alla fine degli anni Settanta e le sue prime sentenze riguardano i temi del terrorismo. È diventato rilevante solo quando si è confrontato con la norma dell’associazione mafiosa, da qui c’è stato un fiorire d’interventi”. Ne elenca i diversi tipi: “esiste il concorso morale, che è ad esempio quello del padre che invita il figlio ad entrare nell’associazione mafiosa di cui fa parte, e il concorso materiale, di colui che non vuole far parte della mafia, ma dà un contributo politico che consente al capomafia un’assoluzione giudiziaria. Questo è di sicuro un contributo sociologico all’associazione, maggiore di quello che può dare il picciotto”. Parla di una sentenza che molto ha fatto discutere: “la forza della mafia non sta nei mafiosi, ma in coloro che non lo sono. Nel 1994 la sentenza Demitry, parlamentare socialista che permise l’assoluzione del pentito Pasquale Galasso, distinse la figura del partecipe da quella del concorrente esterno in associazione mafiosa. Il partecipe è colui che dà un apporto quotidiano, assiduo, ed è inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa. Ora io non ritengo sia giusto punire il concorrente esterno allo stesso modo del partecipe, e qui c’è una grave carenza del legislatore, che ha rinunciato a intervenire”. Poi l’intervento del giovane Sostituto Procuratore della Procura di Napoli, Woodcock, che fa una lucida analisi sul tema della “corruzione per asservimento nella prassi giudiziaria”. “Questo è un tema cruciale per la giurisprudenza, perché consente di affrontare il fenomeno corruttivo, cancro al polmone, che spezza il fiato al nostro sistema economico. La corruzione è il principale fattore che devia il rapporto tra politica e attività imprenditoriale”. Traccia la sua evoluzione: “la corruzione per asservimento è un reato dove il pubblico ufficiale compie una serie di atti che determinano un’abdicazione dall’esercizio della propria funzione pubblica, rispetto a quella privata. L’archetipo degli anni Trenta, però, non è più attuale, poiché c’è stata un’evoluzione dei rapporti tra politica ed economia. Le relazioni tra mondo criminale e mondo della pubblica amministrazione oggi sono sempre più strette, la corruzione per asservimento ne è la diretta conseguenza”. Fa un esempio: “Alcuni consiglieri comunali possono ricevere dei soldi da un imprenditore per dimettersi, così il Consiglio Comunale cade e l’imprenditore non può essere revocato dal suo incarico”. Conclude: “c’è quindi una forte esigenza di rivisitazione dello statuto penale nella pubblica amministrazione, che deve seguire alcune direttrici: modifica normativa in un’unica fattispecie di reato, inasprimento sanzionatorio, modernizzazione del nostro sistema per cercare di attenuare la sfiducia di cui l’Italia gode rispetto agli altri paesi”.
Gli studenti. “Ho già seguito un corso con il prof. De Vita e mi sono trovata molto bene, è bravo a spiegare, non vedo l’ora di iniziare questo corso di diritto penale – commenta Francesca Iesculi, del secondo anno di Giurisprudenza – È la prima volta che mi avvicino alla materia, spero non sia difficile. Penso che ci abbiano invogliati a seguire questo convegno proprio per avvicinarci di più alla disciplina”. Dello stesso avviso è Maria, che segue il quinto anno: “Il convegno ci introduce al corso e i temi trattati sono molto interessanti. Ho seguito già diversi seminari con il prof. De Vita. Stimola spesso situazioni di dibattito, oppure sottopone agli studenti sentenze per abbinare la teoria alla pratica”. Anche Felice, sempre del quinto anno, ha qualcosa da dire in proposito: “questo convegno permette di dare lustro alla nostra Università e di dare maggiore visibilità a Palazzo Pacanowsky, sede da poco inaugurata. Far venire illustri personalità del mondo giuridico serve a far capire che non esiste solo la Federico II, e che non solo perché un Ateneo ha una tradizione millenaria è meglio di un altro”. Entrambi i ragazzi del quinto anno hanno le idee chiare sul post-lauream: “Tenteremo il concorso per entrare in Magistratura. Se non va, ci dedicheremo all’avvocatura con la stessa passione”.
Allegra Taglialatela
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