Little Genius, una scuola multiculturale per nativi digitali

Si è concluso con due seminari su temi di frontiera il corso di Governo ed Etica della prof.ssa Cristina Mele. Il 15 e il 19 dicembre sono stati ospiti Jacopo Paoletti, cofondatore e amministratore della Userbot, azienda per la progettazione di soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, e Nicola Christian Rinaldi, cofondatore, insieme con la moglie, della Little Genius International srl, una startup del campo dell’istruzione. “Due interventi molto interessanti, su temi di natura sociale e tecnologica, che hanno al centro la voglia di venire, o di ritornare, a Napoli e in Campania, e questo ci fa molto piacere”, sottolinea la docente. Rinaldi ha fondato nel 2006, insieme con la moglie, la Little Genius, una scuola elementare privata, multiculturale, per ‘nativi digitali’ con sede a Frascati, alle porte di Roma, crocevia di numerosi centri di ricerca, con l’obiettivo di fornire un sistema educativo basato su metodologie didattiche il più possibile personalizzabili e certificate, con un occhio al futuro ed uno alle inclinazioni di bambine e bambini, con corsi in inglese riconosciuti dal sistema Cambridge e attività di etica, robotica e digital skills. “I metodi educativi più famosi e diffusi risalgono tutti ad almeno mezzo secolo fa, una distanza enorme fra il metodo di acquisizione della conoscenza e il mezzo attraverso il quale l’informazione arriva oggi ai più piccoli”, sottolinea l’ospite. Nel corso del tempo il progetto si è evoluto, fino a diventare una Benefit Corporation, la quinta o sesta in Italia, nata da zero, senza capitali, sostenuta dal microcredito, premiata a dicembre scorso, a Milano, tra le migliori B-Corp al mondo. “Immaginate l’accoglienza degli imprenditori brianzoli, io napoletano, mia moglie indiana cresciuta in Inghilterra – scherza l’imprenditore – Abbiamo unito le nostre culture, a cominciare dall’Economia Civile di Antonio Genovesi. Per otto anni abbiamo litigato con il commercialista, che riteneva avessimo troppi utili e, si sa, significa pagare tasse. È andata avanti così, finché non abbiamo deciso di rivolgerci ad uno studio di Napoli. Nella nostra visione, se si chiude la forbice del guadagno, si compromette la sopravvivenza dell’impresa, che non ha i mezzi per investire nel rinnovamento della strumentazione”. La filosofia è tutta lì, reinvestire i profitti all’interno per migliorare e all’esterno in servizi di utilità sociale, per impattare positivamente sul territorio, prediligendo fornitori a chilometro zero, predisponendo una mensa certificata al novanta per cento biologica, realizzando una struttura fortemente autosostenibile dal punto di vista energetico e ad altissima ossigenazione, creando un fondo per borse di studio, spostando l’annualità di bilancio nel periodo settembre-agosto, sostenendo la meritocrazia tra il corpo insegnante e partecipando al bene comune, investendo in opere di interesse collettivo. Una durabilità basata su principi di perequazione, rari in un paese nel quale persino la percentuale di aziende che arrivano al terzo anno di vita è bassa e che si prefigge di arrivare ad implementare metodi educativi e formativi certificati ed efficaci per tutte le età, fino all’università. 
A Napoli meccanismi di 
resilienza civile
introvabili altrove
“Nel 2000 quasi il dieci per cento del parco imprenditoriale italiano era costituito da grandi aziende, oggi i valori economici si sono così contratti che le medie imprese non crescono e le grandi non ce la fanno, ma l’impresa che non cresce non alimenta il mercato del lavoro, la fiscalità, la società”. In questo contesto, come si attua il ‘profit for Benefit’? “In tempi moderni, in Italia questo concetto non è mai stato affrontato in maniera corretta, ma a Napoli, prima dell’Unità, per Editto Reale, le società avevano l’obbligo di utilizzare il profitto, o parte di esso, per opere pubbliche, per esempio donando una parte del pane prodotto dai panifici alla popolazione povera. È il principio del caffè sospeso, o della pizza a otto giorni. Sono meccanismi di resilienza civile che, altrove, non esistono più”. Ovviamente anche l’organizzazione ha un’impostazione diversa: “da noi i bambini non sono obbligati a seguire i ritmi dei genitori, sono questi ultimi, invece, che cominciano e smettono di lavorare, in relazione agli orari dei figli, sviluppando la tendenza ad ottimizzare la gestione della vita”. Una filiera certificata sulla base di criteri scientifici, pertanto facilmente esportabile, interessa a molti. Gli inviti ad aprire Scuole Little Genius sono arrivati dall’Italia e dall’estero: “In Italia avremmo potuto cedere il marchio a scuole già esistenti, ma abbiamo scoperto che spesso operano in strutture inadeguate, strutturalmente o normativamente. A settembre, probabilmente, ne inaugureremo una a Cinecittà e in futuro, forse, anche una a Napoli, ma le leggi in materia di edilizia scolastica sono tremende. A Roma nel ’69 dimenticarono addirittura di inserirle, pertanto le uniche strutture moderne sono state realizzate in deroga alle disposizioni vigenti, oppure in seguito a varianti di piani regolatori”. Nell’istruzione, come nella Sanità, stanno nascendo numerose realtà private, per sopperire alle carenze del pubblico: “ma chi opera in questi settori dovrebbe lavorare obbligatoriamente come Benefit Corporation. Se incidiamo sulla formazione di un bambino in maniera sana, gli effetti sul suo futuro economico sono enormi”.
Simona Pasquale
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