La traduttrice americana di “Gomorra” in cattedra

Virginia Jewiss, docente della Yale University, il 18 ottobre riempie l’aula T1 di Palazzo del Mediterraneo. Ad organizzare l’incontro il CIEE (Council of International Educational Exchanges), organizzazione no-profit e non governativa di scambio internazionale. La traduttrice americana è ospite dell’Ateneo per parlare di alcuni dei suoi lavori più importanti: “Vita”, il romanzo di Melania G. Mazzucco, “Gomorra” di Roberto Saviano e “La vita nova” di Dante Alighieri. Comincia da “Vita”, ma poi diventa necessario un parallelo con “Gomorra”. “Se per il romanzo della Mazzucco vi devo raccontare di problemi legati alle caratteristiche del libro stesso, per l’opera di Saviano è necessario spiegare quanto possano influire le pressioni esterne”. Fa quasi venire voglia di seguire le sue orme ascoltare la Jewiss. Non si limita solo a parlare dell’aspetto tecnico delle sue traduzioni, ma vuole coinvolgere il pubblico interamente: sulle sue sensazioni, sui ricordi legati agli autori. Introduce il discorso su “Gomorra” raccontando un aneddoto: “Quando Saviano ha saputo che avevo accettato il lavoro mi ha chiamata perché voleva mostrarmi i posti da lui descritti nel libro. ‘Poi andiamo a mangiare una pizza’, mi ha detto. Due giorni dopo sono cominciate le minacce e andare in giro per  Napoli non era più sicuro né per lui né per chi lo accompagnava”. La traduttrice americana spiega quali siano le difficoltà nel riportare un libro, come quello del giornalista campano, non solo in un’altra lingua ma in un’altra cultura. “Nomi come Falcone per voi sono comuni – afferma – ma negli Stati Uniti è diverso. Quindi ho dovuto inserire delle note”. Riuscire a comprendere cosa l’autore voleva dire e cercare di renderlo, affinché un altro tipo di lettore, magari dall’altra parte del mondo, possa capirlo e apprezzarlo: questa è l’idea che la Jewiss trasmette riguardo il suo lavoro. “Sono stata ferma anche per mesi su un paragrafo – ricorda parlando di Gomorra – Il ritmo spietato della prosa di Roberto non dà tregua al lettore. Come se ogni parola fosse un cadavere. Io volevo mantenere questa violenza”. Ma lavorare su un libro del genere, al di là dei problemi ‘tecnici’, comporta tante altre difficoltà. “Era un testo in continua evoluzione. Ad un certo punto c’erano delle cause in corso che partivano dai camorristi non ancora condannati e abbiamo dovuto cambiare dei pezzi mentre il libro era già in stampa”. Oltre ad essere una nota traduttrice, la Jewiss ha insegnato Dante nelle università americane. Per questo dice: “Lo conoscevo bene”. Ma come si lavora su un’opera come “La vita nova” che è stata già tradotta molte volte? “Molti esperti del mio campo suggeriscono di non guardare mai le versioni precedenti. Ma io credo che tradurre sia come scrivere ed è necessario imparare da chi è venuto prima”.
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