Rivoluzione e trasformazioni digitali, un’esigenza culturale prima ancora che tecnica. Parte da questa premessa “Diffidenti nella vita reale, disinibiti nella vita digitale”, incontro a cura dell’Osservatorio Cybersecurity di Eurispes (Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali). Intervengono nella Sala Saffo, venerdì 22 novembre, il prof. Roberto De Vita, gli avvocati Valentina Guerrisi e Antonio Laudisa e il dott. Marco Della Bruna.
Nel rivolgersi principalmente a studenti e giovanissimi, è doverosa una premessa: “Si pensa sempre che gli interrogativi legati al mondo cyber e digitale necessitino di una risposta tecnica. Ma non è così: la parola chiave è consapevolezza – precisa il prof. De Vita – I nativi digitali hanno sempre più bisogno di essere orientati, di andare oltre e dentro i fenomeni con cui si confrontano”. Tanti i temi oggetto della discussione. Partiamo dal principio. Chi è il nativo digitale? Si pensa comunemente che sia chi è nato in epoca digitale, ma non è esattamente così: “Un nativo digitale è un soggetto che impara ad interagire con gli strumenti della socialità digitale ancora prima di imparare a leggere e scrivere. Alla lettura e alla scrittura consegue una determinata organizzazione del pensiero e il nativo digitale, la cui organizzazione del pensiero comincia attraverso gli strumenti digitali, va in una direzione diversa”. La rivoluzione di cui parliamo è tale in virtù dei suoi numeri: “Oggi la popolazione mondiale conta circa otto milioni di persone. Quattro milioni e mezzo hanno accesso alla rete. Negli anni che vanno dal 2000 al 2009 si è avuta una crescita degli utenti del 1157 per cento. Tutti comunicano con tutti. I dati di tutti possono essere condivisi da tutti”. Ma come si interagisce in rete? “Non solo people to people o people to machine, come quando parlo con Alexa o con Siri, quindi comunque persona al centro. Il terzo livello di comunicazione è machine to machine, dispositivi che comunicano autonomamente. A Modena, ad esempio, si stanno sperimentando strade intelligenti che dialogano con auto intelligenti. Si tratta di una relazione che prescinde dall’uomo”. Questo conduce ad un altro grande tema, i big data: “Quattro miliardi e mezzo di persone connesse alla rete producono dati. E chi non è connesso? Chi passa sotto una telecamera? Chi prende una metro smart che registra quante persone salgono a bordo? Anche chi non è connesso produce dati. Quanti sono questi dati? Big. I big data sono una mole infinita di dati che si ha necessità di conservare e processare”. Ed ecco che si arriva all’algoritmo e ai super computer: “più dati, analisi più complesse, maggiore capacità di elaborazione di calcolo. Quando l’algoritmo può essere adottato per portare a termine un’azione operativa? Quando abbiamo la certezza che la gestione non umana dell’attività, alla cui base c’è l’algoritmo, passa per un protocollo comunicativo sicuro”. E si arriva così al 5G che mette in essere una rivoluzione nelle operazioni tecnologiche: “La più importante caratteristica del 5G è l’assenza al margine di errore, è una comunicazione senza errori o con errori risolvibili e la risultante è la macchina che può operare a cuore aperto o il pilotaggio in remoto di un aereo. Il 5G è la rivoluzione nella comunicazione machine to machine”. Il tema dell’interrealtà apre il secondo momento divulgativo: “È complesso attribuire una collocazione alla dimensione dell’identità di una persona all’interno dell’interrealtà. Dall’intersezione di mondo reale e mondo digitale, mondi dove si consumano relazioni sociali, economiche, personali e altro, è derivato uno spazio sociale nuovo, una sorta di realtà di mezzo che ha assunto una sua autonomia”.
Nel rivolgersi principalmente a studenti e giovanissimi, è doverosa una premessa: “Si pensa sempre che gli interrogativi legati al mondo cyber e digitale necessitino di una risposta tecnica. Ma non è così: la parola chiave è consapevolezza – precisa il prof. De Vita – I nativi digitali hanno sempre più bisogno di essere orientati, di andare oltre e dentro i fenomeni con cui si confrontano”. Tanti i temi oggetto della discussione. Partiamo dal principio. Chi è il nativo digitale? Si pensa comunemente che sia chi è nato in epoca digitale, ma non è esattamente così: “Un nativo digitale è un soggetto che impara ad interagire con gli strumenti della socialità digitale ancora prima di imparare a leggere e scrivere. Alla lettura e alla scrittura consegue una determinata organizzazione del pensiero e il nativo digitale, la cui organizzazione del pensiero comincia attraverso gli strumenti digitali, va in una direzione diversa”. La rivoluzione di cui parliamo è tale in virtù dei suoi numeri: “Oggi la popolazione mondiale conta circa otto milioni di persone. Quattro milioni e mezzo hanno accesso alla rete. Negli anni che vanno dal 2000 al 2009 si è avuta una crescita degli utenti del 1157 per cento. Tutti comunicano con tutti. I dati di tutti possono essere condivisi da tutti”. Ma come si interagisce in rete? “Non solo people to people o people to machine, come quando parlo con Alexa o con Siri, quindi comunque persona al centro. Il terzo livello di comunicazione è machine to machine, dispositivi che comunicano autonomamente. A Modena, ad esempio, si stanno sperimentando strade intelligenti che dialogano con auto intelligenti. Si tratta di una relazione che prescinde dall’uomo”. Questo conduce ad un altro grande tema, i big data: “Quattro miliardi e mezzo di persone connesse alla rete producono dati. E chi non è connesso? Chi passa sotto una telecamera? Chi prende una metro smart che registra quante persone salgono a bordo? Anche chi non è connesso produce dati. Quanti sono questi dati? Big. I big data sono una mole infinita di dati che si ha necessità di conservare e processare”. Ed ecco che si arriva all’algoritmo e ai super computer: “più dati, analisi più complesse, maggiore capacità di elaborazione di calcolo. Quando l’algoritmo può essere adottato per portare a termine un’azione operativa? Quando abbiamo la certezza che la gestione non umana dell’attività, alla cui base c’è l’algoritmo, passa per un protocollo comunicativo sicuro”. E si arriva così al 5G che mette in essere una rivoluzione nelle operazioni tecnologiche: “La più importante caratteristica del 5G è l’assenza al margine di errore, è una comunicazione senza errori o con errori risolvibili e la risultante è la macchina che può operare a cuore aperto o il pilotaggio in remoto di un aereo. Il 5G è la rivoluzione nella comunicazione machine to machine”. Il tema dell’interrealtà apre il secondo momento divulgativo: “È complesso attribuire una collocazione alla dimensione dell’identità di una persona all’interno dell’interrealtà. Dall’intersezione di mondo reale e mondo digitale, mondi dove si consumano relazioni sociali, economiche, personali e altro, è derivato uno spazio sociale nuovo, una sorta di realtà di mezzo che ha assunto una sua autonomia”.
Le algorismocrazie
Qual è il confine tra identità fisica e digitale e come proteggere la propria integrità psicofisica? Arriviamo alle fake news “che non sono fenomeni di costume, ma hanno una specifica struttura manipolatoria del consenso. Partendo dall’inoculazione di una storia non vera e misurando le adesioni ad essa, si costruiscono ulteriori storie in quello che è l’effetto palla di neve e si arriva, ad esempio, alle radicalizzazioni o a sostenere le tesi più astruse”. Un esempio su tutti? La terra è piatta: “Su 330 milioni di americani il 2% crede che la terra sia piatta, il 5% è incerto. La percentuale è più alta nella fascia 18-24. Come è possibile questo?”. Torna in gioco l’algoritmo: “Più cerco, più trovo quello che cerco, più trovo conferme a quello che cerco. Si crea un meccanismo di isolamento autoreferenziale che non fa altro che confermare la mia idea. Ecco che arriviamo alle algorismocrazie, società governate da scelte basate sul consenso frutto di algoritmi”.
La rete è anche ricettacolo di grandi pericoli: pedopornografia, revenge porn, cyberbullismo, black market… “La pedopornografia in rete è dinamica. Avere un accesso continuativo e costante alla vita dei minori è sempre più facile. Basti pensare alle random chat, ai malware che prendono possesso del vostro dispositivo diventando voi all’interno del dispositivo per spiarvi. Sul cyberbullismo le scuole napoletane sono molto preparate”. Connesso a questo tema è anche la non consensual pornografy: “A tal proposito ricordo quello che definisco il sacrificio di Tiziana Cantone che ha portato all’emanazione di norme che puniscono il revenge porn. Su quattro miliardi e mezzo di persone che hanno accesso alla rete, una su dieci è vittima di questo fenomeno. Il 90% sono donne. Il 51% pensa al suicidio”.
La rete, ormai, è parte integrante delle nostre vite, tanto degli adulti, quanto dei giovani e giovanissimi. Quando la rete si usa bene e quando si usa male? La parola chiave è ancora consapevolezza. “Rischiamo quando non siamo consapevoli. Sappiamo che whatsapp non ci protegge dal rischio che le nostre conversazioni vengano acquisite ed esposte? Esporre la propria sessualità in rete è sempre un rischio, esattamente come comprare le medicine on-line saltando il filtro rappresentato dal medico o dal farmacista. Si sa che i giovani sono refrattari alle regole. Prima di accedere ad un social chi legge l’informativa sulla privacy? E lo stesso per i cookies. Cliccate ok senza leggere. Esistono cookies tecnici che fanno funzionare la navigazione e cookies di profilazione che immagazzinano dati che fornite liberamente. E i dati che fornite non sono nome, cognome indirizzo. Sono i vostri gusti, le vostre preferenze, le scelte, anche il vostro orientamento sessuale o politico, e lo fate liberamente”. Il punto non è cosa fare o cosa non fare, “meccanismo che non genera successo. Non ci servono guide tecniche, ma guide culturali”.
La rete è anche ricettacolo di grandi pericoli: pedopornografia, revenge porn, cyberbullismo, black market… “La pedopornografia in rete è dinamica. Avere un accesso continuativo e costante alla vita dei minori è sempre più facile. Basti pensare alle random chat, ai malware che prendono possesso del vostro dispositivo diventando voi all’interno del dispositivo per spiarvi. Sul cyberbullismo le scuole napoletane sono molto preparate”. Connesso a questo tema è anche la non consensual pornografy: “A tal proposito ricordo quello che definisco il sacrificio di Tiziana Cantone che ha portato all’emanazione di norme che puniscono il revenge porn. Su quattro miliardi e mezzo di persone che hanno accesso alla rete, una su dieci è vittima di questo fenomeno. Il 90% sono donne. Il 51% pensa al suicidio”.
La rete, ormai, è parte integrante delle nostre vite, tanto degli adulti, quanto dei giovani e giovanissimi. Quando la rete si usa bene e quando si usa male? La parola chiave è ancora consapevolezza. “Rischiamo quando non siamo consapevoli. Sappiamo che whatsapp non ci protegge dal rischio che le nostre conversazioni vengano acquisite ed esposte? Esporre la propria sessualità in rete è sempre un rischio, esattamente come comprare le medicine on-line saltando il filtro rappresentato dal medico o dal farmacista. Si sa che i giovani sono refrattari alle regole. Prima di accedere ad un social chi legge l’informativa sulla privacy? E lo stesso per i cookies. Cliccate ok senza leggere. Esistono cookies tecnici che fanno funzionare la navigazione e cookies di profilazione che immagazzinano dati che fornite liberamente. E i dati che fornite non sono nome, cognome indirizzo. Sono i vostri gusti, le vostre preferenze, le scelte, anche il vostro orientamento sessuale o politico, e lo fate liberamente”. Il punto non è cosa fare o cosa non fare, “meccanismo che non genera successo. Non ci servono guide tecniche, ma guide culturali”.
Sui social “un tatuaggio
sulla nostra identità”
sulla nostra identità”
Tanti studenti se lo chiederanno: la rivoluzione digitale ha, in qualche modo, un impatto sul mondo del lavoro? “Ci sono lavori identificati come lavori del futuro, certi altri scompariranno. Sono sempre più richieste figure che saranno in grado di far fronte ad eventuali disastri cibernetici, analisti di previsioni, analisti di minacce cyber”. Il che implica necessariamente anche una rivalutazione delle competenze richieste: “Creatività, pensiero critico, spirito di iniziativa. Google non vuole ingegneri per questo, ma filosofi, laureati in Lettere, persone che sanno immaginare, sognare, strutturare un ragionamento all’interno della complessità delle trasformazioni. Le competenze meno richieste saranno quelle di base. Ad esempio, inserimento, elaborazione di dati, ispezione, controllo, perché ci saranno le intelligenze artificiali. Tenderanno a scomparire, ad esempio, le competenze manuali nei settori dell’energia e del manifatturiero. Le competenze emotive e ultraspecialistiche, invece, saranno le più richieste”. E i social network? “Non possiamo dire in astratto se l’uso del social sia giusto o sbagliato. Dobbiamo, però, sapere che quanto arriva sui social è indelebile, è un tatuaggio sulla nostra identità e su quella degli altri. La social reputation è qualcosa che non possiamo ignorare e che ci condiziona anche nel mondo del lavoro. Un’alta percentuale dei fallimenti al colloquio è una conseguenza di quanto di noi resta sui social”. Essere vittime della rete è più facile di quanto si pensi. Che si fa a quel punto? “La cosa più importante è non isolarsi e sapere che c’è una soluzione tecnica a questi fenomeni. Se la rete è pericolosa, esiste anche una rete di solidarietà. Si possono individuare gli autori dei crimini, bloccare la diffusione di immagini e c’è personale specializzato che ci può aiutare. Non bisogna credere a chi ci dice che quanto avviene in rete non sia più gestibile”.
Ca.Si.
Ca.Si.