Serena e Diana “come in uno specchio”

Anzitutto, come è nato il progetto artistico? E come ha reagito quando le hanno proposto un ruolo così complesso?
“È nato per caso una sera durante una cena con l’autore e regista Vincenzo Incenzo, che voleva raccontare
in un suo prossimo lavoro la vita di una donna importante. Sono venuti fuori tanti nomi, tra cui Lady D. E lì mi si sono drizzate le antenne, perché l’ho sempre apprezzata, sin da quando ero molto giovane. Non volevamo fare una biografia o un’imitazione, né nel look né nei modelli espressivi, soltanto rivivere una storia, fiabesca e tragica, breve ma intensa nelle sue mille sfaccettature”. Come coniuga due aspetti così distanti dell’identità di Diana, un
‘io’ diviso tra i riflettori e l’austerità di corte? “Come in uno specchio, conducendo un lavoro di approfondimento, su me stessa e sulla biografia della principessa. Ancora oggi leggo, faccio ricerche, guardo filmati,  insomma non smetto mai di documentarmi. Recitare vuol dire mettersi a nudo, spogliarsi della propria pelle e indossare gli stati d’animo di un altro, dalla gioia al dolore”. Invece, cosa la lega a questo personaggio? C’è un po’ Lady D in Serena?
“Ma sì, condividiamo qualcosa, la parte pubblica, superficiale, quella che deve sempre avere un sorriso smagliante, anche se ahimè a volte non ha voglia di sorridere. In tutti e due i personaggi, quello iconico e quello fragile, c’è tanto di Serena, soprattutto quando racconta delle amiche o dei figli. Anche se io non mi ritengo una ribelle, amo troppo il mio lavoro, parlare con i fan e ringraziarli. Non è una sviolinata, perché non recito nella vita, sarebbe troppo complicato”. È un’impresa coraggiosa mettere in scena un musical con un solo personaggio. Lei è sola in scena in un tour de force tutto d’un fiato. Ha mai avuto dubbi lungo il cammino? “Li ho ogni sera. Prima di entrare in scena, penso: ‘ma perché hanno deciso di affidare a me un intero spettacolo?’. A volte durante un
cambio d’abito non ho nemmeno il tempo di bere un sorso d’acqua. Ma quando varco la soglia delle quinte e comincio il primo monologo, mi sento felice”. Come ha vissuto il debutto a Napoli? Avverte una differenza nel contatto col pubblico nostrano? “Sì, soprattutto sul finale, anche se devo dire che lo spettacolo regala molte emozioni. Gli spettatori hanno bisogno di provare una scossa emotiva quando vengono a teatro, non solo guardare belle immagini e ascoltare bella musica, ma sentire delle voci interiori. Ogni replica cambia a seconda dell’energia e di come sento il pubblico, nei suoi sospiri e nei suoi silenzi”. Come definirebbe questo spettacolo atipico? Un concept musical, o semplicemente un flusso di coscienza?  “Mi piacerebbe saperlo dai ragazzi, dopo che l’hanno visto. Sicuramente è un’operazione innovativacon arrangiamenti molto moderni, al passo coi tempi. Non solo hit anglosassoni, evergreen dei Beatles, Queen, David Bowie e Elton John, ma anche moltissimi inediti. È un modo per avvicinare anche i giovani, quelli che magari ascoltano il rap e storcono un po’ il naso quando sentono la parola ‘teatro’. Trovo che sia uno spettacolo davvero ‘pop’, ma nel senso di popolare, perché la scrittura tocca momenti di alta poesia. Pop non significa per forza mediocre, e popolare non vuol dire che sia di basso livello”. Quale lavoro preliminare ha dovuto praticare per immergersi totalmente nella parte?m“È stata una lunga preparazione. Prima ho studiato la sua vita, le interviste, ho cercato di captare il suo sguardo dalle fotografie. Però sentivo che mi mancava qualcosa, restavo sempre in superficie senza riuscire a scavare nel fondo più disperato e tragico. Perciò sono ricorsa a una psicoterapeuta e ho imparato a fare molta autoanalisi. I suoi dolori mi hanno fatto riconoscere i miei. Ho indagato nel mio passato, spesso soffrendo per debolezza”. Lo spettacolo ripercorre tutta la vita di Diana, a partire dall’infanzia solitaria fino all’incidente fatale. Quali sono le tappe più significative prese in esame? E, invece, qual è il momento che preferisce? “Il sipario si apre poche ore prima della sua morte a Parigi, mentre aspetta di incontrare Dodi Al- Fayed. Lì cominciano i flashback, dall’infanzia con una figura paterna assente, ai tempi della scuola in cui fu maestra d’asilo. Passo in rassegna ogni evento: l’incontro a 19 anni col Principe, l’innamoramento e il matrimonio da fiaba, il galateo reale e l’intolleranza della regina, le mortificazioni di Carlo in pubblico e, infine, lo spettro sempre presente di Camilla. L’adulterio ha spezzato il suo sogno di vivere una vita d’amore. Ha cominciato a sentirsi inadeguata, disadattata. È diventata prima anoressica, bulimica, poi ubriaca. Un dramma che l’ha portata a confessare di avere molti amanti e non essere accettata dal popolo. Il momento che amo di più è quando sono nella gabbia e recito: ‘le donne hanno bisogno di enorme coraggio per ammettere di non potercela fare… mentre il loro mondo le soffoca, la loro autostima evapora in una nebbia di solitudine e disperazione’. Mi emoziono tantissimo”. Dopo questa breve tournée, a cosa lavorerà prossimamente? “Voglio riposarmi. Sono un po’ affaticata adesso. Mi stanno proponendo sia nuovi film che fiction, staremo a vedere. Non abbandonerò certamente il teatro di qualità e poi voglio ritornare più spesso nella mia amata Napoli”.
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