“Sociologia vive una situazione di stallo”. Questa la denuncia del Preside della Facoltà Gianfranco Pecchinenda. La carenza di aule, e in generale di spazi, insieme ad un rapporto numerico docenti/studenti molto sbilanciato – il numero di studenti per docente interno alla facoltà è 70, contro una media nazionale di 21,4 – sono le motivazioni che spingono a proporre l’ipotesi del numero chiuso. Attualmente la Facoltà conta circa 4mila iscritti. “Negli ultimi dieci anni – spiega Pecchinenda – ci siamo scrollati di dosso la veste di ‘Cenerentola dell’Ateneo’, registrando più immatricolazioni di Veterinaria e Scienze Politiche. Abbiamo rafforzato molto l’offerta didattica, ma le problematiche che ci troviamo ad affrontare restano significative…”. Il malcontento è diffuso sia tra i docenti che tra gli studenti. “I ragazzi sono indiavolati – continua il Preside – Seguono le lezioni in piedi, non ci sono spazi adeguati, le aule non riescono a contenere tutti coloro che seguono i corsi. Dall’altra parte, i docenti si lamentano, giustamente, del modo in cui sono costretti a fare lezione: in aule sovraffollate, spesso senza microfoni e altri supporti didattici. E, in queste condizioni, non sono disposti a farsi valutare dagli studenti”. In effetti, né il cinema Astra né le aule di via Mezzocannone hanno risolto i problemi di spazio con i quali Sociologia convive ormai da anni. “Al cinema Astra, si tengono lezioni con cinquecento studenti, e capita che il docente di turno non disponga del microfono o della lavagna…”, sostiene il Preside.
Alla crescita degli iscritti, non si accompagna un rafforzamento dell’organico. “I docenti ammontano a una cinquantina, compresi i ricercatori, ma sono previsti alcuni pensionamenti…”. Come se non bastasse, scarseggia anche il personale tecnico-amministrativo. Ad esempio in Presidenza, su sei unità, solo tre sono in servizio (gli altri sono attualmente in malattia). Così buona parte del lavoro di amministrazione viene svolto dai docenti. “I professori si armano di buona volontà e collaborano per fornire assistenza al Preside. Basti pensare che hanno redatto personalmente i calendari degli esami per tutto l’anno… oltre, logicamente, a tutta la mole di lavoro che comporta seguire un numero di tesi, spesso, elevato, tenere lezioni in classi affollate e dedicarsi al ricevimento studenti…”. Dunque, il numero chiuso. “E’ l’unico modo per offrire una migliore qualità del servizio agli studenti. Diminuendo la quantità di studenti, cambierebbero anche le metodologie didattiche e gli insegnamenti risulterebbero sicuramente più efficaci”, dice Pecchinenda.
Alla crescita degli iscritti, non si accompagna un rafforzamento dell’organico. “I docenti ammontano a una cinquantina, compresi i ricercatori, ma sono previsti alcuni pensionamenti…”. Come se non bastasse, scarseggia anche il personale tecnico-amministrativo. Ad esempio in Presidenza, su sei unità, solo tre sono in servizio (gli altri sono attualmente in malattia). Così buona parte del lavoro di amministrazione viene svolto dai docenti. “I professori si armano di buona volontà e collaborano per fornire assistenza al Preside. Basti pensare che hanno redatto personalmente i calendari degli esami per tutto l’anno… oltre, logicamente, a tutta la mole di lavoro che comporta seguire un numero di tesi, spesso, elevato, tenere lezioni in classi affollate e dedicarsi al ricevimento studenti…”. Dunque, il numero chiuso. “E’ l’unico modo per offrire una migliore qualità del servizio agli studenti. Diminuendo la quantità di studenti, cambierebbero anche le metodologie didattiche e gli insegnamenti risulterebbero sicuramente più efficaci”, dice Pecchinenda.
La protesta
dei ricercatori
dei ricercatori
Clima teso anche tra i diciotto ricercatori della Facoltà. Dopo i tagli previsti dalla legge Gelmini, hanno deciso di ritirare la loro disponibilità all’assegnazione di incarichi didattici per l’anno accademico 2009/2010, non accettando contestualmente il titolo di Professore aggregato. “Protesta che – si legge dal documento presentato nel Consiglio di Facoltà del 21 aprile scorso, poi modificato, e firmato da tutti i ricercatori tranne che dal prof. Luigi Caramello – paradossalmente, consiste semplicemente nel fare il nostro lavoro: fare ricerca e basta, pur con i vincoli che sappiamo…”.
“Svolgiamo un’attività didattica molto significativa, ma senza uno stipendio adeguato… veniamo pagati da ricercatori”, afferma il prof. Lello Savonardo. Il documento quindi vuole essere uno stimolo per il Governo a riprendere con atteggiamento diverso la questione relativa all’Università e alla Ricerca e anche un appello a tutti i colleghi, visto che questi temi hanno gravi ripercussioni anche su tutte le altre categorie (dai precari agli ordinari) e sull’Università nel suo complesso. Tutti i ricercatori di Sociologia, professori aggregati, hanno all’attivo tra le settanta e le centoventi ore di lezione a semestre. In percentuale, coprono il 35% della docenza. “Vogliamo mettere in evidenza una situazione che è diventata insostenibile… – afferma il prof. Oreste Ventrone – Allo stato attuale, non abbiamo alcuna gratifica nominale, né riceviamo un euro in più per tutto il carico di lavoro che portiamo avanti…”. Ventrone svolge attività didattica in ben tre corsi: Analisi sociale nei classici, Metodi qualitativi per la ricerca e Sociologia dei saperi sociali, per un totale di quindici crediti formativi. Di tempo per la ricerca ne resta poco, anche perché “si diventa ricercatore solo in quegli spazi di tempo durante i quali non c’è lezione”. La protesta non rischia di danneggiare ancora di più gli studenti? “Purtroppo, i ragazzi sono già vittime – risponde Ventrone – Vivono una situazione grave che non può essere più tamponata”. “Capisco benissimo la posizione dei ricercatori – afferma Pecchinenda – ma, allo stesso tempo, abbiamo il dovere di tenere in vita i Corsi di Laurea. Nel caso, quindi, di ‘sciopero bianco’, andrebbe rivisto almeno un terzo dei corsi, raddoppiando il carico ai docenti”.
Maddalena Esposito
“Svolgiamo un’attività didattica molto significativa, ma senza uno stipendio adeguato… veniamo pagati da ricercatori”, afferma il prof. Lello Savonardo. Il documento quindi vuole essere uno stimolo per il Governo a riprendere con atteggiamento diverso la questione relativa all’Università e alla Ricerca e anche un appello a tutti i colleghi, visto che questi temi hanno gravi ripercussioni anche su tutte le altre categorie (dai precari agli ordinari) e sull’Università nel suo complesso. Tutti i ricercatori di Sociologia, professori aggregati, hanno all’attivo tra le settanta e le centoventi ore di lezione a semestre. In percentuale, coprono il 35% della docenza. “Vogliamo mettere in evidenza una situazione che è diventata insostenibile… – afferma il prof. Oreste Ventrone – Allo stato attuale, non abbiamo alcuna gratifica nominale, né riceviamo un euro in più per tutto il carico di lavoro che portiamo avanti…”. Ventrone svolge attività didattica in ben tre corsi: Analisi sociale nei classici, Metodi qualitativi per la ricerca e Sociologia dei saperi sociali, per un totale di quindici crediti formativi. Di tempo per la ricerca ne resta poco, anche perché “si diventa ricercatore solo in quegli spazi di tempo durante i quali non c’è lezione”. La protesta non rischia di danneggiare ancora di più gli studenti? “Purtroppo, i ragazzi sono già vittime – risponde Ventrone – Vivono una situazione grave che non può essere più tamponata”. “Capisco benissimo la posizione dei ricercatori – afferma Pecchinenda – ma, allo stesso tempo, abbiamo il dovere di tenere in vita i Corsi di Laurea. Nel caso, quindi, di ‘sciopero bianco’, andrebbe rivisto almeno un terzo dei corsi, raddoppiando il carico ai docenti”.
Maddalena Esposito