Incontro con la scrittrice Valeria Parrella

E’ stata la scrittrice Valeria Parrella a chiudere, il 24 maggio, il corso di Letteratura comparata del prof. Francesco De Cristofaro. In cattedra per un giorno, la trentottenne scrittrice napoletana ha descritto, ad una platea appassionata di giovani letterati, come si scrive un racconto. Per far ciò è partita da lontano, dal suo passato di studentessa universitaria proprio in questa Facoltà – “perché noi, come i personaggi dei racconti, siamo frutto delle stratificazioni di vita che formano il nostro passato” – Ha raccontato di aver compreso l’importanza della lingua nella stesura di una novella durante un seminario del prof. Giancarlo Mazzacurati. “L’esercizio consisteva nello scrivere dei racconti sulla base di una traccia, di suggerimenti forniti dal docente. Io, da sempre molto ambiziosa, cercavo la strada più difficile. E per questo la critica era che ‘avevo una scrittura ottocentesca’. Per me era frustrante – racconta Parrella – Come ho superato l’esperienza ‘devastante’ del seminario? Leggendo Raymond Carver. Sono cresciuta studiando i grandi romanzi dell’800, ma con ‘Cattedrale’ di Carver ho capito che era possibile raccontare qualcosa al meglio delle proprie possibilità senza scrivere ‘Guerra e Pace’, senza ambientare storie a Manhattan, senza raccontare di personaggi leggendari, se si ha una lingua per rendere quelle storie degne di essere raccontate”. Al centro del racconto, quindi, c’è la lingua: “Il romanzo ha bisogno di una struttura, di un albero, in cui si inserisce la lingua. Nel racconto, invece, si guarda alla singola foglia, a tutte le sue striature. E’ un lavoro incessante di tiranti, di limature. Nel momento in cui scrivo, so dove stanno le singole parole del mio racconto. Il racconto lo esige. Bisogna pesare ogni verbo, ogni frase, ogni ripetizione perché è tutto lì: in dieci pagine”.
A rendere più stimolante l’incontro, l’esperimento, concordato con il docente, di far leggere agli studenti, prima della lezione, due racconti di Parrella (‘Per grazia ricevuta’ e ‘Dritto dritto negli occhi’), in modo da stimolare la partecipazione. Gli studenti, così, hanno sollevato molte questioni accendendo il dibattito. “Per chi scrive?”, ha chiesto, ad esempio, un ragazzo. “Non penso al lettore quando scrivo – ha risposto la scrittrice – Scrivere mi fa sentire libera. Quando mi sento disperata so che solo il computer, solo la scrittura, potrà aiutarmi a sentirmi meglio. E poi è la cosa che so fare meglio”. A chi le chiede dell’importanza che la scuola e l’università hanno nei suoi racconti, in cui sono spesso presenti, conferma: “sono figlia di un professore di Storia e Filosofia, quindi la scuola è da sempre una presenza nella mia vita. Inoltre, credo che la scuola e l’università pubblica siano il cardine sul quale si fonda uno Stato, per questo vanno tutelate e curate. Queste ultime riforme che usano termini economici in relazione all’università, come ‘credito’ o ‘debito’, sono un vero insulto. L’istruzione dei giovani è la base per la crescita di uno Stato ed è un bene comune”. Ma tiene anche a sottolineare che nei suoi lavori non è “volutamente presente una funzione sociale o politica – in risposta ad uno studente – perché i valori da trasmettere li intendo come ‘Valori’ assoluti, con la V maiuscola, e non come singoli atteggiamenti legati ad un momento storico contingente”.
Valentina Orellana
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