Ragone: “pluralismo e rinnovamento”

Gerardo Ragone ed Enrico Pugliese. Quasi certamente saranno loro i due candidati alla Presidenza della Facoltà di Sociologia. “Lo dicono anche le pietre ormai”, si sussurra in facoltà. Il primo ha già ufficializzato la sua candidatura a fine maggio, in una riunione di facoltà. Il secondo ancora no, anche per un fatto di correttezza: è fino al 31 ottobre docente distaccato, -anzi “momentaneamente fuori ruolo” è la formula tecnica, -in quanto da tre anni docente presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. A confrontarsi sono due docenti illustri, dal lungo percorso, scientifico e politico, ma sono anche: “due concezioni del mondo e della vita”, come si diceva un tempo. Ragone: laico, sociologo del mercato, di scuola americana, attento alla modernità ed all’organizzazione aziendale e dei comportamenti di consumo, ma soprattutto socialista, anche candidato capolista nel 1993 in piena Tangentopoli come ricorda: “sono socialista da tre generazioni, un mio zio vescovo, si chiamava Alfonso Ferrandino, scrisse un libro sul socialismo umanitario e le gerarchie ecclesiastiche non lo fecero mai diventare cardinale”. Pugliese, invece: apertamente di scuola marxista, impegnato sul fronte immigrati e della sociologia del lavoro, teorico della solidarietà e dell’attenzione alle minoranze, studioso critico del fordismo  e del taylorismo.
Un Preside 
napoletano? 
La parola all’unico che al momento ha ufficializzato la sua candidatura, il prof. Gerardo Ragone, 61 anni, nato a Napoli. La prima domanda è d’obbligo: allora, prof. Ragone, per la prima volta potremmo avere un Preside napoletano? (per ora di napoletano, da 4 anni, c’è un direttore di Dipartimento, la prof.ssa Enrica Amaturo). La risposta: “chissà. Io ce la metterò tutta. Se riesce va bene, altrimenti andrà bene lo stesso. Ritengo però che valga la pena tentare”. Come è accaduto per le recenti elezioni studentesche, dove, per la prima volta a Sociologia, la lista di centro destra ha battuto quella di sinistra, prendendo due consiglieri contro uno? “Nel mio caso anche la mia è una candidatura di sinistra. Ma c’è chi guarda a queste elezioni con timore, con sospetto, con preoccupazione. C’è poi un piccolo gruppo, determinante, ancora indeciso. Gli altri sono tutti schierati”, per la sua candidatura o per l’altra ventilata e considerata ormai certa. “È segno di un disagio che si vive in questa facoltà e che non è di oggi, ma parte da lontano”. 
Perciò ha deciso di candidarsi? “Si. Per un’esigenza di ricambio, di rinnovamento, di pluralismo -(sono le sue parole chiave, n.d.r.; tre termini che ripete continuamente come un tormentone, nella mezz’ora di intervista)- e per aprire pubblicamente un confronto in questa facoltà che è asfittico”. 
Dice: “dobbiamo ripristinare, come 20 anni fa, un dibattito ed una convivenza fra aree politico-culturali, scientifiche ed accademiche diverse nella nostra facoltà, in modo che tutte insieme, contribuiscano a realizzarne una ricchezza. Questione che consentirebbe anche di meglio affrontare la riflessione, anche teorica, che la sociologia mondiale sta effettuando. Senza tabù ed in una visione, in un approccio, più laico”. Intende dire meno integralista, meno di chiusura? “Guardi, ci tengo che il dibattito sia sereno, ma al tempo stesso debbo evidenziare che in 20 anni, nonostante le mie continue  sollecitazioni, non sono riuscito ad ottenere una cosa semplicissima: un coordinamento dei programmi fra i docenti della facoltà”.
Così la vede lui, che in quasi 30 anni di vita accademica tutta vissuta al Federico II, tranne una breve supplenza all’università di Pisa in contemporanea con la docenza a Napoli, ha sperimentato anche l’esperienza di consigliere di amministrazione all’Università per un anno e mezzo, lui che per dissidi interni alla facoltà è dovuto andare “in esilio” all’Università di Salerno e ha dovuto attendere 4 anni prima di tornare ordinario a Napoli, a Sociologia. Perché poi lui è bravo, scientificamente qualificato e docente apprezzato, meno per i suoi percorsi politici per cui è stato avversato, dall’ala nobile nella facoltà, che nella scienza come nella cosa pubblica ha sempre anteposto un’etica della politica e della morale pubblica, facendone anche oggetto di un percorso di studi: dal “familismo amorale” degli anni ’60 ai giorni nostri. 
Lo strapotere 
di MI-TO
Lui la vede così, che poi sono anche i suoi tre principali punti programmatici: “sto preparando una lettera-programma dove illustrerò le ragioni della mia candidatura. Che sono tre e tutte di politica universitaria”. La prima: “la sociologia italiana è divisa in tre correnti: una di tradizione marxista, legata all’ex partito comunista, ai diessini e alla Cgil che si chiama MI-TO, perché radicata soprattutto al Nord, a Milano e Torino; una componente cattolica, forte soprattutto nel centro Italia, che aveva a capo Ardigò prima ed ora Donati e Cesario; ed una corrente laica, radicata soprattutto al centro sud, con a capo Alberto Statera, morto lo scorso anno. Fino a un decennio fa, le forze in campo vedevano l’area marxista al 70%, quella cattolica 30% circa, e quella laica quasi inesistente. Oggi, ritengo che la situazione veda le tre aree paritarie, tutte intorno al 33%. Ma in tutti questi anni, a livello nazionale ed anche alla facoltà di Sociologia di Napoli, ha sempre governato la sinistra, il MI-TO. Hanno sempre governato il Dipartimento, il Corso di Laurea e la facoltà. Una monocultura politica che impedisce il confronto, il dialogo. Io penso invece ad una facoltà pluralista, cosa che può far bene a tutti ed essere di stimolo per una forte identità della facoltà”. Cioè: “una facoltà più aperta, pluralista, più weberiana nel senso pieno del termine. Ma senza perdere il grande contributo della teoria marxista. E lo dico da uno che si è sempre sentito di sinistra, anche se avrei dovuto alzare di più la voce contro certe storture dell’ex partito socialista”.
Seconda ragione. “La sociologia a livello internazionale sta affrontando nuovi percorsi teorici. Una facoltà monolitica ha maggiore difficoltà a sviluppare una riflessione”. 
Si giunge così alla seconda ragione della candidatura. “La facoltà, in conseguenza della riforma universitaria, -il famoso 3+2, n.d.r.- dovrà decidere con quali facoltà avviare un dialogo ed a quali percorsi formativi avvicinarsi: psicologi, economisti o biologi come sta attualmente avvenendo negli Stati Uniti. Anche in questo caso, una facoltà monolitica è chiusa al confronto, perché ha già i suoi percorsi teorici, i suoi interessi da difendere e le sue opzioni”. 
Terza ragione. “È la meno importante ma ha anch’essa il suo peso. Ovunque nelle organizzazioni periodicamente si verifica un ricambio, perché è un danno se a ricoprire gli incarichi di governo sono sempre le stesse persone. Casomai alternandosi tra Dipartimento, Corso di Laurea prima e facoltà oggi, Dottorato di ricerca. Non è un caso se lo stesso rettore Tessitore, per Statuto, ha fissato un limite ai mandati”. 
Mauro Calise. Dall’esterno, c’era chi pensava che lui avrebbe potuto essere un nome vincente, da giocare sia all’interno della facoltà che nei rapporti esterni: enti locali ed istituzioni. Cosa ne pensa il candidato Ragone? “Credo gli sia stato proposto ma non abbia accettato. Pur se schierato, è un uomo di aperture, che avrebbe potuto avere un consenso ampio”. Ma c’è stato finora, il tentativo di una candidatura unitaria, che non spaccasse la facoltà in due, tra chi ha sempre governato e i delusi o gli emarginati delle precedenti gestioni? “No. Finora non è stato tentato. Ma sarebbe un discorso possibile. Però ad una condizione: azzerando tutti gli incarichi (direzione di dipartimento, dottorato di ricerca e presidenza di facoltà) e decidendosi per una gestione pluralista, che coinvolga tutte le aree della facoltà. Non so se questa ipotesi sarà considerata tra le cose possibili”.
Conclusione. “Vorrei che tutti capissero che anche a Sociologia c’è bisogno di un po’ di rinnovamento, ed a chi andrà a votare per il Preside, di un po’ di coraggio. Poi, comunque andrà, per me va bene”.
Paolo Iannotti
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