La Chimica si impara cooperando

Quanto serve ai futuri ingegneri lo studio della chimica? Se gli studenti fossero chiamati a rispondere a questa domanda, probabilmente direbbero che il loro interesse per la disciplina in questione è limitato. Percepito come un po’ avulso dal contesto formativo dell’ingegnere, l’esame di Chimica viene spesso visto semplicemente come uno scoglio da superare attraverso lo sforzo dell’acquisizione di nozioni fini a sé stesse. A parlarcene è il prof. Raffaele Cioffi, ordinario di Chimica dei materiali e dell’ambiente, che sta sperimentando un nuovo metodo di insegnamento basato sul Cooperative learning, l’apprendimento cooperativo. “L’idea di adottare questa metodologia didattica mi è venuta proprio partendo dalla convinzione che i ragazzi tendono a trascurare la Chimica- spiega il professore- Infatti, presi dall’ansia di seguire esami dal forte impatto ingegneristico, come ad esempio Matematica e Fisica, trascinano Chimica più avanti. E’ un peccato, perché in questo modo perdono il tempo impiegato a seguire il corso, dato che sostenere l’esame dopo molti mesi significa non riuscire più a beneficiarne appieno. Inoltre, rimandando l’esame ci si allontana dalle conoscenze acquisite durante le scuole superiori, e anche questa è una perdita”. Chimica dei materiali e dell’ambiente è, come tutte le discipline della Facoltà di Ingegneria Parthenope, una materia da 9 crediti formativi, prevista nel Corso di Laurea in Ingegneria Civile ed Ambientale. Le lezioni si svolgono durante il secondo semestre del primo anno e si articolano in due fasi, una teorica e l’altra pratica. Attraverso l’apprendimento cooperativo, la parte esercitativa del corso viene a coincidere con il lavoro di gruppi di studenti, organizzati dal docente in maniera da garantire la presenza al loro interno di posizioni di interdipendenza ma anche di responsabilità individuale. “Il metodo si basa sul coinvolgimento attivo dello studente, il quale, oltre ad ascoltare e prendere appunti, è assorbito da attività che lo impegnano a ragionare. Questo sistema non è improvvisato, ma diffuso da anni in numerose università statunitensi. Il suo principale sostenitore è il prof. Richard Felder, emerito di Ingegneria chimica alla North Carolina State University. In Italia è stato già applicato nella Facoltà di Ingegneria dell’Università Politecnica delle Marche, sempre per l’insegnamento della chimica. La sua sperimentazione nella nostra facoltà è un’assoluta novità”. Sembra che al Cooperative learning si ricorra soprattutto per lo studio della chimica. Come mai? “Vi si presta bene. In genere, le soluzioni ai problemi di chimica dei libri e degli insegnanti sono percorsi efficienti e ben organizzati. Quelle dei ragazzi sono diverse: false partenze, punti vuoti, tentativi illogici. Ciò comporta uno sforzo maggiore e una maggiore quantità di tempo per trovare la soluzione, anche se è comunque giusta. Lavorando in gruppo si confrontano i diversi percorsi e il ragionamento originale, che va sempre incoraggiato, viene maturato meglio”. Ma in cosa differisce l’apprendimento cooperativo dai classici lavori collettivi? “E’ molto diverso. Nel nostro caso, ciascuno è responsabile della propria preparazione e dell’apprendimento altrui. E’ quello che si intende per interdipendenza: lo studente spiega agli altri il proprio modo originale di ragionare. Al contempo, però, c’è la responsabilità individuale: ognuno rende conto individualmente al docente del lavoro svolto e di quanto appreso. Si tratta di un sistema che riesce a valorizzare le conoscenze pregresse dei più bravi, che all’interno di ciascun gruppo avranno un ruolo trainante”. In base a quali criteri vengono formati i gruppi? “L’abilità del docente sta nel capire come assortirli. In una classe di circa 40 persone, ciascun gruppo non potrà essere formato da più di 5 o 6 ragazzi. Altro compito delicato del docente consiste nella verifica quasi giornaliera delle attività svolte. Qui si è di fronte a continue verifiche, anche se non formalizzate. Soltanto alla fine si procederà alla verifica individuale, che potrà portare naturalmente a risultati non omogenei per i componenti di uno stesso gruppo”. Quali sono i risultati attesi? “L’esperienza di altre università ci dice che il numero di studenti che sostengono l’esame con esito positivo aumenta. Il mio obiettivo è di fare in modo che un corso da 9 crediti non sia buttato al vento e che ogni ora di lezione seguita sia capitalizzabile subito, in maniera che quasi tutti alla fine del corso conseguano buoni risultati”. Pensa anche di favorire l’affezione alla chimica in questo modo? “Certo, è una materia che affina le capacità di ragionamento e che aiuta a fissare concetti utilissimi per un ingegnere. Permette un collegamento immediato tra la teoria, la pratica e l’osservazione: chiunque ha assistito, nel corso della propria vita, ad un fenomeno chimico”. 
(Sa.Pe.)
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