Un affollato seminario per parlare di criminalità organizzata e del ruolo degli ingegneri nella lotta alle mafie, organizzato dall’Assi (Associazione degli Studenti di Ingegneria) in collaborazione con altre associazioni studentesche e di categoria, impegnate nella lotta alle estorsioni. Ospite dell’evento che si è svolto presso la Facoltà di Ingegneria il 22 novembre, Tano Grasso, fondatore, nel 1990, a Capo d’Orlando, in provincia di Messina, della prima associazione antiracket. Oggi è presidente della FAI, Federazione delle Associazioni Antiracket ed Antiusura Italiane. Dal 2001 riveste l’incarico di Consulente contro il racket e l’usura del Comune di Napoli, dove ha contribuito a fondare associazioni di commercianti nei quartieri di Pianura, San Giovanni e Bagnoli. “Fare l’ingegnere in terra di mafia, è cosa completamente diversa, dal farlo al nord o all’estero. Questo vale per moltissime professioni, però la vostra ha un livello di esposizione e delle connessioni con il mondo economico, più forti ed immediate di altre”, dice. A Napoli, i preventivi per la costruzione, o la ristrutturazione di una casa, presentano spesso una voce, talvolta con previsioni anche molto elevate, relativa a spese impreviste: il pizzo per realizzare l’opera. Allo stesso modo, appena si mette su un’impalcatura, qualcuno si presenta al cantiere a chiedere soldi. “Una volta, un associato, mi ha chiesto di andarlo a trovare al Rione Sanità perché iniziava dei lavori di ristrutturazione. In questo modo, tutti avrebbero saputo che lui non pagava il pizzo. Non potei arrivare al cantiere entro mezzogiorno, prima i camorristi dormono, e passarono a chiedere il pizzo”. Nella dinamica estorsiva, c’è una caratteristica ancora più napoletana. Qui l’intimidazione, ovvero la strategia comunicativa della mafia, in genere rivolta al titolare di una ditta, viene messa in atto nei confronti delle maestranze e dei tecnici, affinché lascino il lavoro, in attesa che ‘il masto si metta a posto’. L’’ingegnere è il soggetto più esposto, perché è presente nel cantiere. Le alternative, in questi casi, sono tre: testimoniare, far finta di nulla, andarsene. Negli ultimi due casi, si rinuncia a combattere, accettando di non essere liberi. “Nella vostra professione, il normale codice deontologico, deve essere integrato da principi di etica anticamorra. Uno dei più importanti imprenditori napoletani nel settore dell’edilizia che ha subito un attentato, ci racconta sempre che il danno più grave è stato l’abbandono da parte di un geometra che lavorava con lui da 25 anni che si è trasferito a Roma”. Oltre l’aspetto morale, le ragioni economiche. “La camorra è il fattore inibente dello sviluppo, ma non tutti condividono questa affermazione. Il fatto che nel nostro Mezzogiorno ci sia ricchezza, non significa che vi sia sviluppo”. C’è sviluppo quando le imprese sono libere e possono, in un determinato mercato, circolare liberamente. La presenza della camorra, nega questi principi. Non è solo questione di pizzo. Nelle grandi aziende, essa impone forniture, subappalti, assunzioni e, nell’intero meridione d’Italia, la criminalità organizzata, produce una micidiale frontiera medievale, l’unica nel mondo del capitalismo avanzato, che blocca la circolazione delle merci e l’insediamento di aziende straniere. Edilizia e turismo, i settori maggiormente esposti. “Questa è la realtà su cui troppo spesso chiudiamo gli occhi. Non c’è scampo, il cambiamento della nostra vita, passa attraverso la strettoia della lotta alla criminalità”, conclude Grasso.
“Inquinata anche
l’economia del Nord”
l’economia del Nord”
Si prosegue con domande e testimonianze. Molte e appassionate. “Dal momento che il fenomeno si è diffuso anche nel resto del paese, più di quanto traspaia, perché se ne continua a parlare, localizzandolo solo nelle nostre terre?” chiede il prof. Angelo Chianese. “Purtroppo, il fenomeno è molto localizzato. Quando parliamo di mafie, il territorio è un riferimento ineludibile. Buscetta diceva che la mafia è criminalità più omertà. L’omertà è il territorio” risponde Grasso. La mafia non è, però, un fattore antropologico. Ha un inizio storico, legato all’Unità d’Italia. “Questa localizzazione, non esclude, però, che l’argomento sia una questione di grande rilevanza nazionale. Lo è nell’ordine dei valori, ma anche in termini economici, perché la stessa economia del Nord è inquinata da questi fattori”. I capi della mafia siciliana, a differenza di quelli della camorra, non si concedono alcun lusso. Investono i soldi delle loro attività comprando azioni, imprese, industrie, assicurazioni, banche, economia e, chi controlla l’economia, controlla il paese. “Quando, finalmente, verrà fatta una legge adeguata, scopriremo che tante aziende strategiche, non appartengono a chi crediamo”, aggiunge Grasso.
“Le nuove generazioni dovranno raddrizzare la situazione, ma questo è un lavoro di lungo periodo. Cosa si può fare nel breve periodo?” chiede il prof. Emilio Esposito. L’esempio più bello in Italia in questo momento è quello dei ragazzi che a Palermo hanno fondato l’associazione Addio Pizzo (www.addiopizzo.org). Nel 2005, un gruppo di ragazzi, ancora studenti universitari, affisse in tutta la città degli adesivi con la scritta, ‘un intero popolo che paga il pizzo, è un popolo senza dignità’, dando vita ad un movimento monotematico, che si ribellava al sistema mafioso, partendo dalla propria condizione di cittadini consumatori. Senza soldi, senza una sede e senza alcuna organizzazione alle spalle, hanno raccolto le firme di 10mila cittadini consumatori, i cui nomi e cognomi sono stati pubblicati dal Giornale di Sicilia e hanno messo insieme 200 commercianti, che si sono schierati contro il pizzo. “Per 16 anni, avevo cercato di fondare l’associazione antiracket a Palermo. Non c’ero mai riuscito. Grazie al lavoro sotterraneo di questi ragazzi, con alcuni di questi commercianti siamo riusciti a fondarla. È una svolta, determinata da un gruppo di vostri coetanei che hanno messo in atto un processo che ha inciso profondamente nella società palermitana”, dice con passione Tano Grasso. Il 10 novembre, una manifestazione indetta dal movimento, ha riempito il Teatro Biondo di Palermo. In occasione di un evento analogo, organizzato due anni e mezzo fa dalla Confindustria e dall’Associazione Nazionale Magistrati, il Teatro era rimasto deserto. “Datevi una mossa. Costruite un percorso, mettete la vostra testa dentro una strategia. Dovete uccidere la parola ammuina, perché è nemica dei napoletani” esorta i ragazzi.
Poi la testimonianza accorata di Barbara del Prete, figlia di Franco, un imprenditore antiracket di Frattamaggiore, recentemente scomparso. “Essere la figlia di un imprenditore antiracket, ti fa sentire molto forte. A chi domandava a mio padre se non avesse paura, lui diceva che la camorra sarebbe andata a chiedere il pizzo agli altri e non a lui che era tutti i giorni in prima pagina”.
Prossimo appuntamento a gennaio, quando si svolgerà un seminario nelle sedi universitarie del centro storico cui interverranno dei ragazzi di Palermo.
Simona Pasquale
“Le nuove generazioni dovranno raddrizzare la situazione, ma questo è un lavoro di lungo periodo. Cosa si può fare nel breve periodo?” chiede il prof. Emilio Esposito. L’esempio più bello in Italia in questo momento è quello dei ragazzi che a Palermo hanno fondato l’associazione Addio Pizzo (www.addiopizzo.org). Nel 2005, un gruppo di ragazzi, ancora studenti universitari, affisse in tutta la città degli adesivi con la scritta, ‘un intero popolo che paga il pizzo, è un popolo senza dignità’, dando vita ad un movimento monotematico, che si ribellava al sistema mafioso, partendo dalla propria condizione di cittadini consumatori. Senza soldi, senza una sede e senza alcuna organizzazione alle spalle, hanno raccolto le firme di 10mila cittadini consumatori, i cui nomi e cognomi sono stati pubblicati dal Giornale di Sicilia e hanno messo insieme 200 commercianti, che si sono schierati contro il pizzo. “Per 16 anni, avevo cercato di fondare l’associazione antiracket a Palermo. Non c’ero mai riuscito. Grazie al lavoro sotterraneo di questi ragazzi, con alcuni di questi commercianti siamo riusciti a fondarla. È una svolta, determinata da un gruppo di vostri coetanei che hanno messo in atto un processo che ha inciso profondamente nella società palermitana”, dice con passione Tano Grasso. Il 10 novembre, una manifestazione indetta dal movimento, ha riempito il Teatro Biondo di Palermo. In occasione di un evento analogo, organizzato due anni e mezzo fa dalla Confindustria e dall’Associazione Nazionale Magistrati, il Teatro era rimasto deserto. “Datevi una mossa. Costruite un percorso, mettete la vostra testa dentro una strategia. Dovete uccidere la parola ammuina, perché è nemica dei napoletani” esorta i ragazzi.
Poi la testimonianza accorata di Barbara del Prete, figlia di Franco, un imprenditore antiracket di Frattamaggiore, recentemente scomparso. “Essere la figlia di un imprenditore antiracket, ti fa sentire molto forte. A chi domandava a mio padre se non avesse paura, lui diceva che la camorra sarebbe andata a chiedere il pizzo agli altri e non a lui che era tutti i giorni in prima pagina”.
Prossimo appuntamento a gennaio, quando si svolgerà un seminario nelle sedi universitarie del centro storico cui interverranno dei ragazzi di Palermo.
Simona Pasquale
Associazioni ed enti promotori dell’iniziativa: ASSI – Associazione Studenti Ingegneria, Confederazione degli Studenti, Leo Club Napoli Sebetia, Facoltà di Ingegneria della Federico II, Associazione Mediterraneo, Contr’a Camorra, ACEN – Associazione Costruttori Edili Napoli, FAI – Federazione Associazione Antiracket e Antiusura Italiane, Associazione Studenti Napoletani Contro la Camorra, Comitato Universitario Regionale.