Referendum costituzionale, l’Università in prima linea

Il prossimo ottobre tutti i cittadini italiani aventi diritto al voto saranno chiamati alle urne per esprimere la propria volontà sul referendum costituzionale. Oggetto della discussione: la Riforma Boschi-Renzi che introduce diverse novità, modificando alcuni princìpi cardine del testo della nostra Costituzione. Questo tipo di referendum, chiamato confermativo, non si avvarrà del principio del quorum (50% dei voti più 1) per apportare le modifiche previste. I cittadini saranno chiamatiad esprimere un Sì o No sulla Riforma e vincerà l’opzione che ha ottenuto la maggioranza dei voti. La Proposta di Legge può essere sintetizzata in 5 punti chiave. In primis, il superamento del Bicameralismo Perfetto che caratterizza l’assetto istituzionale italiano. In questo modo la Camera dei Deputati diventa l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto e l’unica assemblea che dovrà approvare le leggi ordinarie e di bilancio e accordare la fiducia al governo. Secondo punto: il Senato diventa un organo rappresentativo delle autonomie regionali (si chiamerà Senato delle Regioni), composto da cento senatori (invece dei 315 attuali) che non saranno eletti direttamente dai cittadini. La funzione principale del Senato sarà quella di
esercitare un raccordo tra lo Stato, le Regioni e i Comuni. Terza modifica: all’elezione del Presidente della
Repubblica non parteciperanno più i delegati regionali, ma solo le Camere in seduta comune. Inoltre, è prevista l’abolizione del Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro, organo ausiliario contemplato dalla Costituzione, avente funzione consultiva per quanto riguarda le leggi sull’economia e il lavoro. Quarto cambiamento: con la Riforma si modifica il Titolo V della Costituzione ‘competenze Stato/Regioni’. Alcune materie, come ad esempio l’ambiente, la gestione di porti e aeroporti, trasporti e navigazione, torneranno alla competenza esclusiva dello Stato, sottraendole alle Regioni. Quinto passaggio: concerne il Referendum abrogativo e le leggi d’iniziativa popolare. Per proporre una legge d’iniziativa popolare non saranno più sufficienti 50mila firme, ma ne serviranno 150mila. In quest’ottica di profondo cambiamento, ogni studente universitario, quale cittadino, dovrà trarre le proprie conclusioni e decidere per il Sì o per il No. Si va a toccare il perno del nostro sistema, la Costituzione Italiana, non si può arrivare impreparati ad ottobre. In queste ultime settimane, costituzionalisti, personalità di spicco, attori, scrittori, registi e professori universitari hanno espresso il loro parere pubblicamente, sottoscrivendo la loro volontà di impegnarsi a favore o contro la Riforma Boschi. Fra gli oltre 300 cittadini che hanno dichiarato di parteggiare per il Sì, molti accademici napoletani. Ad esempio, il Rettore del Suor Orsola Benincasa, prof. Lucio d’Alessandro, docente di Sociologia Giuridica, e il prof. Luciano De Menna, professore Emerito di Elettrotecnica presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica della Federico II. Dalla controparte, e quindi a favore del No, fra gli
oltre 50 costituzionalisti che hanno espresso la propria opinione: il prof. Massimo Villone, ex parlamentare
e docente di Diritto Costituzionale presso la Federico II, e il prof. Alberto Lucarelli, docente di Diritto Costituzionale nello stesso Ateneo.
Le ragioni del Sì
“Voterò Sì per diversi motivi – afferma il prof. Lucio d’Alessandro – Nel nostro Paese c’è una forte crisi di fiducia fra istituzioni e cittadini. Le persone non si riconoscono nel Governo perché il sistema di voto previsto non permette di scegliere il Premier. In quest’ottica, con il sistema maggioritario, il Presidente del Consiglio cambia a seconda dei partiti e non sulla base delle scelte della cittadinanza. Bisogna quindi modificare il sistema”. In seconda istanza: “In questo periodo storico, l’Europa impone ai Paesi di essere immediatamente reattivi nel dare risposte. Occorre un governo scelto dalle persone, che ci sappia rappresentare con autorevolezza, predisponendo un premierato più forte”. Terzo motivo: “In Italia si è sempre pensato di affrontare la Riforma del Bicameralismo perfetto ma poi
non è mai stato fatto. La Costituzione, per quanto sia uno Statuto importante, è uno strumento della vita civile ed è un modo per governare il Paese. Fino a quando non si avrà un cambiamento decisivo, non potremmo capire che direzione prendere nei prossimi anni”. Cosa cambierà sostanzialmente per i cittadini? “Quando si andrà a votare
si saprà già chi potrebbe essere il Presidente del Consiglio, si potrà leggere un programma elettorale relativo alla persona e non alla coalizione. In questo modo, sapremo con chi prendercela se le cose dovessero andare male”. Oggi, infatti, “c’è troppa confusione quando si vota. Un cambiamento si rende necessario se vogliamo dare una
scossa al Paese”. Le motivazioni del Sì del prof. Luciano De Menna: “La nostra Costituzione è nata dopo la guerra ed è fortemente garantista. Serviva, infatti, a disciplinare un determinato momento storico. Il fatto che sia eccellente non vuol dire però che essa non possa essere modificata, adattandosi ai tempi che cambiano”.
Secondo il docente, il sistema del bicameralismo: “ostacola lo sviluppo del Paese. Le leggi, dovendo passare dalla Camera al Senato, hanno un iter troppo lungo. Le due Camere, seppur garantiste, svolgono le medesime funzioni. Così facendo, il potere legislativo è nelle mani della classe politica che facendo ostruzionismo blocca situazioni che dovrebbero invece andare avanti”. Superare il vecchio sistema dicendo sì: “darà vita ad un nuovo ciclo legislativo. La Riforma Boschi non sarà perfetta, ma contiene degli elementi che scardinano la staticità. Siamo l’unico Paese ad avere il bicameralismo perfetto. È ora di non permettere più alle leggi di rimbalzare dalla Camera al Senato”.
Le ragioni del No
Per i costituzionalisti, oltre a guardare la Riforma, occorre soffermarsi sulla Legge Elettorale, l’Italicum già approvato. “In Italia – commenta il prof. Massimo Villone – c’è una forte delusione relativamente alla rappresentatività delle Istituzioni. Con la sostanziale cancellazione del Senato, prevista dalla Riforma, releghiamo quest’ultimo ad organo secondario, eletto indirettamente da parte regionale. Non più rappresentativo della cittadinanza intera, ma di territori limitati. Si sfocia in localismi senza senso. Che competenza potrà avere, ad esempio, un sindaco di una tal regione?”. La Riforma prevede infatti che vi siano 21 sindaci (uno per regione) in Senato. “La cancellazione del Senato elettivo è un duro colpo alla democrazia. I sistemi di democrazia diretti ne usciranno indeboliti. Basti pensare che per i referendum propositivi la quota di cittadini richiedenti passa da 50 mila a 150 mila. Non c’è quindi la volontà di rafforzare la partecipazione attiva dei cittadini”. Secondo l’ex parlamentare, se una Camera ha una maggioranza ‘blindata’, “un partito forte, senza più il bicameralismo, potrà dettare l’agenda
parlamentare a proprio piacimento. Si potrà governare il processo decisionale del Parlamento, relegando il Capo dello Stato ad una mera figura di rappresentanza. Quest’ultimo non potrà più sciogliere le Camere o prendere decisioni effettive”. Inoltre, occorre dire no: “perché, anche se è vero che il numero dei senatori diminuisce, i costi saranno dimezzati solo di una piccola quota. Ci saranno i 100 senatori da mantenere, tra cui quelli afferenti alle Regioni, a cui dovremo pagare viaggi, trasferte e quant’altro”. Il sistema, conclude il docente, “porterà ad una maggioranza parlamentare artificiale. Gli studenti, come cittadini, debbono prestare molta attenzione a ciò che
sta succedendo. Il Referendum vale il futuro del Paese. Consiglio quindi di informarsi per una scelta ponderata”. Il prof. Alberto Lucarelli condivide le ragioni del No. “Se dovesse vincere il sì – spiega – ci troveremo di fronte ad una trasformazione del Parlamento, con i poteri concentrati nelle mani del Governo e del Presidente del Consiglio. Vi sarà quindi un indebolimento notevole degli organi di opposizione, con il rischio di una forte confusione del procedimento legislativo”. Infatti, spiega, “non è vero che il Senato è sempre escluso dall’attività legislativa. C’è una serie di leggi in cui quest’ultimo interviene, generando conflitto fra le parti. Un conflitto costruttivo, che riguarda leggi che cambiano il Paese. Garantendo quindi il bicameralismo, si garantisce anche la democrazia”. Altro aspetto negativo: “il Senato sarà composto, oltre dai Sindaci, anche da 74 Consiglieri Regionali, con una difficoltà oggettiva da parte di questi ultimi di dare vita a lavori così tecnici. Inoltre, i consiglieri, diventando senatori, avrebbero l’immunità parlamentare. "Assurdo riconoscere l’immunità ‘a chiunque’, anche ai consiglieri come in questo caso”. Il docente precisa: “Non sono contrario alle riforme in generale, ma questa è sbagliata, perché la Costituzione non può diventare terreno per unabattaglia politica. Non si possono lacerare i princìpi in essa contenuti per contenziosi partitici”. Ultima considerazione: “Passando più di 20 materie dalla competenza regionale a quella statale, le regioni si indeboliranno. Vorrei che gli studenti non si soffermassero agli slogan di propaganda – del tipo meno senatori, più risparmio – ma si informassero prima di operare una scelta. Il Parlamento, come la nostra Costituzione, sono le basi del Paese. Mi chiedo se un governo non eletto sia legittimato a modificare parte della nostra storia”.
Susy Lubrano
- Advertisement -




Articoli Correlati