Per una nuova Primavera dell’Università

“Le Università del Sud hanno sofferto molto a causa della crisi ma sono afflitte anche da un problema di garanzia e qualità dei servizi al punto da indurre spesso gli studenti a trasferirsi altrove. Guardare ai bisogni e alle aspettative dei giovani è centrale. Questo è il grande tema da mettere al centro del dibattito e noi che siamo il più grande Ateneo del Sud abbiamo una doppia responsabilità”, ha detto il Presidente della CRUI, Conferenza dei Rettori Universitari Italiani, Gaetano Manfredi, nell’aprire, lunedì 21 marzo, presso l’Aula Magna Ciliberto di Monte Sant’Angelo, la prima edizione della Primavera dell’Università, una manifestazione voluta per aprire il dialogo con tutte le parti interessate, corpo accademico e istituzioni, sullo stato dell’università in Italia, preceduto da un minuto di raccoglimento in memoria delle studentesse Erasmus vittime dell’incidente autostradale avvenuto in Spagna nei giorni precedenti. Il Rettore Manfredi in avvio di giornata ha quindi illustrato i dati dell’OCSE sul confronto tra il sistema italiano e quello europeo. Nella classifica internazionale, l’Italia è ottava per qualità della ricerca, davanti alla Cina, ma mostra i più scarsi investimenti procapite in formazione, con il più basso numero percentuale di laureati e con il più alto rapporto numerico docenti-studenti. Sul fronte degli investimenti in laboratori e strutture, con riferimento solo a quelli nazionali, le regioni a Obiettivo Uno sono state completamente esonerate, potendo garantire solo su quelli europei, “che noi abbiamo utilizzato in maniera estesa, ma sono stati gli unici fondi che abbiamo ricevuto, senza alcuna integrazione”, sottolinea il prof. Manfredi presentando un rapporto che mette a confronto il sistema universita' 

rio italiano con quello tedesco, due Paesi simili dal punto di vista economico, grandi esportatori con una grande industria manifatturiera e una composizione sociale simile. “Un confronto utile anche per sfatare qualche luogo comune”. 
“Non è vero che in  Italia ci sono troppe Università”
A fronte di una popolazione superiore del 35%, la Germania ha centoventuno università, contro le ottantaquattro dell’Italia, ed una percentuale numerica di studenti in rapporto alla popolazione pressoché identica. “Quindi non è vero che in Italia ci sono troppe università”, sottolinea il Rettore. A differenza del nostro Paese, nel sistema tedesco un milione di persone segue Corsi di studio tecnici, caratterizzati da una forte componente laboratoriale e attività presso strutture pubbliche che qui presentano come unico elemento di confronto i Corsi di Laurea in Professioni Sanitarie. Altro elemento di discrepanza, il Dottorato di ricerca. In Italia ci sono trentottomila dottorandi, in Germania, dove il titolo di studio è obbligatorio per ricoprire, per esempio, incarichi di dirigenza nella Pubblica Amministrazione, sono duecentomila. Il nostro Paese esce penalizzato dal confronto anche per quanto riguarda il finanziamento all’università: poco più di sei milioni e mezzo di euro, contro quasi diciannove. “La Germania, al momento dell’unificazione, ha pensato di qualificare in maniera diffusa la formazione, in Italia, invece, gli ultimi anni sono stati di ‘lacrime e sangue’. Solo nel Mezzogiorno si è tagliato un quinto delle risorse, una sensibile penalizzazione dovuta all’età media più alta, che ha provocato un maggior numero di pensionamenti”, spiega Manfredi. Risultato: tra il 2001 e il 2013 sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord un milione e mezzo di ragazzi, a fronte di un rientro di 851mila laureati. Un saldo negativo di ben 708mila persone, il 70% dei quali giovani. Dati che fanno gridare alla desertificazione di una vasta area geografica nella quale, oggi, due milioni di ragazzi non studiano e non lavorano. Ma il fenomeno migratorio interessa anche il resto della nazione, caratterizzata da una costante emorragia diretta verso il Nord Europa, un ulteriore dato di preoccupazione che mina la competitività del Paese. Dal 2007 ad oggi, si registrano circa quarantamila immatricolati in meno, il 13% dei quali al Nord, il 21% al Sud (il dato in Campania è del 17%). Si prevede che, fra vent’anni, il numero dei potenziali immatricolandi possa dimezzarsi. Già adesso, solo il 5% dei nati nel Meridione si iscrive in una università del territorio, a differenza di quanto accadeva quindici o venti anni fa, quando la stessa Federico II era un grande attrattore per tanti giovani del Mezzogiorno. “Non possiamo prescindere da questi dati. La nostra è la regione meridionale che esporta meno studenti, probabilmente perché è ancora forte la percezione che le università del territorio siano qualificate, ma, se non vogliamo perdere il futuro, non possiamo giocarci questo capitale enorme”, insiste il Rettore. 
La Federico II è "ancora un’Università sana”
Ma chi va all’università? Soprattutto chi si diploma in un liceo, e in Campania la percentuale di chi proviene da un istituto tecnico o professionale è più bassa della media nazionale. “Se vogliamo espandere la nostra base, dobbiamo incoraggiare i ragazzi che si diplomano presso questi istituti”. Inevitabile il ragionamento sul Fondo di Finanziamento Ordinario. Al momento in Italia sono due le aree sottofinanziate, il Nord-Ovest (Lombardia-Piemonte) e il Sud, mentre il Centro, un tempo luogo di accoglienza studentesca, appare un po’ sovradimensionato, dal momento che i flussi migratori verso il Settentrione e l’estero ne stanno sensibilmente spopolando gli atenei. “La ripartizione della quota premiale ha davvero danneggiato il Mezzogiorno, per l’alto numero di studenti inattivi, ma oggi occorrono indicatori differenziali, non assoluti – insiste il Rettore, avviandosi alla conclusione della sua lunga relazione – Nelle classifiche internazionali, la Federico II è fra le prime università italiane, l’unica del Mezzogiorno, e, limitandoci alla sola produzione scientifica, siamo ai primissimi posti in Italia. Vuol dire che siamo ancora un’università sana, ma è chiaro che le condizioni al contorno sono complicate. C’è senza dubbio un problema finanziario, ma il problema è soprattutto politico”. 
Simona Pasquale
- Advertisement -




Articoli Correlati