Storie made in China con il giornalista Rai Paolo Longo

Originario di Monopoli, “cittadino del mondo a cui stava stretta la propria casa”, racconta la prof.ssa Paola Paderni, docente di Storia e Istituzioni della Cina, nel presentare il suo ospite il 23 maggio nell’aula T2 di Palazzo del Mediterraneo per la conferenza “Storie made in China”, il giornalista Paolo Longo ha cominciato la sua carriera come fotografo. Ha proseguito poi come radiocronista prima da New York, poi da Gerusalemme negli anni della seconda Intifada (2001-2003) e, dal gennaio del 2004, è corrispondente Rai da Pechino. “Non c’è paese al mondo dove la parola controllo ha un peso così forte come a Pechino, la battaglia quotidiana è quella di sfuggire al controllo dello Sceriffo”, afferma Longo. Il Partito Comunista Cinese (PCC) rappresenta un’entità gigantesca che vuole controllare tutto e nulla può sfuggire ai suoi dettami. Censura e repressione rendono perfetta la macchina da lavoro del PCC. “Chi cerca di schivare il controllo – chiarisce Longo – finisce nelle Black prisons che accerchiano Pechino”. La Cina è un Paese che “preferisce piegarsi, ma non spezzarsi”. E, per chiarire al meglio questa sua affermazione, racconta un episodio accaduto negli anni ’70. A Pechino il Presidente degli Stati Uniti Nixon doveva incontrarsi in segreto con il Presidente Mao Tse Tung, ma il boeing 707 sul quale viaggiava lo statunitense non si adattava alla pista di atterraggio dell’aeroporto di Pechino, predisposto solo ad accogliere gli aerei russi. Per evitare che Nixon compiesse un volo di due metri, i cinesi di notte costruirono una scaletta che facilitasse non solo la discesa del passeggero, ma che impedisse di smascherare l’isolamento in cui versava il Paese. “Un episodio – afferma Longo – che spiega come il Titanic evita l’iceberg”.
A seguire, la proiezione di tre estratti di reportage sulla società cinese. Il primo racconta la storia di una giovane coppia di fidanzati di Shanghai che incarnano gli ideali di ottimismo imprenditoriale dei giovani cinesi, disposti al sacrificio in vista del successo finale. La maggior parte dei ragazzi cinesi sogna di avviare un’attività in proprio, contrastando così la mentalità conservatrice dei loro genitori. Il secondo filmato è incentrato sul tema della religione. “I cinesi hanno mille modi per esprimere la loro religiosità – dice Longo – ma sono un popolo profondamente superstizioso”. Il video mostra i vari culti a cui sono legati i fedeli cinesi, come quelli del dragone nero (riconosciuto ormai dal Partito a causa dei numerosi seguaci) e della dea del mare. “Il culto di queste divinità riflette la ricerca di simboli, di autorità, potere da parte dei religiosi”. A tal proposito Longo afferma che il proliferare di queste nuove forme di religione sta diventando un surrogato capace di far fronte alla mancanza di spiritualità nella Cina contemporanea, dove l’unica cosa che conta è far soldi. La voglia assetata di denaro, di successo, influisce anche nel rapporto tra uomini e donne. Queste ultime cercano nel loro compagno tranquillità e stabilità familiare, mentre i loro compaesani sognano di crescere accumulando capitale e finiscono così per ricorre al “mercato nero delle mogli”. L’incremento di questa domanda è dovuta, però, anche alla triste pratica dell’aborto selettivo che nel tempo ha creato un divario tra i numeri di neonati maschi e femmine. Il terzo è un filmato inedito sul Tibet che ha mostrato agli studenti la pratica dell’immolazione di uno dei numerosi monaci buddisti che si danno fuoco in forma di protesta contro la pressione del governo cinese. In realtà, il fenomeno della “torcia umana” sta dilagando anche tra i civili, dimostrando l’esasperazione di cui sono vittime. 
L’ultima parte dell’incontro è stata caratterizzata da un “open space”, un botta e risposta tra gli studenti e il giornalista. Il primo intervento è stato chiarificatore per quanti volessero saperne di più sul tema della corruzione. “È il pane quotidiano dei potenti – risponde Longo – ed è così diffusa che la gente oramai l’ha accettata”. Basti citare il caso Bo Xilai, alto funzionario del PCC accusato di aver commesso “gravi violazioni disciplinari” e di come la Cina si sia affrettata ad insabbiare omicidi, scandali e corruzione. All’interrogativo sulla censura, Longo, richiamando Il Ministero della Verità di Orwell in “1984”, spiega che i giornalisti ricevono quotidianamente messaggi contenenti le direttive riguardo cosa si può raccontare e cosa no. In Cina ad essere al bavaglio non è solo la stampa, ma anche internet. Il Great Firewall è un sistema di “depurazione” altamente sofisticato che banna l’accesso ai siti politicamente sfavorevoli a Pechino. La tentazione di spegnere la rete resta, infatti, una delle principali preoccupazioni degli esponenti del Partito. Ma la dichiarazione di Longo getta un bagliore di ottimismo: “Internet è come l’acqua, non la fermi. Le autorità ne sono consapevoli”. “È possibile sradicare il potere delle autorità locali e arrivare ad una completa autonomia?”, avanza uno dei presenti. “Bisognerebbe creare un sistema di check and balance”, ribatte Longo. Prevedibilmente, da uno studente è partita la domanda riguardo le difficoltà linguistiche che il giornalista ha incontrato “sul posto”. Per la consolazione di tutti, e strappando un sorriso, Longo ha raccontato di aver assistito spesso a scene in cui anche l’interprete madrelingua mimava l’ideogramma per evitare malintesi conversazionali! In un momento così delicato dell’economia italiana, è sorta spontanea la domanda riguardo il giudizio che la Cina ha del Belpaese. E, per la seconda volta, Longo suscita l’ilarità della platea, riportando i commenti dei cinesi: “Ve l’avevamo detto, il vostro sistema non funziona, guardate noi come lavoriamo!”.
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