L’astronauta Guidoni racconta la sua vita di viaggiatore nello spazio

Umberto Guidoni, in un’intervista-documentario proiettata venerdì 3 aprile nell’Aula Bobbio della Facoltà di Ingegneria, racconta la sua vita di viaggiatore nello spazio, il suo lungo addestramento e le sue missioni. L’iniziativa è stata organizzata dal Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale con la collaborazione dell’Associazione Maurizio Poggiali a scopo prevalentemente divulgativo. “Abbiamo voluto far conoscere ai nostri studenti la vita di un astronauta di fama mondiale come Umberto Guidoni – spiega il prof. Francesco Marulo, docente di Strutture Spaziali – e, al tempo stesso, informarli dell’esistenza del premio di laurea Maurizio Poggiali, che può servire da incentivo per scrivere una buona tesi”. Giunto alla sua quarta edizione, il premio è rivolto a studenti di Ingegneria Aerospaziale delle Università La Sapienza di Roma e Federico II di Napoli in onore del Capitano Maurizio Poggiali, prematuramente scomparso nell’agosto del 1997 a causa di un incidente aereo. “L’anno scorso il premio è stato vinto da un nostro studente, Sergio Ventura, che attualmente è dottore di ricerca all’Osservatorio di Capodimonte – racconta il prof. Antonio Moccia, presidente del CdL in Ingegneria Aerospaziale – Sarebbe bello se anche quest’anno fosse un nostro brillante laureato ad aggiudicarselo”. 
La storia di Maurizio Poggiali, raccontata in un toccante filmato proiettato prima dell’intervista a Guidoni, mostra quanto sacrificio e quante rinunce richiede la vita del pilota, dall’ammissione all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli alle prime missioni negli Stati Uniti. “Non credevo che la vita in Accademia fosse così dura e sacrificata” commenta Salvatore, studente di Ingegneria Aerospaziale. L’Associazione Maurizio Poggiali è nata dopo il tragico incidente del ’97 per iniziativa della famiglia, con l’intento di onorarne la memoria e di portare nelle scuole e nelle università una testimonianza reale della disciplina e della costanza dell’essere pilota. “L’obiettivo finale di mio fratello Maurizio era lo spazio. Si era iscritto a Ingegneria Aerospaziale alla Federico II, ma non ha fatto in tempo a laurearsi. Dopo l’incidente, il Rettore Fulvio Tessitore decise di conferirgli la laurea honoris causa. Ecco perché siamo molto legati a questa Università, che abbiamo coinvolto nel premio di laurea indetto dall’Associazione” spiega Fabio Poggiali, autore del documentario su Umberto Guidoni, realizzato con una “funzione quasi didattica”. Molti di quelli che sognano di diventare astronauti, infatti, non sanno realmente come fare. La carriera di astronauta parte dalle selezioni organizzate dall’Aeronautica militare, che Guidoni superò insieme a Maurizio Cheli nel ’90. I due furono trasferiti negli USA presso la NASA, dove ebbe inizio un lungo periodo di addestramento fisico e tecnico. Le selezioni, durissime, dissuadono tanti studenti. Ad esempio, Roberta, che studia Ingegneria Aerospaziale ed è molto interessata allo spazio, ritiene di non possedere i requisiti fisici richiesti: “l’altezza, il peso e una vista ottima”. Oltre alle caratteristiche fisiche, occorrono pazienza e costanza per superare la lunghissima fase di addestramento che precede una missione. Ore e ore passate ai simulatori, prove fisiche e una serie di attività parallele (gestione della strumentazione di bordo, pronto soccorso) hanno preparato l’astronauta Guidoni alla sua prima missione nello spazio nel febbraio del ’92. “Si trattava di una missione prevalentemente scientifica, dovevamo sganciare un satellite dalla navicella con un filo di 21 km. Un’operazione apparentemente semplice, che, tuttavia, non abbiamo portato a termine perché al ventesimo km il cavo si è spezzato e il satellite si è perso nello spazio” dice Guidoni nella sua intervista. La seconda missione, invece, è quella che lo ha reso famoso in tutto il mondo come il primo astronauta europeo ad andare sulla Stazione Spaziale. “La missione del 2001 era più operativa, dovevamo portare e installare sulla Stazione Spaziale un braccio meccanico realizzato in Canada che sarebbe servito a costruire la Stazione – continua Guidoni – la missione riuscì perfettamente, ci fu anche un collegamento dallo Shuttle con il Presidente della Repubblica Ciampi, ma non dimenticherò mai quello che si prova a guardare la Terra dallo spazio. È un caleidoscopio di colori, piccola e indifesa rispetto all’enorme vuoto spaziale!”.
La lunga testimonianza di Guidoni, corredata da immagini dell’addestramento e dell’equipaggio che galleggiava nello Shuttle per l’assenza di gravità, ha portato a conoscenza degli studenti cosa significhi essere un astronauta. Tuttavia, non tutti i futuri ingegneri aerospaziali sognano lo spazio. “Guidoni non è un ingegnere aerospaziale, ma un fisico. Quindi non è detto che chi si laurea in Ingegneria Aerospaziale debba necessariamente fare l’astronauta, perché le selezioni sono una cosa a parte. È stato molto utile ascoltare questa testimonianza, ma personalmente non m’interessa lo spazio” afferma Annarita Tufano mentre Salvatore Venusto, studente del terzo anno, tenterà dopo la laurea le selezioni per diventare astronauta. “È un mio sogno, so che è difficile realizzarlo ma devo provarci. Interessanti i discorsi sull’addestramento che precede le missioni, ora sono più preparato”, dice.
Disciplina, dedizione, una solida preparazione teorica e la capacità di lavorare in team, perché si deve creare una forte sinergia tra i membri dell’equipaggio per il successo della missione: gli altri requisiti dell’astronauta.  Ma qual è l’utilità dello spazio? Secondo Guidoni “lo spazio non sottrae finanziamenti ad altre attività, ma apre la strada al progresso, che può migliorare la nostra vita: è il futuro per le nuove generazioni”. Tuttavia, oltre a raccontare la sua carriera di astronauta, egli intende lanciare, attraverso la sua esperienza, messaggi positivi a studenti di scuole e università: “dallo spazio l’atmosfera terrestre è incredibile! Ci si rende conto che è l’unica vera protezione del nostro pianeta, perciò va salvaguardata con tutte le nostre forze, perché, senza di essa, la Terra sarebbe inghiottita dal buio spaziale”.
Marzia Parascandolo
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