“Lo studente di sanscrito è cambiato con la riforma- spiega il prof. Francesco Sferra, docente di Lingue e letteratura sanscrita- E’ stato modificato il suo modo di studiare e di concepire l’università. Quando sono arrivato all’Orientale, nel 1998, avevo classi di anche quindici studenti esperti in glottologia, filosofia o orientalistica che si avvicinavano al sanscrito per passione. Oggi, a causa anche dell’inserimento della disciplina nella Classe 11, di Lingue e Culture Moderne, i ragazzi si trovano a studiare questa materia come se fosse una sorta di filologia legata allo studio del Cinese o dell’Hindi”. Non più quindi una disciplina principe, ma una lingua che fa da ancella, da completamento allo studio di altre lingue contemporanee. Ma il sanscrito raccoglie, in realtà, tutta la tradizione della cultura indiana fino al 1700 d.c., quindi il suo studio è imprescindibile per un orientalista.
“Oggi il sanscrito in Italia si studia principalmente a Roma, Venezia, Torino. Anche Bologna, Palermo, Cagliari e Milano offrono quest’insegnamento- aggiunge Sferra- Bisogna tener conto che in Italia lo studio del sanscrito è molto legato al modello tedesco, dove tra fine ‘800 e inizio ‘900 c’erano oltre 20 cattedre. Naturalmente quando si parla di Indologia bisogna considerare che ogni sede è specializzata in un filone specifico: l’Orientale è diretto verso lo sviluppo di un centro studi sul buddismo”. Sferra è critico: “stiamo assistendo alla svendita della peculiarità di quest’Ateneo, cioè lo studio orientalistico, attraverso lo spegnimento di alcuni insegnamenti che a seguito di pensionamenti o decessi non vengono riattivati o i cui docenti vengono sostituiti da contrattisti”. Per mantenere, dunque, un centro d’eccellenza bisogna tenere alta la bandiera della docenza e della ricerca. “Non nascondo la mia soddisfazione – confessa Sferra- quando ho ricevuto i complimenti da un collega straniero per una mia allieva che ha partecipato alla Summer School di Sanscrito che si tiene a Leida”.
Quello del prof. Sferra, oggi è un gruppo di circa sette studenti, che a volte si riduce a tre o quattro, e che si spalma su due corsi: il primo di lingua base, articolato in due semestri, si preoccupa di fornire gli strumenti principali per la conoscenza della lingua (“Il sanscrito non è difficile; gli studenti non incontrano problemi particolari, ma devono impegnarsi e non considerarla una lingua accessoria”); il secondo è dedicato allo studio avanzato attraverso i testi (“generalmente si leggono e contestualizzano testi ma se ci sono allievi particolarmente motivati si possono fare studi su manoscritti o testi inediti”).
Quali sono gli sbocchi professionali per uno studioso di sanscrito se la ricerca universitaria sembra una meta irraggiungibile? “La conoscenza del sanscrito consente di esercitare diverse professioni: il politico, il giornalista o il diplomatico specializzato nei rapporti con l’India, professionisti che abbiano una conoscenza specifica per portare avanti rapporti di quel territorio di cui il sanscrito racchiude tutta la cultura, le tradizioni, la storia, il modo di vivere. Inoltre in Europa ci sono importanti centri di studi Sanscriti, primo fra tutti Amburgo, ma anche Leida, Varsavia, Vienna, Londra, Parigi e Berlino. Se si curasse la cultura dell’interscambio tra le varie realtà accademiche si potrebbe dare un’importante spinta alla ricerca anche a Napoli”.
(Va.Or.)
“Oggi il sanscrito in Italia si studia principalmente a Roma, Venezia, Torino. Anche Bologna, Palermo, Cagliari e Milano offrono quest’insegnamento- aggiunge Sferra- Bisogna tener conto che in Italia lo studio del sanscrito è molto legato al modello tedesco, dove tra fine ‘800 e inizio ‘900 c’erano oltre 20 cattedre. Naturalmente quando si parla di Indologia bisogna considerare che ogni sede è specializzata in un filone specifico: l’Orientale è diretto verso lo sviluppo di un centro studi sul buddismo”. Sferra è critico: “stiamo assistendo alla svendita della peculiarità di quest’Ateneo, cioè lo studio orientalistico, attraverso lo spegnimento di alcuni insegnamenti che a seguito di pensionamenti o decessi non vengono riattivati o i cui docenti vengono sostituiti da contrattisti”. Per mantenere, dunque, un centro d’eccellenza bisogna tenere alta la bandiera della docenza e della ricerca. “Non nascondo la mia soddisfazione – confessa Sferra- quando ho ricevuto i complimenti da un collega straniero per una mia allieva che ha partecipato alla Summer School di Sanscrito che si tiene a Leida”.
Quello del prof. Sferra, oggi è un gruppo di circa sette studenti, che a volte si riduce a tre o quattro, e che si spalma su due corsi: il primo di lingua base, articolato in due semestri, si preoccupa di fornire gli strumenti principali per la conoscenza della lingua (“Il sanscrito non è difficile; gli studenti non incontrano problemi particolari, ma devono impegnarsi e non considerarla una lingua accessoria”); il secondo è dedicato allo studio avanzato attraverso i testi (“generalmente si leggono e contestualizzano testi ma se ci sono allievi particolarmente motivati si possono fare studi su manoscritti o testi inediti”).
Quali sono gli sbocchi professionali per uno studioso di sanscrito se la ricerca universitaria sembra una meta irraggiungibile? “La conoscenza del sanscrito consente di esercitare diverse professioni: il politico, il giornalista o il diplomatico specializzato nei rapporti con l’India, professionisti che abbiano una conoscenza specifica per portare avanti rapporti di quel territorio di cui il sanscrito racchiude tutta la cultura, le tradizioni, la storia, il modo di vivere. Inoltre in Europa ci sono importanti centri di studi Sanscriti, primo fra tutti Amburgo, ma anche Leida, Varsavia, Vienna, Londra, Parigi e Berlino. Se si curasse la cultura dell’interscambio tra le varie realtà accademiche si potrebbe dare un’importante spinta alla ricerca anche a Napoli”.
(Va.Or.)