Uno dei volti più noti della televisione, la criminologa investigativa e psicologa forense Roberta Bruzzone, ospite d’eccezione nella mattinata di venerdì 14 settembre presso l’Aula Magna del Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali dell’Università Federico II. Appuntamento nell’ambito del Master universitario di II livello in ‘Scienze Forensi Veterinarie’, coordinato dal prof. Orlando Paciello. Ad accoglierla le parole di benvenuto del Direttore di Dipartimento prof. Gaetano Oliva, che non manca di sottolineare in apertura dei lavori “l’importanza della collaborazione tra figure dotate di competenze specialistiche multidisciplinari per la gestione delle attività d’indagine nei reati di maltrattamento a danno di animali, non solo nel rapporto tra medico veterinario e le forze sociali e dell’ordine, ma soprattutto tra il primo e la figura del cosiddetto profiler”. Ma chi è costui? “Chi ricostruisce il comportamento e gli atti compiuti da un soggetto attraverso l’analisi delle tracce presenti sullo scenario investigativo che rientra nell’ambito di una precisa inchiesta giudiziaria. Ed è anche il nome corretto per definire la professione che svolgo da vent’anni. Sì, lo so, non sono mai la donna delle buone notizie!”, afferma con decisione la dott.ssa Bruzzone. A questo punto, qualcuno potrebbe pensare: qual è il nesso tra veterinari e criminologi? “Sono due professionisti che possono incrociarsi nell’ambito della criminalistica applicata – chiarisce il prof.Paciello – con lo scopo di lavorare insieme per fornire prove scientifiche utili alle indagini: così come il profiler si consulta col medico legale (o altre professionalità del settore tecnico-scientifico) nell’ambito di un processo per eventi a danno di esseri umani, può avvenire lo stesso per i crimini contro animali”.
Segue tra lei e gli studenti del Master una serie di botta e risposta alla fine del quale il ‘criminal profiling’ non sarà più una professione sconosciuta o tanto più paragonabile al classico telefilm poliziesco americano del tipo Criminal minds.
Segue tra lei e gli studenti del Master una serie di botta e risposta alla fine del quale il ‘criminal profiling’ non sarà più una professione sconosciuta o tanto più paragonabile al classico telefilm poliziesco americano del tipo Criminal minds.
“Serve la testa”
Come si diventa criminologi?
“La criminologia non è una scienza, bensì una tecnica (di analisi a supporto dell’investigazione). In quanto tale, non rientra in un Albo professionale specifico. Io ci sono arrivata dopo una laurea in Psicologia Clinica, ma in Italia si può diventare criminologi anche dopo una laurea in Giurisprudenza, Medicina o Sociologia. Conta moltissimo oltre alla formazione teorica quella esperienziale, il lavoro che si svolge sul campo, a partire dal sopralluogo. E no, non somiglia per niente alle puntate di CSI”.
Quindi, che differenza passa tra ‘investigatore’ e ‘criminologo investigativo’?
“Quella che passa tra Sherlock Holmes e me. Il primo lavora sull’evidenza di determinate tracce (segni di violenza, tortura, mutilazioni o altre lesioni) o sulla compromissione delle stesse, praticamente l’80% dei delitti commessi su scala mondiale e risolti in pochi giorni. Bisogna applicare il profiling, invece, quando gli indizi scarseggiano. La prima cosa da fare: ricondurre l’accaduto a un bisogno. Ovvero, quali sono i bisogni soddisfatti sulla scena del crimine? Vendetta, angoscia, frustrazione, desiderio, ambizione, senso di colpa, riscatto… il ‘bisogno’ viene prima del movente. Una volta circoscritto, posso risalire al profilo psicologico del soggetto indiziato (dicasi, ‘offender’) – è qui che scendono in campo la psicologia giuridica, la psicopatologia e la psicodiagnostica forense – e restringere la rosa dei sospettati per agevolare il lavoro della Magistratura. Dopodiché m’interesso all’analisi e allo studio delle condotte dei sospettati emerse prima e dopo l’evento. In sostanza, a differenza dell’investigatore tradizionale, io posso lavorare anche sull’assenza di tracce: non c’è sempre bisogno di trovare un corpo per condannare il colpevole all’ergastolo”.
Perché nella memoria collettiva restano impressi solo determinati casi di cronaca? E perché questi coincidono proprio con quelli in cui si interpella il profiler?
“Si pensi ai delitti di Yara Gambirasio o Sarah Scazzi, non se ne comprendeva dal primo momento la dinamica. Ciò accade quando il quantitativo di tracce è ridotto – cioè il materiale biologico che depositiamo in continuazione; noi ci contaminiamo facilmente, anche solo prendendo il pullman – oppure assente, al punto che non è possibile ipotizzare una contestualizzazione del crimine né scomporre la vicenda atto per atto in pattern comportamentali, il che chiaramente complica il riconoscimento di una colpa e del suo fautore. È la poca chiarezza in merito da cui derivano il seguito mediatico e l’attenzione del pubblico”.
Cosa serve per fare bene questo lavoro?
“Alcuni credono sia la ‘sfera di cristallo’, io lo chiamerei ‘testa’. La logica è la dote fondamentale per mettere sulla bilancia tutte le valutazioni del caso e portarle a un processo completo di maturazione. Il problem solving è la prova regina di ogni ragionamento efficace. Certo, ci sono regole generali, ma non un vero e proprio ‘manuale da laboratorio’. Quelli che scrivono libri su questo argomento offrendo metodologie uniche e condivise sono dei venditori di fumo, perché non esiste un modello FBI universalmente valido: ogni caso è a sé e ognuno richiede l’applicazione di competenze integrate ma diverse, il cui obiettivo è: ‘trovare un criminale con certe caratteristiche’. Sicuramente, non è semplice sgombrare la mente dal giudizio morale, soprattutto nei casi che coinvolgono bambini o reati a sfondo sessuale”.
“La criminologia non è una scienza, bensì una tecnica (di analisi a supporto dell’investigazione). In quanto tale, non rientra in un Albo professionale specifico. Io ci sono arrivata dopo una laurea in Psicologia Clinica, ma in Italia si può diventare criminologi anche dopo una laurea in Giurisprudenza, Medicina o Sociologia. Conta moltissimo oltre alla formazione teorica quella esperienziale, il lavoro che si svolge sul campo, a partire dal sopralluogo. E no, non somiglia per niente alle puntate di CSI”.
Quindi, che differenza passa tra ‘investigatore’ e ‘criminologo investigativo’?
“Quella che passa tra Sherlock Holmes e me. Il primo lavora sull’evidenza di determinate tracce (segni di violenza, tortura, mutilazioni o altre lesioni) o sulla compromissione delle stesse, praticamente l’80% dei delitti commessi su scala mondiale e risolti in pochi giorni. Bisogna applicare il profiling, invece, quando gli indizi scarseggiano. La prima cosa da fare: ricondurre l’accaduto a un bisogno. Ovvero, quali sono i bisogni soddisfatti sulla scena del crimine? Vendetta, angoscia, frustrazione, desiderio, ambizione, senso di colpa, riscatto… il ‘bisogno’ viene prima del movente. Una volta circoscritto, posso risalire al profilo psicologico del soggetto indiziato (dicasi, ‘offender’) – è qui che scendono in campo la psicologia giuridica, la psicopatologia e la psicodiagnostica forense – e restringere la rosa dei sospettati per agevolare il lavoro della Magistratura. Dopodiché m’interesso all’analisi e allo studio delle condotte dei sospettati emerse prima e dopo l’evento. In sostanza, a differenza dell’investigatore tradizionale, io posso lavorare anche sull’assenza di tracce: non c’è sempre bisogno di trovare un corpo per condannare il colpevole all’ergastolo”.
Perché nella memoria collettiva restano impressi solo determinati casi di cronaca? E perché questi coincidono proprio con quelli in cui si interpella il profiler?
“Si pensi ai delitti di Yara Gambirasio o Sarah Scazzi, non se ne comprendeva dal primo momento la dinamica. Ciò accade quando il quantitativo di tracce è ridotto – cioè il materiale biologico che depositiamo in continuazione; noi ci contaminiamo facilmente, anche solo prendendo il pullman – oppure assente, al punto che non è possibile ipotizzare una contestualizzazione del crimine né scomporre la vicenda atto per atto in pattern comportamentali, il che chiaramente complica il riconoscimento di una colpa e del suo fautore. È la poca chiarezza in merito da cui derivano il seguito mediatico e l’attenzione del pubblico”.
Cosa serve per fare bene questo lavoro?
“Alcuni credono sia la ‘sfera di cristallo’, io lo chiamerei ‘testa’. La logica è la dote fondamentale per mettere sulla bilancia tutte le valutazioni del caso e portarle a un processo completo di maturazione. Il problem solving è la prova regina di ogni ragionamento efficace. Certo, ci sono regole generali, ma non un vero e proprio ‘manuale da laboratorio’. Quelli che scrivono libri su questo argomento offrendo metodologie uniche e condivise sono dei venditori di fumo, perché non esiste un modello FBI universalmente valido: ogni caso è a sé e ognuno richiede l’applicazione di competenze integrate ma diverse, il cui obiettivo è: ‘trovare un criminale con certe caratteristiche’. Sicuramente, non è semplice sgombrare la mente dal giudizio morale, soprattutto nei casi che coinvolgono bambini o reati a sfondo sessuale”.
Leader e gregari
Come si inquadra il profilo psico-comportamentale di un individuo?
“L’uomo è un animale sociale, ve ne sono di due tipi: leader o gregari (la maggioranza). C’è da dire, inoltre, che il profilo psicologico di ciascuno si cristallizza intorno al quinto anno di età, entro il quale si solidifica il nucleo centrale dei propri bisogni, la parte più profonda di sé. Dopodiché è tutta una corsa per riparare strada facendo i danni (altresì detti meccanismi disfunzionali) avvenuti in quella fase, da qui la capacità di ‘resilienza’. Fino a 5 anni il bambino è soggetto a un potenziale sviluppo sinaptico che non avrà mai più nella sua vita, neanche negli altri step (12-14 anni e poi verso i 18) in cui il funzionamento della corteccia si evolve. La psicoterapia non funziona mai come la pillola per il raffreddore, va presa come una pratica che può contribuire al miglioramento dei processi adattativi dell’uomo, e non fare miracoli”.
Quali dati emergono da un’analisi sui crimini commessi in Italia negli ultimi decenni?
“Negli ultimi 30 anni il numero di omicidi per mano della criminalità organizzata si è dimezzato. Forse perché quest’ultima, lo dicono gli indicatori sociali, riveste ormai posizioni di potere sulla scena politica e finanziaria, cioè indossa giacca e cravatta. Stabile, invece, la cifra degli omicidi volontari, di cui il 30% riguarda la coppia (in cui c’è una notevole asimmetria nell’equilibrio dei rapporti). Si tratta sempre di casi in cui autore e vittima hanno una relazione o comunque si conoscono”.
E dal punto di vista di un quadro psicologico, qual è la sua visione di pensiero in merito a questo preciso momento storico? Cosa la colpisce?
“Il destino dell’uomo è da sempre quello di separarsi, divenire autonomo: un’unità cellulare che diventa unità fisica e poi psichica per la formazione di un essere unico e irripetibile. A volte non si accetta questa separazione: come lo stalker che non si rassegna dopo la fine di una relazione affettiva o qualcuno che fatica dopo anni a elaborare un lutto. Recentemente la Società Italiana di Psichiatria ha reso noto che circa 17 milioni di italiani assumono psicofarmaci per curare disturbi d’ansia, stress e improvvise fobie. Insomma, dire ‘affronto la giornata’ o ‘mi piace vivere’ oggi – complice anche uno svilimento dei valori – è diventata roba da duri”.
“L’uomo è un animale sociale, ve ne sono di due tipi: leader o gregari (la maggioranza). C’è da dire, inoltre, che il profilo psicologico di ciascuno si cristallizza intorno al quinto anno di età, entro il quale si solidifica il nucleo centrale dei propri bisogni, la parte più profonda di sé. Dopodiché è tutta una corsa per riparare strada facendo i danni (altresì detti meccanismi disfunzionali) avvenuti in quella fase, da qui la capacità di ‘resilienza’. Fino a 5 anni il bambino è soggetto a un potenziale sviluppo sinaptico che non avrà mai più nella sua vita, neanche negli altri step (12-14 anni e poi verso i 18) in cui il funzionamento della corteccia si evolve. La psicoterapia non funziona mai come la pillola per il raffreddore, va presa come una pratica che può contribuire al miglioramento dei processi adattativi dell’uomo, e non fare miracoli”.
Quali dati emergono da un’analisi sui crimini commessi in Italia negli ultimi decenni?
“Negli ultimi 30 anni il numero di omicidi per mano della criminalità organizzata si è dimezzato. Forse perché quest’ultima, lo dicono gli indicatori sociali, riveste ormai posizioni di potere sulla scena politica e finanziaria, cioè indossa giacca e cravatta. Stabile, invece, la cifra degli omicidi volontari, di cui il 30% riguarda la coppia (in cui c’è una notevole asimmetria nell’equilibrio dei rapporti). Si tratta sempre di casi in cui autore e vittima hanno una relazione o comunque si conoscono”.
E dal punto di vista di un quadro psicologico, qual è la sua visione di pensiero in merito a questo preciso momento storico? Cosa la colpisce?
“Il destino dell’uomo è da sempre quello di separarsi, divenire autonomo: un’unità cellulare che diventa unità fisica e poi psichica per la formazione di un essere unico e irripetibile. A volte non si accetta questa separazione: come lo stalker che non si rassegna dopo la fine di una relazione affettiva o qualcuno che fatica dopo anni a elaborare un lutto. Recentemente la Società Italiana di Psichiatria ha reso noto che circa 17 milioni di italiani assumono psicofarmaci per curare disturbi d’ansia, stress e improvvise fobie. Insomma, dire ‘affronto la giornata’ o ‘mi piace vivere’ oggi – complice anche uno svilimento dei valori – è diventata roba da duri”.
Il “manipolatore
affettivo”
affettivo”
Ci sono delle costanti negli episodi di ‘pet cruelty’?
“Il bisogno che emerge dal nucleo patologico di un soggetto che gode o ricava gratificazione dalla sofferenza dell’animale, un parametro a cui fare molta attenzione. Sentirsi meglio facendo del male vuol dire sperimentare un ‘esercizio di potere’, che potrebbe ripercuotersi da un momento all’altro anche su un essere umano, si pensi ai comportamenti dei sadici. Non sono affatto diversi dai tossicodipendenti: come il drogato cerca la sostanza, il sadico o il ‘predatore emotivo’ vogliono esercitare il potere. Sono sintomi simbolici di un disturbo ben più grave, il dolore psichico”.
E, infine, un’ultima domanda: ‘a cosa sta lavorando attualmente?
“Mi sto occupando di tanti progetti, di cui alcuni su violenza di genere, psicologica e fisica, femminicidio o casi di dipendenza affettiva. In particolare, la questione dei ‘manipolatori’ e del cosa fare se s’incontrano con soggetti caratterizzati da evidenti tratti narcisistici (o affetti da disturbi della personalità, disturbo istrionico, borderline o paranoide). Ebbene, meglio farsi lasciare. A novembre uscirà il mio nuovo libro, si chiama ‘Io non ci sto più. Consigli pratici per riconoscere un manipolatore affettivo e liberarsene’. Voglio dare il mio contributo per diffondere i risultati della letteratura scientifica specializzata, affinché le persone imparino a riconoscere comportamenti pericolosi o deleteri per se stessi e a volersi un po’ più di bene”.
Sabrina Sabatino
“Il bisogno che emerge dal nucleo patologico di un soggetto che gode o ricava gratificazione dalla sofferenza dell’animale, un parametro a cui fare molta attenzione. Sentirsi meglio facendo del male vuol dire sperimentare un ‘esercizio di potere’, che potrebbe ripercuotersi da un momento all’altro anche su un essere umano, si pensi ai comportamenti dei sadici. Non sono affatto diversi dai tossicodipendenti: come il drogato cerca la sostanza, il sadico o il ‘predatore emotivo’ vogliono esercitare il potere. Sono sintomi simbolici di un disturbo ben più grave, il dolore psichico”.
E, infine, un’ultima domanda: ‘a cosa sta lavorando attualmente?
“Mi sto occupando di tanti progetti, di cui alcuni su violenza di genere, psicologica e fisica, femminicidio o casi di dipendenza affettiva. In particolare, la questione dei ‘manipolatori’ e del cosa fare se s’incontrano con soggetti caratterizzati da evidenti tratti narcisistici (o affetti da disturbi della personalità, disturbo istrionico, borderline o paranoide). Ebbene, meglio farsi lasciare. A novembre uscirà il mio nuovo libro, si chiama ‘Io non ci sto più. Consigli pratici per riconoscere un manipolatore affettivo e liberarsene’. Voglio dare il mio contributo per diffondere i risultati della letteratura scientifica specializzata, affinché le persone imparino a riconoscere comportamenti pericolosi o deleteri per se stessi e a volersi un po’ più di bene”.
Sabrina Sabatino