Isabella, studentessa di Medicina, volontaria di Emergency, paladina dei diritti umani

“Da piccola ricevetti una maglietta di Emergency con le maniche lunghe a cui mi affezionai. Crescendo è diventata troppo piccola per essere ancora indossata, così ho tagliato le maniche e l’ho utilizzata come fosse una canotta. È un po’ trasandata ora, ma è proprio il simbolo della realtà di cui voglio fare parte”. Il sorriso può essere “contagioso”, può diffondersi velocemente tra le persone, e non è un male “perché la gioia di vederlo, quel sorriso, quando fai qualcosa di buono, è genuinamente impagabile”. Ha tanto da raccontare Isabella Ferrante, studentessa al quinto anno di Medicina e Chirurgia, volontaria Emergency e attivista Amnesty International. “Quando ho scelto Medicina, desideravo un lavoro che mi permettesse di fare realmente qualcosa per gli altri, sebbene – tiene a precisarlo – sono convinta che chiunque lavori con cuore e passione stia offrendo il proprio contributo per qualcosa di importante”. Tra i motivi che l’hanno condotta alla sua scelta, “Emergency, e il suo fondatore, sono stati tra i più significativi. Ho sempre ammirato il lavoro che Gino Strada fa, non da solo, proprio nel quotidiano. Con la mia famiglia, comunque, abbiamo sempre sostenuto associazioni come queste”. La Medicina si fonda sui diritti umani: “ed è questo il punto. Il medico non si occupa solo del corpo del paziente. Il paziente è una persona che ha tanti diritti, non solo quello alla salute, e va curato nella sua interezza – e cita anche Patch Adams, il medico, scrittore e attivista statunitense – Nel suo libro Pappagalli verdi, ad esempio, Strada racconta delle mine antiuomo colorate che sono costruite così proprio per attirare e fare del male ai bambini. Leggere quelle cose mi ha colpito fino alle lacrime. È a questa crudeltà pianificata che bisogna rispondere, con la diffusione di una cultura della pace”. Ad Emergency, Isabella è legata da diversi anni: “Svolgiamo varie attività di volontariato territoriale come le campagne di informazione, poi abbiamo lo shop con i gadget il cui ricavato va alla Fondazione ed io ho seguito anche un corso di formazione per poter andare a parlare con i ragazzi nelle scuole”. Non è lo stesso che dialogare con le persone in strada “e io ci tengo a non sembrare un sito web quando racconto la mia esperienza. Voglio si senta che parlo con il cuore. Lo stesso gruppo di Emergency è un’ispirazione da questo punto di vista, come Peppino Fiordelisi, uno dei responsabili del gruppo di Napoli, che considero il mio mentore”. Con l’emergenza Covid “è partito anche un nuovo progetto, ‘Nessuno Escluso’, che si rivolge ai cosiddetti nuovi poveri. Una volta a settimana ci impegniamo nella consegna di pacchi alimentari e, una volta al mese, di prodotti per la cura della casa e della persona”. Durante la prima fase del progetto, “in cui si è trattato di contattare le famiglie che ci venivano segnalate per capire di cosa avessero bisogno, è avvenuto un episodio che sento di voler condividere perché emblematico di una situazione che ci riguarda tutti da vicino”. Al telefono, “stavo ponendo delle domande ad una persona. Ho chiesto se riuscisse a pagare le bollette e la sua risposta è stata che in casa non avevano neanche l’elettricità. Ci sono cose che diamo assolutamente per scontate ma per tanti, che oltretutto abitano così vicino a noi, la storia è completamente diversa”. 
L’attività con Amnesty International, invece, è un po’ più recente: “Sono un’attivista da un paio d’anni. Anche con loro andiamo nelle scuole e teniamo dei seminari. E recentemente siamo stati alla Federico II, a Giurisprudenza, per un intervento al corso di Diritto Internazionale”. Lo scorso 24 maggio, ancora per il suo Ateneo, Isabella ha moderato l’incontro “Diritto alla Salute ed emergenza Covid” con i gruppi Napoli di Emergency e di Amnesty International e il contributo dell’Associazione Studenti di Medicina (Asmed): “All’inizio lo avevo immaginato diversamente, con l’intervento di qualche volontario e attivista come me che potesse sensibilizzare gli ascoltatori sulla questione del diritto alla salute in tempo di pandemia”. Il discorso, invece, “si è allargato, con la partecipazione di una ricercatrice di Amnesty International e la Presidente di Emergency. Si è parlato molto di vaccini e della difficoltà di estenderne la copertura a causa della privatizzazione dei brevetti”. In conclusione, “è intervenuto un mio docente, il prof. Vito Mannacio. Anche all’università ci sono tante storie che ci possono colpire. Con lui ho sostenuto un esame, poi, informandomi un po’ in rete, ho scoperto che durante l’emergenza si era impegnato per l’apertura di un ambulatorio gratuito. Una storia che mi ha colpito molto perché conferma che un luogo del sapere accademico si può aprire ad insegnamenti che vanno ben oltre i libri di testo”. Proprio in merito all’Università, un piccolo rammarico “è nel non essere ancora riuscita ad entrare tanto in contatto con i pazienti perché, causa Covid, alcune attività sono state rimandate. Io vorrei specializzarmi in Cardiochirurgia e magari, chissà, continuare a lavorare proprio con Emergency”. Ma come si concilia l’attività di volontariato nel contesto di studi impegnativi come Medicina? “Quello del volontario, naturalmente, non è un vero e proprio lavoro. È piuttosto un mettere a disposizione dei momenti liberi una o due volte a settimana o il sabato mattina. Per studiare c’è tutto il tempo. Impegnarmi con queste attività, comunque, è rigenerante”. Queste associazioni “sono una dimensione in cui sono cresciuta, anche grazie alla mia famiglia che mi ha insegnato il valore dell’altruismo e con cui, ad esempio, ci scambiamo sempre regali proprio attraverso lo shop di Emergency”. 
 
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