I precari della ricerca

Non hanno alcun tipo di tutela –né maternità, né malattia, né ferie-. Né possono programmare il futuro. Ad esempio mettere su famiglia. O acquistare una casa. Nessuna banca concederebbe loro l’accensione di un mutuo. Sono tanti: c’è chi parla addirittura di 50 mila persone, impegnate a vario titolo nelle strutture universitarie. Sono i precari della ricerca. Giovani trenta/trentacinquenni, al momento senza nessuna prospettiva. Eppure sono una risorsa per il Paese.    
Sarà per questo che l’incontro su “Le nuove generazioni e la Ricerca” ha attirato un pubblico numeroso e interessato, sabato 19 febbraio nell’Aula Magna del Centro Congressi Federico II di via Partenope. Subito dopo i saluti del Rettore Guido Trombetti, l’evento è entrato nel vivo con la relazione del prof. Elio Giangreco, Emerito di Tecnica delle Costruzioni, su “I giovani e la ricerca: la voce di un maestro”. Il tema del vuoto generazionale al quale l’università italiana va incontro, cui il prof. Trombetti ha fatto riferimento nell’introduzione, è stato al centro dell’intervento del prof. Giangreco. “In una società basata sulla conoscenza – ha detto- le risorse umane e quelle giovanili portatrici di nuove idee, con competenze scientifiche e abilità professionali, rappresentano l’elemento basilare dell’innovazione e dello sviluppo economico e sociale. Le nuove generazioni costituiscono quindi la risorsa naturale più preziosa di un Paese. Recentemente, i ricercatori italiani, di età compresa tra i 24 e i 34 anni, sono passati dal 34% del 1985 al 19% del 1995 fino al 13% del 2002. Le età medie dei ricercatori italiani variano da circa 34 anni per Matematica e Ingegneria, a circa 37 anni per la Fisica, 39 anni per Lettere e 42 anni per la Medicina”. 
Federico II: 
ricercatori –1,8%
Altri importanti dati li ha offerti Claudio Franchi, dottore di ricerca in Filologia Romanza e rappresentante della Rete Nazionale Ricercatori Precari: “nel periodo tra il 1997 e il 2003 mentre i professori ordinari sono aumentati del 34% e gli associati del 15,9%, i ricercatori sono aumentati solo dell’1,3%. Nel caso della Federico II, addirittura, mentre i professori ordinari sono aumentati di circa il 20% e gli associati del 3,8%, il numero dei ricercatori è diminuito, abbiamo un –1,8%”. Numeri significativi. “Dunque è disattesa la proporzionalità tra numero di ordinari, di associati e di ricercatori che un sistema ‘sano’ richiederebbe”, ha sottolineato Franchi, il quale, subito dopo, ha descritto un diverso modello di proporzionalità, raffigurata “da una piramide che preveda per un posto di ordinario, due di associato e quattro di ricercatore. Questa piramide apparentemente rovesciata in realtà è costruita nel modo corretto perché più di cinquantamila precari svolgono già da tempo il ruolo di ricercatori, occupandosi quotidianamente di amministrazione, facendo ricerca e insegnando”. Così si è arrivati alla nota dolente, rappresentata da borsisti, contrattisti e precari a vario titolo, che a volte lavorano perfino gratuitamente pur non essendo volontari. Quei precari che attraverso la voce di Franchi chiedono due cose: “innanzitutto la modifica della qualità del rapporto di lavoro, garantendo a queste persone conquiste dei minatori dell’Ottocento: la maternità, la malattia, le ferie, la pensione, la possibilità di non essere cacciati a calci da una banca se si prova a chiedere un mutuo. In secondo luogo la previsione di nuove politiche di reclutamento per evitare un nuovo indiscriminato ingresso di massa nell’università quando il numero dei pensionamenti raggiungerà il suo massimo”. Di seguito, una tavola rotonda proprio sul tema ‘Quali politiche per il reclutamento dei giovani ricercatori’, moderata da Mario Orfeo, direttore del quotidiano Il Mattino. 
“Manca 
una pianificazione”
Dal dibattito sembra essere venuta fuori una parola d’ordine per il futuro delle nostre università: programmazione. “Per evitare i picchi di accessi e di uscite occorre una programmazione”, ha detto Marco Valerio Broccati, Vice Segretario Nazionale della FLC CGIL, esprimendo un concetto poi ripreso con forza dall’assessore regionale all’Università Luigi Nicolais: “è nei momenti di crisi che va pianificato il futuro. Manca una pianificazione di sviluppo nell’università, questo è il punto centrale. Nella legge regionale recentemente approvata abbiamo previsto posti per ricercatori negli atenei, se ogni regione intervenisse in questo modo già potremmo sostenere il costo di un numero rilevante di ricercatori”. Ma l’idea di programmazione di cui si è parlato è stata oggetto di considerazioni scettiche da parte di Andrea Capocci, assegnista dell’Università di Roma ‘La Sapienza’ e membro della Rete Nazionale Ricercatori Precari. Partendo dalla previsione, più volte ricordata nel corso della tavola rotonda, di un picco di uscita dall’università di 20 mila docenti nel prossimo futuro, Capocci ha ricordato che “ventimila unità equivale a meno della metà di chi per i prossimi anni si aspetta una stabilizzazione”. Ha poi evidenziato che “parliamo di programmazione facendo finta che quest’anno non sia passato il meccanismo di valutazione delle università, che significa che nel futuro verranno penalizzate le situazioni già sfavorite. I fondi verranno assegnati in base alle performances. Chi ad esempio oggi fa lezione nei cinema verrà aiutato o perderà i finanziamenti? Ecco perché penso che la programmazione di cui stiamo parlando verrà smorzata a priori dalle nuove politiche”. Il Vice Ministro all’Università Stefano Caldoro però, anche di fronte a questo quadro, ha voluto lanciare un messaggio ottimista: “siamo di fronte a una curva che nei prossimi anni porterà almeno 25.000 uscite, vediamola come una possibilità e non come una criticità del sistema. E poi guardiamo i dati positivi, nel 2005 sono stati banditi 6.650 posti di cui 982 per professori ordinari, 1581 per associati e ben 4.102 per ricercatori”. Resta il problema del precariato, su cui il Vice Ministro ha detto: “non vogliamo un ampliamento del precariato, è per questo che dobbiamo rendere robusti i contratti, solidi, a tempo determinato ma garantiti”. Ma come dovrebbe essere il percorso di carriera all’interno delle università? A quale modello dovrebbe rifarsi? Orfeo lo fa chiesto al prof. Enrico Decleva, Rettore dell’Università Statale di Milano, che ha evidenziato la necessità di chiedersi se attualmente per l’ingresso sia conveniente un passaggio dal modello di borsista, che costa 20 mila euro, a quello di contrattista a tempo determinato, che costa almeno il doppio. “E’ ragionevole pensare a un periodo intermedio in cui si riduca la durata della prima fase – ha detto- E’ inoltre molto difficile che gli attuali 25.000 ricercatori diventino tutti associati, la gran parte sì, ma gli altri potranno svolgere altre funzioni, ce ne sono tante relative alla ricerca che potrebbero essere affidate a chi non fa tanta didattica curricolare. Non ci si deve fermare allo slogan ‘no alla messa in esaurimento’, bisogna invece immaginare un sistema più ampio e funzionale”. 
La valutazione è l’elemento caratterizzante il modello ipotizzato dall’ex Rettore del Federico II, il senatore Fulvio Tessitore, per il quale “alla carriera va affiancata la valutazione, che è ciò che da flessibilità al sistema”. “E’ possibile prevedere nella carriera una serie di fasce che non devono essere differenziate nella funzione didattica-ricerca, dalla quale non si può prescindere – ha detto- ma questo riguarda comunque il momento successivo all’ingresso. Dopo l’ingresso, infatti, c’è la valutazione che garantisce lo stare nella carriera e la progressione”. Per il prof. Luciano Modica, Senatore, Ordinario di Analisi Matematica all’Università di Pisa, c’è un’unica risposta alla situazione attuale, in cui l’università si connota per la struttura a piramide dalla base enorme con una strana antenna centrale, quello di introdurre un’unica strada per fare carriera. “L’università deve essere un luogo in cui si entra e si fa carriera per merito, attraverso valutazioni periodiche”, ha detto. Ma un ruolo d’accesso deve pur esserci, come ha sottolineato con forza il Rettore Trombetti nelle conclusioni. “La base della piramide deve avere un tempo certo di opportunità – ha affermato il Rettore- alla ricerca si accoppia il sostantivo libertà, che significa anche libertà dall’incertezza. Non si può privare una persona della libertà nella fase più creativa della sua vita. Momenti di addestramento attraverso strutture temporanee garantite restano ma, per dirla con uno slogan, deve necessariamente esserci un ruolo d’accesso. Come ha detto Nicolais, nei momenti di difficoltà si capiscono le priorità, perciò mettiamo in campo scelte finanziarie concrete e tangibili”.
Sara Pepe
- Advertisement -




Articoli Correlati