Raccontare l’Università attraverso la letteratura

Linguaggi, narrazioni, rappresentazioni del mondo accademico. È l’obiettivo della discussione in oggetto nella due giorni internazionale che si è tenuta presso Palazzo du Mesnil il 14 e 15 maggio. Il titolo del convegno ‘Across the University’ evoca la celebre canzone dei Beatles, perché del resto i linguisti sanno bene che la parola Università deriva proprio da universo. E come raccontare e dipingere quest’universo nelle svariate forme artistiche, dalla stampa alla letteratura, passando per il cinema e la televisione? È questa la sfida, appunto universale, che hanno lanciato gli organizzatori Jana Altmanova, Laura Cannavacciuolo, Marco Ottaiano, Katherine Russo a una platea fitta di docenti, specialisti di diverse aree disciplinari e ospiti internazionali, perché è vero che “la tematizzazione del luogo accademia cambia a seconda delle modalità di storytelling e delle strategie linguistiche adottate”. È questo l’argomento proposto dall’esperto di letteratura colombiana, prof. Fabio Rodríguez Amaya, docente presso l’Università di Bergamo, che ha aperto i lavori della seconda giornata di convegno prendendo in esame il ‘campus novel’, cioè il romanzo ambientato all’Università, tema più ricorrente nel confronto. Ma gli italianisti ci tengono a precisare: “su questo genere letterario l’Italia non ha sviluppato un’autentica tradizione letteraria, a differenza del mondo anglosassone”, dice la prof.ssa Cannavacciuolo, docente di Letteratura Italiana. Frequentissime, tuttavia, sono le apparizioni o, come ha sottolineato il prof. Carlo Vecce nell’intervento di chiusura, le “incursioni creative dell’ambientazione universitaria nell’arte e nella letteratura italiana”. Prima di soffermarsi sugli approfondimenti di ciascun relatore che ha declinato la rappresentazione del microcosmo accademico nella specificità dei suoi studi su una data lingua e cultura, occorre in via preliminare domandarsi: cos’è veramente (per noi italiani) l’Università? “Un luogo di scambio, una fucina di saperi, uno spazio di intesa tra studenti e docenti, tra questi con la città in cui l’Università è immersa e tra tutti loro con le stesse categorie che, però, risiedono in altre aree del pianeta. Perciò, si torna costantemente a dire che uno studente Erasmus è cittadino del mondo”, risponde il prof. Sergio Corrado, germanista, presiedendo una tavola rotonda a cui ha partecipato il prof. Ottaiano, docente di Letteratura Spagnola e ideatore dell’iniziativa. “Siamo linguisti e traduttori. E la nostra lingua è l’Università che, come un vero e proprio idioma, ha le sue regole, un lessico, un linguaggio da rispettare. Ma l’Università è prima che una fase della vita, quindi un tempo, anzitutto un luogo di comunanza con una storia alle spalle, di cui noi docenti abbiamo fatto parte, e un futuro nelle mani e nelle menti degli studenti che formeremo”. In ogni romanzo accademico l’intreccio narrativo si instaura infatti attraverso le dinamiche relazionali coltivate tra le mura universitarie, “perché tale luogo di formazione crea un rapporto tra l’individuo e le Istituzioni, mette in comunicazione i giovani con il mondo del lavoro, accorcia le distanze tra sé e gli altri”, sostiene la prof.ssa Maria Cristina Lombardi, docente e traduttrice dallo svedese. Ed è proprio questo rapporto, che si può indagare nell’ambito di opere appartenenti alla cultura europea o americana, a giocare un ruolo cruciale nella scoperta degli abissi dell’animo umano. Per esempio, “l’individualismo è il fulcro tematico centrale in un romanzo autobiografico ma la scoperta di se stessi avviene nella dimensione di conoscenza di altri mondi, affascinanti perché diversi”. Una proposta di analisi che ha stimolato una riflessione da diverse prospettive sui significati di appartenenza allo spazio universitario, al punto che gli studenti – numerosi in sala – hanno domandato: Che significa oggi stare all’Università? Iscriversi a una sorta di ‘centro di collocamento’ nella speranza di poter trovare una scorciatoia per un impiego facile? Niente affatto, “appartenere al mondo universitario, o a maggior ragione – come accade altrove in Europa – vivere in un campus, significa trovarsi in una soglia di confine tra erudizione e perdizione, accomunati da un obiettivo lungimirante: la conoscenza. Di che cosa? Di tutto, dell’universalità delle scienze, di ogni aspetto della società, che in quanto organizzazione collettiva ci riguarda da vicino. La didattica, lo studio e la ricerca sono i mezzi a nostra disposizione per iniziare un dialogo con le giovani generazioni, partendo però da interessi e punti in comune”. È un frammento del discorso del prof. Franco Paris che, pur riferendosi alla letteratura olandese e fiamminga, si riallaccia con facilità alle ultime conclusioni della mattinata. “L’Università non si può raccontare esclusivamente dal punto di vista dei processi decisionali della politica, della democrazia o delle rappresentazioni della cronaca, bensì dall’interno di noi stessi”, riprende Ottaiano. Chi si sofferma su romanzi di coloro che hanno narrato le contestazioni sessantottine, chi racconta la vita in Ateneo dal punto di vista del ‘gender’, chi lo fa gettando l’occhio alla rete e alle nuove tecnologie che hanno cambiato radicalmente il modo di insegnare e parallelamente di istruirsi, c’è qualcosa di fondante che assicura lunga vita all’Università, e che è emerso attraverso le sue rappresentazioni letterarie: lo spazio universitario in quanto luogo di riconoscimento identitario. “La letteratura, come ogni altra espressione artistica, è una lingua franca in grado di assorbire ricettivamente dinamiche esistenziali rilevanti che coinvolgono docenti e studenti, chi si reca in Dipartimento per lavorare o studiare, dare lezione o assistervi, creando una relazione complementare che ha per scopo vitale da ambo le parti l’agonica ricerca della propria identità”.
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