Una tradizione illustre nelle discipline orientalistiche è il vanto de L’Orientale, “un punto di riferimento importantissimo in Italia per lo studio della filosofia e delle culture buddhiste asiatiche”, afferma con grande orgoglio la prof.ssa Giacomella Orofino, specialista in Lingua e Letteratura Tibetana. Insegnamento unico nel panorama nazionale che si coltiva con dedizione a partire dagli anni Sessanta, ma che aveva trovato già trent’anni prima terreno fertile nella figura di uno dei maggiori orientalisti del secolo. Infatti, “dal 1930 al 1933 Giuseppe Tucci, al quale si deve la scoperta del Tibet come terreno di conoscenze di tutta l’Asia antica, aveva ricoperto qui la cattedra di Lingua e Letteratura Cinese”. A tessere le fila di una continuità immanente è la docente, dal 2006 inoltre Presidente del Centro di Studi sul Buddhismo, lieta di annunciare una novità in fasce: l’Associazione Italiana di Studi Tibetani e Himalayani (AISTH), che a partire da settembre 2017 sarà ospitata presso la Scuola di Procida per l’Alta Formazione dell’Ateneo. “Ho pensato di fondarla, perché è venuto finalmente il momento di creare uno spazio di studio e ricerca in cui giovani studiosi di quest’ambito siano in connessione con altri nella realtà accademica italiana”. Impegno e specificità che si traducono in eccellenza. “Nessun altro Corso sul territorio offre una formazione pari alla nostra con la possibilità di laurearsi in tibetano, così come anche di approfondirlo solo alla Magistrale”. E, non da meno, di studiare il buddhismo, “ma anche tante discipline a esso correlate, quali Archeologia e Storia dell’arte dell’India, o della Cina, Religioni e Filosofie dell’Asia Orientale”. Lo stesso dicasi per gli insegnamenti di Lingua compatibili. “Accoppiare il tibetano e il cinese è molto utile, poiché sono molto legati tra loro dal punto di vista politico”. Per chi vuole approfondire la letteratura classica, “consiglio l’accoppiamento con il sanscrito. In alternativa, l’hindi. Moltissimi, infatti, sono i tibetani che in seguito alla diaspora si sono trasferiti
in India”.
in India”.
Il patrimonio culturaleda Tucci a oggi
L’eredità di Tucci ha segnato una tappa fondamentale nella memoria dell’Ateneo varcando la soglia di campi del tutto nuovi e fecondi. “Innumerevoli furono le sue spedizioni in Tibet e in India, volte ad approfondire la conoscenza del buddhismo e di altre tradizioni religiose autoctone, quali lo sciamanesimo”. Studioso erudito, nonché archeologo, “scoprì in Afghanistan e Pakistan opere relative all’arte greco-buddhista del Gandhara, in cui si ritrovano per la prima volta nella storia del Buddhismo statue e bassorilievi rappresentanti il Buddha in forma umana, seguendo modelli stilistici diversi (indiani, iranici ed ellenistici)”. Di ritorno in Italia, “Tucci fondò a Roma insieme a Giovanni Gentile l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO) e lì vi portò tutti i testi raccolti in Tibet e successivamente molti reperti dell’arte Gandhara, che oggi sono esposti presso il Museo d’Arte Orientale di Roma Tucci”. Perché è necessario scavare nel passato e risalire fino al punto di avvio di questa cattedra? “Perché fu proprio Tucci a invitare dall’India un lama di tradizione laica, il prof. Namkhai Norbu, che per 30 anni, dal 1962 al 1992, è stato titolare a L’Orientale di due cattedre distinte: Lingua e Letteratura Tibetana e Mongola”. Da circa vent’anni, “l’insegnamento del tibetano è sempre andato avanti in modo ininterrotto e da quando ho ereditato il suo ruolo mi impegno in quella direzione per far sì che questo tipo di studi più ‘esclusivi’ non chiudano, come è
accaduto per esempio a Bologna e Roma. Bisogna conservarli, perché sono l’anima di questa Università”. In più, al fine di potenziare questo settore, oggi sono numerosissimi gli accordi stretti con istituti di tutto il mondo, tra cui “la rinomata Minzu University di Pechino”, specializzata nelle minoranze nazionali. “Un’occasione considerevole questa per chi vuole diventare sinologo e imparare a muoversi in un territorio multietnico”, quale è la Cina di
oggi. Anche per studiare tibetano in Europa vi sono tante possibilità di scambio “con l’Università di Vienna, l’INALCO di Parigi, la SOAS di Londra e proprio di recente uno con l’Università di Tartu in Estonia”.
A che serve il tibetano? Preservare il buddhismo
“Certamente non è una lingua che permette di andare a lavorare come interprete presso aziende o per gli scambi commerciali”. Tuttavia, “ha un’applicazione concreta nella sfera delle conoscenze religiose, filosofiche e artistiche del buddhismo asiatico e delle sue diramazioni in Occidente”. In principio, “i testi originali erano scritti in sanscrito o in pali, però, a partire dal settimo secolo d. C., a causa di una grande crisi in India – aggravante ne fu tempo dopo l’invasione islamica – i tibetani cominciarono a tradurre le opere buddhiste sanscrite in tibetano”. Il canone buddista tibetano “ha un’importanza cruciale per conoscere tutti i periodi del buddhismo, infatti in esso sono preservati testi appartenenti al periodo antico, a quello mahayana e poi a quello più tardo del vajrayana”. È interessante studiare il buddhismo in modo approfondito per custodirlo, “altrimenti ci si limita a una semplificazione riduttiva. Soprattutto
adesso che in Occidente si è diffusa l’esperienza superficiale legata a centri di buddhismo o alla moda New Age”. In particolare, la storia del Tibet negli ultimi tempi è drammatica per questo popolo, “che ha tradizioni culturali antichissime e viceversa rischia di perdere il proprio tesoro”. Come mai? “Nel 1949 la cosiddetta ‘Liberazione pacifica del Tibet’ ha comportato la sua assimilazione all’interno della Repubblica Popolare Cinese. Bisogna
distinguere il Tibet politico da quello etnografico-culturale. Quest’ultimo comprende, oltre alla Regione Autonoma Tibetana (T.A.R), il Qinghai e il Sichuan che inglobano le antiche regioni tibetane orientali del Kham e dell’Amdo. In Cina anche ci sono tante minoranze”. Ma da un po’ si sta verificando un fenomeno particolare. “La crisi del blocco comunista ha spinto i giovani cinesi verso la spiritualità. Dopo aver ferito quella cultura, la classe economica degli ultimi anni è alla ricerca di una religione ed è molto interessata al buddhismo tibetano”. Un segno che lascia
immaginare un avvenire diverso per il Tibet, “fino a 10 anni fa un’area in grosso declino, e che non si sa come potrebbe evolversi per la politica futura”.
Cosa si studia?
Lingua e Letteratura, anzitutto. “Io sono specialista di tibetano classico, per cui indirizzo gli studenti in questo percorso, ma fornisco anche nozioni di contemporaneo”. La strategia di studio più caldamente consigliata è l’immersione nella lingua. Perciò, già al primo anno, si traduce dal classico, “perché voglio portare i ragazzi a comprendere l’arte della traduzione. Io stessa ho tradotto molti libri, in inglese e italiano”. In classe “leggiamo insieme, ma è importante che gli studenti acquisiscano un metodo autonomo lavorando a casa. Non avendo un lettore, il mio corso assomiglia un po’ a un laboratorio, almeno alla Triennale, laddove al biennio si fa un lavoro più
avanzato per acquisire competenze di analisi filologica”. Il Corso di Letteratura, invece, esplora la storia letteraria del Tibet. In parallelo, “ogni anno tendo a insegnare corsi monografici sempre diversi – dallo yoga alla filosofia tantrica passando per la geografia sacra e la medicina tibetana – per fare in modo che gli studenti possano leggere molto e avere una buona formazione globale”. A questo si affiancano le lezioni di Civiltà e Religioni Indotibetane,
“aperte anche a chi non ne studia la lingua, ma rilevanti per approfondire alcuni aspetti delle civiltà asiatiche”. Spesso il corso è coadiuvato da seminari, peraltro aperti al dialogo con la città. Tra questi, “i cicli di conferenze del Centro di Studi sul Buddhismo con incontri tenuti da professori di Università straniere che invitiamo da noi perché riteniamo importantissimo coinvolgere i nostri studenti in attività di divulgazione internazionali”.
Sbocchi professionali: le ONG
Ogni anno circa una decina di iscritti predilige il tibetano. “Spesso si tratta di studenti Erasmus incoming che conoscono il genere di lavoro che conduco sui testi classici e sul tantrismo e decidono di venire a Napoli per un periodo di studio con me. Altri vengono dal Nord Italia”. Proprio uno degli obiettivi principali della docente è, difatti, attrarre studenti che provengono da altri Atenei. “Alcuni sognano di diventare orientalisti o traduttori, altri vogliono entrare a far parte di organizzazioni umanitarie. In particolare, il prof. Namkhai Norbu ha fondato nel 1988 una ONG siglata A.S.I.A, ossia Associazione Internazionale per la Solidarietà in Asia, di cui faccio parte”. Il suo scopo
è “promuovere progetti di educazione allo sviluppo e interventi d’emergenza in Tibet e nelle altre province, ma anche in Nepal, Mongolia, Sri Lanka, Birmania”. Perciò “è fondamentale formare persone che abbiano cognizione per operare in questi contesti”. Molti dei laureati hanno proseguito la propria carriera lavorando all’estero in ONG internazionali, oppure “con gli studi accademici e i dottorati di ricerca, in Europa e negli Stati Uniti”. Attualmente, la
ricerca in Italia sta attraversando “un momento di grandissima crisi, anche sul versante degli studi scientifici.
Paradossalmente, però, noi continuiamo senza fondi a formare persone in gamba che riescono a trovare lavoro ovunque. Malgrado gli sforzi, sono stati fatti pochissimi passi in avanti”. Cionondimeno, “questo è un lavoro meraviglioso e nel mio caso si regge su una forte passione. Mi dà la possibilità di viaggiare in territori affascinanti, conoscere da vicino una civiltà interessantissima. E adoro comunicare questo amore ai miei studenti, soprattutto
in un posto così vivo come L’Orientale”.
Sabrina Sabatino
L’eredità di Tucci ha segnato una tappa fondamentale nella memoria dell’Ateneo varcando la soglia di campi del tutto nuovi e fecondi. “Innumerevoli furono le sue spedizioni in Tibet e in India, volte ad approfondire la conoscenza del buddhismo e di altre tradizioni religiose autoctone, quali lo sciamanesimo”. Studioso erudito, nonché archeologo, “scoprì in Afghanistan e Pakistan opere relative all’arte greco-buddhista del Gandhara, in cui si ritrovano per la prima volta nella storia del Buddhismo statue e bassorilievi rappresentanti il Buddha in forma umana, seguendo modelli stilistici diversi (indiani, iranici ed ellenistici)”. Di ritorno in Italia, “Tucci fondò a Roma insieme a Giovanni Gentile l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO) e lì vi portò tutti i testi raccolti in Tibet e successivamente molti reperti dell’arte Gandhara, che oggi sono esposti presso il Museo d’Arte Orientale di Roma Tucci”. Perché è necessario scavare nel passato e risalire fino al punto di avvio di questa cattedra? “Perché fu proprio Tucci a invitare dall’India un lama di tradizione laica, il prof. Namkhai Norbu, che per 30 anni, dal 1962 al 1992, è stato titolare a L’Orientale di due cattedre distinte: Lingua e Letteratura Tibetana e Mongola”. Da circa vent’anni, “l’insegnamento del tibetano è sempre andato avanti in modo ininterrotto e da quando ho ereditato il suo ruolo mi impegno in quella direzione per far sì che questo tipo di studi più ‘esclusivi’ non chiudano, come è
accaduto per esempio a Bologna e Roma. Bisogna conservarli, perché sono l’anima di questa Università”. In più, al fine di potenziare questo settore, oggi sono numerosissimi gli accordi stretti con istituti di tutto il mondo, tra cui “la rinomata Minzu University di Pechino”, specializzata nelle minoranze nazionali. “Un’occasione considerevole questa per chi vuole diventare sinologo e imparare a muoversi in un territorio multietnico”, quale è la Cina di
oggi. Anche per studiare tibetano in Europa vi sono tante possibilità di scambio “con l’Università di Vienna, l’INALCO di Parigi, la SOAS di Londra e proprio di recente uno con l’Università di Tartu in Estonia”.
A che serve il tibetano? Preservare il buddhismo
“Certamente non è una lingua che permette di andare a lavorare come interprete presso aziende o per gli scambi commerciali”. Tuttavia, “ha un’applicazione concreta nella sfera delle conoscenze religiose, filosofiche e artistiche del buddhismo asiatico e delle sue diramazioni in Occidente”. In principio, “i testi originali erano scritti in sanscrito o in pali, però, a partire dal settimo secolo d. C., a causa di una grande crisi in India – aggravante ne fu tempo dopo l’invasione islamica – i tibetani cominciarono a tradurre le opere buddhiste sanscrite in tibetano”. Il canone buddista tibetano “ha un’importanza cruciale per conoscere tutti i periodi del buddhismo, infatti in esso sono preservati testi appartenenti al periodo antico, a quello mahayana e poi a quello più tardo del vajrayana”. È interessante studiare il buddhismo in modo approfondito per custodirlo, “altrimenti ci si limita a una semplificazione riduttiva. Soprattutto
adesso che in Occidente si è diffusa l’esperienza superficiale legata a centri di buddhismo o alla moda New Age”. In particolare, la storia del Tibet negli ultimi tempi è drammatica per questo popolo, “che ha tradizioni culturali antichissime e viceversa rischia di perdere il proprio tesoro”. Come mai? “Nel 1949 la cosiddetta ‘Liberazione pacifica del Tibet’ ha comportato la sua assimilazione all’interno della Repubblica Popolare Cinese. Bisogna
distinguere il Tibet politico da quello etnografico-culturale. Quest’ultimo comprende, oltre alla Regione Autonoma Tibetana (T.A.R), il Qinghai e il Sichuan che inglobano le antiche regioni tibetane orientali del Kham e dell’Amdo. In Cina anche ci sono tante minoranze”. Ma da un po’ si sta verificando un fenomeno particolare. “La crisi del blocco comunista ha spinto i giovani cinesi verso la spiritualità. Dopo aver ferito quella cultura, la classe economica degli ultimi anni è alla ricerca di una religione ed è molto interessata al buddhismo tibetano”. Un segno che lascia
immaginare un avvenire diverso per il Tibet, “fino a 10 anni fa un’area in grosso declino, e che non si sa come potrebbe evolversi per la politica futura”.
Cosa si studia?
Lingua e Letteratura, anzitutto. “Io sono specialista di tibetano classico, per cui indirizzo gli studenti in questo percorso, ma fornisco anche nozioni di contemporaneo”. La strategia di studio più caldamente consigliata è l’immersione nella lingua. Perciò, già al primo anno, si traduce dal classico, “perché voglio portare i ragazzi a comprendere l’arte della traduzione. Io stessa ho tradotto molti libri, in inglese e italiano”. In classe “leggiamo insieme, ma è importante che gli studenti acquisiscano un metodo autonomo lavorando a casa. Non avendo un lettore, il mio corso assomiglia un po’ a un laboratorio, almeno alla Triennale, laddove al biennio si fa un lavoro più
avanzato per acquisire competenze di analisi filologica”. Il Corso di Letteratura, invece, esplora la storia letteraria del Tibet. In parallelo, “ogni anno tendo a insegnare corsi monografici sempre diversi – dallo yoga alla filosofia tantrica passando per la geografia sacra e la medicina tibetana – per fare in modo che gli studenti possano leggere molto e avere una buona formazione globale”. A questo si affiancano le lezioni di Civiltà e Religioni Indotibetane,
“aperte anche a chi non ne studia la lingua, ma rilevanti per approfondire alcuni aspetti delle civiltà asiatiche”. Spesso il corso è coadiuvato da seminari, peraltro aperti al dialogo con la città. Tra questi, “i cicli di conferenze del Centro di Studi sul Buddhismo con incontri tenuti da professori di Università straniere che invitiamo da noi perché riteniamo importantissimo coinvolgere i nostri studenti in attività di divulgazione internazionali”.
Sbocchi professionali: le ONG
Ogni anno circa una decina di iscritti predilige il tibetano. “Spesso si tratta di studenti Erasmus incoming che conoscono il genere di lavoro che conduco sui testi classici e sul tantrismo e decidono di venire a Napoli per un periodo di studio con me. Altri vengono dal Nord Italia”. Proprio uno degli obiettivi principali della docente è, difatti, attrarre studenti che provengono da altri Atenei. “Alcuni sognano di diventare orientalisti o traduttori, altri vogliono entrare a far parte di organizzazioni umanitarie. In particolare, il prof. Namkhai Norbu ha fondato nel 1988 una ONG siglata A.S.I.A, ossia Associazione Internazionale per la Solidarietà in Asia, di cui faccio parte”. Il suo scopo
è “promuovere progetti di educazione allo sviluppo e interventi d’emergenza in Tibet e nelle altre province, ma anche in Nepal, Mongolia, Sri Lanka, Birmania”. Perciò “è fondamentale formare persone che abbiano cognizione per operare in questi contesti”. Molti dei laureati hanno proseguito la propria carriera lavorando all’estero in ONG internazionali, oppure “con gli studi accademici e i dottorati di ricerca, in Europa e negli Stati Uniti”. Attualmente, la
ricerca in Italia sta attraversando “un momento di grandissima crisi, anche sul versante degli studi scientifici.
Paradossalmente, però, noi continuiamo senza fondi a formare persone in gamba che riescono a trovare lavoro ovunque. Malgrado gli sforzi, sono stati fatti pochissimi passi in avanti”. Cionondimeno, “questo è un lavoro meraviglioso e nel mio caso si regge su una forte passione. Mi dà la possibilità di viaggiare in territori affascinanti, conoscere da vicino una civiltà interessantissima. E adoro comunicare questo amore ai miei studenti, soprattutto
in un posto così vivo come L’Orientale”.
Sabrina Sabatino