In pensione il prof. Giuseppe Cacciatore, uno dei più grandi filosofi italiani

“Il mio pensiero va ai giovani”, è con queste parole che il prof. Giuseppe Cacciatore inizia il suo lungo ragionamento sulla soglia del pensionamento, dopo 46 anni di illustre carriera. È la mente che rende giovani, professore, e lei è un giovane settantenne: verrebbe da dire a quello che è uno dei più grandi filosofi italiani e che il 26 ottobre ha tenuto la sua ultima lezione cattedratica sul tema ‘Per la critica della ragione umanistica’, nell’aula Piovani del Dipartimento federiciano di Studi Umanistici. Dopo la laurea nel ’68 alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma con una tesi sul pensiero di Dilthey, Cacciatore ha iniziato la sua carriera come assistente ordinario di Storia della Filosofia nel 1970 a Salerno, dove era tornato per avvicinarsi a quello che sarà il suo Maestro, Fulvio Tessitore. “Devo dire che sono stato molto fortunato nella mia carriera – ricorda – Ho incontrato
un Maestro che mi ha dato fiducia, Ricordo che, quando gli ho portato la mia tesi di laurea per fargliela leggere,
lui mi ha detto di tornare dopo 15 giorni. Quando sono tornato, mi ha invitato ad andare di nuovo la settimana successiva in Facoltà, dopodiché mi ha subito assegnato un corso di esercitazioni per la sua cattedra, rispettosissimo delle idee anche molto diverse dalle sue, tanto da affidarmi un corso di esercitazioni su Marx. Lui è stato la mia fortuna, anche perché poi mi ha sempre sollecitato a lavorare, a scrivere, e a 35 anni già ero ordinario”.
L’amarezza per i giovani precari
L’amarezza di oggi è dovuta, invece, alle tante difficoltà che incontrano i giovani nello stabilizzarsi, nel trovare una strada aperta. Così, ripensando ai primi anni di carriera accademica, il prof. Cacciatore ammette, senza però alcuna vena nostalgica, che “quegli anni mi ricordano qualcosa che vorrei definire come ‘l’Università di un tempo’. Stiamo parlando di circa 45 anni fa, quindi è normale che qualcosa sia cambiato, ma purtroppo non in meglio.
L’apprendistato con il mio Maestro e con i miei colleghi, Giuseppe Cantillo, Giuseppe Lissa e Giuseppe Acocella – tutti salernitani come me e tutti poi trasferiti a Napoli! – ha rappresentato anni di formazione. E quando dico ‘di altri tempi’, intendo che allora vi erano condizioni più facili per l’accesso dei giovani ricercatori all’università, cosa che oggi è drammaticamente cambiata. Se c’è una cosa che mi rattrista e mi preoccupa lasciando l’insegnamento, quindi, è il fatto che ci sono tantissimi giovani precari che saranno gettati fuori, perché solo pochissimi potranno passare. Mi fa male non aver potuto, insieme agli altri, fare qualcosa di più per questi giovani. Io sono diventato assistente ordinario a 26 anni, mentre oggi ci sono studiosi validi che viaggiano per la quarantina e non riusciranno a sistemarsi nell’università. Negli anni ho creato una serie di occasioni per i miei allievi: abbiamo portato avanti progetti di ricerca sullo storicismo, sulla filosofia interculturale, sui rapporti tra filosofia e immaginazione, e tanti altri. Oggi molti miei allievi sono in cattedra, anche in diversi Atenei italiani. Lascio un’eredità consistente, ma il rimpianto, forse, è quello di sapere in una situazione ancora precaria alcuni allievi, tra cui qualche dottorando”.
Il settore più penalizzato è quello delle scienze umane
La visione di chi, come il professor Cacciatore, ha sempre coniugato impegno filosofico con quello politico, ricoprendo anche l’incarico di consigliere di opposizione a Salerno dal ‘75 al ‘93 con il PC, è molto più ampia e abbraccia con preoccupazione la situazione culturale e politica del nostro Paese: “Naturalmente questo è il frutto di una politica di restringimento degli accessi, che investe anche gli studenti. Tanti anni fa non c’era il numero chiuso, non c’erano i test d’accesso, le tasse erano più basse. È chiaro che era un’epoca di espansione dal punto di vista dell’economia, mentre oggi siamo in una situazione terribile per quanto riguarda la disoccupazione giovanile e la disoccupazione intellettuale, in particolare. Ma posso affermare che non c’è stato un periodo peggiore per l’Università: un taglio brutale di investimenti per il mondo accademico, e l’unica cosa che il nostro Presidente del Consiglio riesce a fare sono le scandalose Cattedre Natta! (le 500 posizioni da professore associato e ordinario
che il governo si accinge ad assegnare a ricercatori eccellenti, per lo più residenti all’estero)”, denuncia con forza. “Siamo di fronte a scelte politiche sbagliate e naturalmente in questo quadro il settore più penalizzato è quello delle scienze umane. L’ideologia del mercato è come una sorta di nuova divinità davanti alla quale tutti devono inginocchiarsi. Per combattere questo stato di cose, serve anche la filosofia. Non quella metafisica, contemplativa. Come diceva Vico: ‘Non bisogna soltanto stare nella città ideale di Platone, ma frequentare anche la feccia di Romolo’. Io farò l’ultima lezione cattedratica proprio sulla filosofia come spirito critico: come critica non solo in senso negativo, ma come capacità di analisi e di giudizio”.
La politica “una religione civile”
E anche in questo caso il pensiero va di nuovo ai giovani, questa volta detentori delle armi del cambiamento, giovani che nel Dipartimento di Studi Umanistici della Federico II, dove il filosofo insegna dal 1981, coltivano quella filosofia critica appena citata: “Malgrado l’Università sia diventata un inutile esamificio, io vedo che gli studenti seguono con passione, sono partecipi. In modo particolare nel mio Dipartimento ci sono studenti molto vivaci e
attivi. Spesso vengono accusati di radicalità, ma se non si è radicali a quella età, quando allora? Fanno bene ad esserlo! Essere radicali significa andare alle radici, non accettare compromessi, lottare per i propri ideali. Credo che bisogna dare fiducia a questi giovani. Infatti devoammettere che in pensione rimpiangerò molto non poter stare più in contatto con questi ragazzi. La politica – aggiunge – è una religione civile. Sono tempi tristi e uno come me guarda con tanta speranza a questi giovani, che hanno da insegnare tanto a noi vecchi”. “Ho avuto due esperienze legate ai miei interessi di studi filosofici e culturali – racconta ricordando i suoi mviaggi di studio e le relazioni con le
università straniere – In primo piano c’è la Germania: è stata tra i momenti formativi più importanti. Sono stato ospite all’Università di Berlino e di Halle-Wittenberg. Dopo aver vinto il concorso da ordinario sono stato anche a Monaco per tre mesi. Dall’altro lato c’è il mondo ispanoamericano, quindi la Spagna, il Venezuela, la Colombia il
Messico”. Vecchia Europa e giovane Sud America: due realtà diverse, ma non in contrasto. “Io ho studiato Ortega – sottolinea il prof. Cacciatore – il quale sosteneva che la filosofia dovesse fare i conti con il suo volto doppio: da un lato la filosofia del tramonto, dall’altro quello dell’alba. Diceva Hegel che la filosofia è come l’Uccello di Minerva che deve confrontarsi con il mondo quando i fatti storici sono ormai determinati. Mentre la filosofia dell’alba sta all’origine, nel mito, nella poesia, nella tragedia greca. Questi due momenti formativi sono complementari. Nel mio libro ‘El Buho y el condor’ parlo proprio di questo”. E sono tante le ricerche che il prof. Cacciatore deve ancora mettere su carta e alle quali si dedicherà con la pensione, ma del tempo lo concederà anche alle letture. Da giovane mente potrà finalmente aprire quel cassetto dei desideri tenuto gelosamente chiuso in questi anni: “La prima cosa che farò è mettere ordine nella mia biblioteca di più di mille volumi, così da poterla lasciare in ordine a mio figlio, anch’egli filosofo. Poi potrò finalmente dedicarmi alle mie letture: voglio leggere tutti i classici della letteratura mondiali che non ho letto. Ho già iniziato a scrivere una lista, ma alla seconda pagina mi sono fermato perché sono tanti e vorrei avere il tempo di leggere!”. Un dolce proposito vede, poi, coinvolta la moglie Paola Volpe, ordinario di Letteratura Greca a Salerno e a breve anche lei in pensione: “Potremo condividere insieme
qualche luogo dell’anima che non abbiamo ancora visitato”.
Valentina Orellana
- Advertisement -




Articoli Correlati