Il 17% abbandona gli studi dopo il primo anno

Immatricolazioni in calo in tutta Italia (negli ultimi otto anni si registra un decremento del 15 per cento) ma, in generale, laureati soddisfatti del corso di studi intrapreso e dell’Ateneo scelto. Sono solo alcuni dei risultati che emergono nella XIV indagine AlmaLaurea sul Profilo dei laureati italiani, presentato al convegno ‘Laurearsi in tempi di crisi: come valorizzare gli studi universitari’, tenutosi al Centro Congressi della Federico II lo scorso 22 maggio, durante il quale è stata posta l’attenzione su temi focali relativi alla valutazione degli Atenei, al valore del voto di laurea, all’istruzione come strumento di mobilità sociale. Dopo un minuto di silenzio in ricordo di Melissa, la studentessa uccisa dalla bomba nell’attentato alla scuola di Brindisi, i saluti del Rettore prof. Massimo Marrelli. “E’ un momento importante, – ha detto – in quanto viene illustrato il quadro preciso della situazione occupazionale dei laureati, risultato di tutta una serie di aspetti socio-economici estremamente rilevanti”. E di fronte alla crisi che vive l’Italia, è importante non perdere la fiducia di poter costruire opportunità per i giovani. E’ il messaggio inviato a Napoli dal Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Francesco Profumo. “Oggi siamo di fronte a un bivio: imboccheremo la strada giusta se sapremo creare quelle condizioni di mercato e di sistema, grazie alle quali la transizione scuola-Università-lavoro diventi sempre più integrazione tra esperienza educativa e realtà professionale”, ha scritto Profumo, secondo il quale il 2012 sarà un “anno di palestra”, “nel quale dovremo portare a compimento la riforma del sistema accademico, allenarci ai cambiamenti e a competere sul mercato europeo e internazionale. I giovani non possono più attendere, occorre fare presto perché possano essere protagonisti del loro futuro e di quello del Paese”. I lavori sono stati aperti dal prof. Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea. 
Aumentano i
 laureati in corso
“L’indagine svolta è supporto fondamentale per valutare l’offerta formativa del sistema universitario italiano e gli esiti che ne conseguono”, ha detto prima di illustrare i dati. “Vi hanno partecipato ben 64 Atenei, contribuendo al grande successo dell’iniziativa che ha coinvolto il 77 per cento dei laureati italiani (oltre 200mila)”. In seguito all’introduzione del ‘3+2’, pare che l’Università eserciti un maggiore potere attrattivo verso una fascia sociale più modesta. “Ancora oggi, l’82 per cento degli iscritti proviene da famiglie in cui non ci sono laureati – ha detto Cammelli – Si tratta di una popolazione nuova che si avvicina all’Università”. La mobilità in ingresso resta bassa. “Nell’arco di tempo che va dal 2001 al 2011, l’età, al momento dell’iscrizione, è cresciuta: c’è una parte di adulti, dopo i 35 anni, che probabilmente ha bisogno di fare formazione per restare al passo con l’evoluzione tecnologica e culturale”. Aumentano anche i laureati in corso, passando dal 10 per cento del 2001 ad una media del 40 per cento nel 2011, mentre l’età alla laurea, con riferimento ai corsi a ciclo unico, cala dai quasi 27 anni, prima della riforma, ai 26. La frequenza alle lezioni e lo svolgimento di periodi di tirocinio variano a seconda dei diversi gruppi disciplinari, per esempio risultano entrambi elevati nel settore Medicina/Professioni sanitarie. Assai diffusi gli stage riconosciuti dal corso di studi. “È bene ricordare che l’esperienza di tirocinio/stage si associa ad un più elevato indice di occupazione. L’ultima indagine sulla condizione occupazionale dei laureati ha accertato che, a parità di condizioni, chi ha svolto questo tipo di esperienza durante gli studi ha il 13,6 per cento in più di probabilità di lavorare rispetto a chi non vanta un’esperienza analoga”. L’intenzione di proseguire gli studi dopo la Laurea Triennale resta consistente, ma non tutti scelgono l’iscrizione al biennio specialistico. “Il 77 per cento dei laureati di primo livello prosegue gli studi, ma solo il 60 per cento di questi sceglie un Corso di Laurea Specialistica. Ad andare avanti con gli studi sono, in particolare, i giovani del Sud (il 65 per cento), dove il mercato del lavoro continua ad essere poco dinamico. Al Nord la percentuale cala al 56 per cento”. La soddisfazione per l’esperienza universitaria risulta consolidata nel tempo. “Il 33 per cento dei laureati si dice ‘decisamente soddisfatto’ del corso di studi concluso, mentre un altro 54 per cento dà una valutazione positiva; se potessero tornare indietro, 66 laureati su cento sarebbero disposti a ripetere l’esperienza di studio appena conclusa, nella medesima Università”. Dal lato della domanda di lavoro, secondo Roberto Moscati dell’Università di Milano Bicocca, “i laureati di primo livello non sono molto riconosciuti dal mercato, soprattutto nel settore pubblico”. “La larga maggioranza del mondo accademico non ritiene sufficiente la formazione di primo livello, e ciò spinge i ragazzi a proseguire – ha detto Moscati – A questo punto, bisognerebbe rivedere la funzione sociale delle lauree, domandarci a cosa serve andare all’Università. A mio avviso, e a patto che venga stimolata la contestazione culturale, l’Università in sé insegna la capacità critica”. A fronte di un tasso di abbandono al primo anno ancora molto alto, intorno al 17 per cento, Moscati propone: “un accompagnamento costante al primo anno, perché gli incontri di orientamento servono a poco. Sono meglio di niente ma non risolvono il problema”. Un modello che, secondo il docente, potrebbe rivelarsi vincente, “almeno al Nord”, è un percorso che prevede “un Corso di Laurea Triennale, un Master di primo livello e uno stage coerente in azienda”. 
27 la media 
voto agli esami
Nel corso della prima sessione di approfondimento, presieduta dal Rettore dell’Università di Salerno prof. Raimondo Pasquino, si è discusso di importanti temi: dall’abbandono degli studi al voto di laurea. “Rischiamo di non essere abbastanza critici sul lavoro svolto dalle Università se registriamo gli indicatori così come ce li chiede il Ministero”, la considerazione iniziale di Pasquino.
Secondo il rapporto AlmaLaurea, il voto medio agli esami è circa 27. “Le differenze tra i settori disciplinari sono riconducibili a tre componenti: le capacità in ingresso degli studenti, l’efficacia complessiva della didattica attuata nel corso e la prassi valutativa della commissione d’esame – ha spiegato Gian Piero Mignoli, di AlmaLaurea – A parità di caratteristiche iniziali, i laureati dei corsi letterari concludono con tre punti in più rispetto a quelli di Ingegneria, e lo scarto è riconducibile alle differenti valutazioni”. Allo stesso modo, l’incremento del voto di laurea varia a seconda delle Facoltà e degli Atenei presi in considerazione. “In alcune Facoltà è possibile ottenere fino a dieci punti, in altre solo due. Dunque, si registrano prassi valutative non omogenee e si riscontra un appiattimento delle votazioni nella direzione dei valori elevati, soprattutto per i laureati specialistici, il 42 per cento dei quali ha ottenuto 110 e lode”. In effetti, grazie ai bonus, “è possibile raggiungere voti alti anche partendo da voti medi, andando, oltretutto, a danneggiare gli studenti con una media già alta”. Emerge, allora, il problema del valore informativo del voto. “C’è molto da fare, – è intervenuto Roberto Ricci dell’Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione) – ma l’Università ha un grosso vantaggio: può seminare quei germogli inserendo gli elementi che favoriscono la crescita di una sana cultura della valutazione che, ancor prima di un dovere, è un diritto per la collettività”. Il dibattito è ritornato sul tema dell’abbandono degli studi universitari, con l’intervento di Roberto Zotti dell’Università di Salerno, il quale ha preso in analisi proprio questo Ateneo. “Il 18 per cento degli immatricolati al campus di Salerno non compie la transizione al secondo anno, mentre un altro 16 per cento risulta inattivo, cioè durante il primo anno non sostiene esami e non accumula crediti”. Al contrario delle donne che hanno una maggiore probabilità di persistere, “i maschi, soprattutto se provenienti da scuole tecniche e professionali, abbandonano più facilmente”. Il background scolastico resta importante. “E’ come se il sistema universitario permettesse ai più abili di continuare gli studi”. A livello nazionale, i tassi di abbandono risultano più contenuti nell’area medica. “Forse ciò è dovuto alla selezione in ingresso – ha affermato Carmen Aina dell’Università del Piemonte Orientale – che mette alla prova la motivazione dei ragazzi”.
“Competiamo 
anche senza risorse”
Rispetto alla mobilità, c’è da dire che, negli ultimi anni, si è affermata la tendenza a non allontanarsi da casa, a studiare nella sede più vicina, anche dopo la Laurea Triennale. “Nel 2011, il 49 per cento dei laureati è ‘stanziale’, ha cioè concluso il percorso di studi nella stessa provincia in cui si è diplomato, il 26 per cento si è spostato al massimo in una provincia limitrofa, l’11 su cento si è spostato pur rimanendo nella stessa ripartizione geografica, e solo il 12 per cento si è trasferito dal Sud al Centro-Nord”, ha spiegato Davide Cristofori di AlmaLaurea. In Campania, su 100 diplomati, 83 restano nella regione d’origine, 5 si spostano in un’altra regione del Mezzogiorno, 9 vanno verso il Centro e 3 al Nord. Tra coloro che compiono l’intero iter di studi al Sud, “il 12 per cento cerca lavoro al Centro e il 10 per cento al Nord”, dunque “dal diploma alla ricerca del lavoro, il Mezzogiorno perde circa 40 diplomati su 100”. A questo punto, “le risorse pubbliche investite in istruzione al Sud finanziano in parte l’economia settentrionale?”, è la domanda posta dalla prof.ssa Lilia Costabile della Federico II. “A mio avviso, – ha detto – occorre un maggiore incentivo al conseguimento della laurea fuori sede o a Napoli, se questa rientra nella top-University, e anche cominciare a pensare di rinunciare alla mobilità post-lauream”. In ogni caso, la docente ha tenuto a sottolineare che “nonostante lo scarso investimento in istruzione terziaria, la produttività dei ricercatori italiani risulta molto elevata. Quindi, continuiamo a competere anche senza risorse”.
Maddalena Esposito
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