Napulitanata, un progetto culturale nato dal basso per “valorizzare la musica popolare”

Tutelare e diffondere la canzone napoletana classica nel mondo preservandone il valore artistico: è l’obiettivo di ‘Napulitanata’, prima sala concerto dedicata al patrimonio musicale partenopeo, nei locali concessi dal Comune nella Galleria Principe di Napoli (Piazza Museo Nazionale, n. 10-11). Il progetto, fondato da Domenico Matania, fisarmonicista, laureatosi nel 2013 in Organizzazione e Gestione del Patrimonio Culturale, muove i suoi primi passi all’interno del Dipartimento di Studi Umanistici nell’ambito delle cattedre afferenti al settore musicologico. E all’Università fa ritorno, dopo varie tappe in diverse città italiane e all’estero, lo scorso 14 novembre per una lezione-concerto aperta a tutti gli studenti, in molti provenienti dal Corso di Laurea Triennale in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale e della Magistrale in Discipline dello Spettacolo. Storia e Teoria. “La storia di Napoli è anche storia della sua musica e delle canzoni che, a loro volta, sono diventate celebri in tutto il mondo. Ciononostante, sul territorio si presentava sporadicamente al pubblico l’opportunità di ascoltare dal vivo un repertorio di musica popolare o, ad esempio, di tarantella in una location adibita per l’occasione, come un salotto o un teatro: è questa la formula del successo dei Napulitanata”, sono le parole del prof. Enrico Careri, docente di Storia della Musica e Presidente del Centro federiciano di Studi sulla Canzone Napoletana, sorto sulla base di un protocollo d’intesa con la Fondazione Murolo. “Fin da subito abbiamo appoggiato la nascita di un progetto dal basso che avesse lo scopo di valorizzare la musica popolare. Ci abbiamo visto lungo: oggi per TripAdvisor è Napulitanata la seconda esperienza da fare a Napoli”. La start-up ideata da Domenico, sulla base di un confronto con altre realtà europee – quali i Tablao spagnoli o le Case de Fados portoghesi – è una risultante della sua formazione multidisciplinare, perché “si propone lo scopo di fungere da attrattore turistico partendo però da una base culturale”, in virtù di un’approfondita conoscenza della musica colta e dei modelli di gestione del patrimonio. “È il nostro fiore all’occhiello perché dimostra la capacità, l’ingegno e la versatilità dei nostri studenti di mettere a buon frutto le competenze acquisite, in campo musicologico ma anche manageriale, inventandosi un lavoro da zero”. Del gruppo fanno parte, oltre a Domenico alla fisarmonica, i musicisti Pasquale Cirillo al piano e Alessandro Colmaier alla tammorra, con le voci di interpreti femminili, Manuela Renno e Serena Russo. E in ogni data i loro spettacoli registrano il tutto esaurito, con un boom di turisti, ma anche di napoletani stessi che hanno consentito al progetto di decollare, già sui social. Filo conduttore delle lezioni-concerto è il trasferimento di un know how atto a stimolare negli studenti lo spirito d’iniziativa. “Tra la fine dell’800 e inizio ’900 moltissimo è stato scritto sulla canzone napoletana. E tante opere risalivano alla penna di poeti, come Ferdinando Russo o Salvatore Di Giacomo. Tutti pensiamo di conoscere la musica popolare – Era de maggio, Funiculì Funiculà, ‘O sole mio – ma in realtà la profonda conoscenza della canzone d’autore si sta perdendo nelle nuove generazioni, perché poco è stato fatto finora per canalizzare i fermenti creativi del nostro territorio nella giusta direzione, alla luce anche delle attuali derive che sconfinano nel rap o nel neomelodico”, afferma il prof. Giorgio Ruberti, musicologo. “È nostro compito di docenti valorizzare i beni culturali, che in Italia – ricchissima da questo punto di vista – non sempre sono considerati come dovrebbero, e destinare uno spazio alla riflessione sulle spinte musicali di un certo spessore artistico-culturale”. L’avventura del gruppo Napulitanata restituisce valore a un “potenziale inespresso della città. Ed è un esempio del ‘si può fare’. Qui si insegnano tutti i generi, dal Medioevo ad oggi, e noi siamo aperti a diverse sollecitazioni – non solo musica definita ‘colta’ – purché le sonorità proposte siano di un elevato livello qualitativo”. La missione ultima degli studi di stampo musicologico è, del resto, allenare gli studenti all’ascolto. “In aula sono molto recettivi, spesso felici di scoprire per la prima volta i suoni di Mozart, Bach o Verdi, o di assistere alla visione di un melodramma di Puccini. Anche perché questo tipo di comunicazione è veicolata di rado dai mass-media”. Altre lezioni-concerto sono previste lungo tutto il primo semestre, mentre al secondo “terrò – conclude il prof. Ruberti – l’insegnamento di Etnomusicologia. La nostra è la prima cattedra in Campania”.
Sabrina Sabatino
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