Un libro scientifico sulla Pizza Napoletana

Il disco tondo, simbolo della città di Napoli, viene esaminato scientificamente nelle proprietà chimico-fisiche degli ingredienti che lo rendono così speciale. “La Pizza Napoletana… più di una Notizia scientifica sul processo di lavorazione artigianale” è il primo libro che passa al microscopio l’alimento tanto amato e il lavoro del pizzaiolo, a cura del professore di Ingegneria dei Processi Alimentari, nonché Direttore del Dipartimento di Agraria alla Federico II, Paolo Masi, della docente di Processi dell’Industria Alimentare Annalisa Romano e del famosissimo pizzaiolo da tre generazioni Enzo Coccia. Con la prefazione di Marino Niola, docente di Antropologia dei simboli presso il Suor Orsola Benincasa, il volume è stato pubblicato in italiano e inglese. “È uno studio prettamente scientifico in cui si presentano le materie prime dell’impasto: acqua, farina, sale, e si discute delle caratteristiche chimiche, biochimiche e fisiche, grazie alle quali l’insieme dà quella struttura viscoelastica fatta da polimeri biologici. Descrivo quindi il ruolo funzionale di ciascun elemento, come avviene la lievitazione e i principi che regolano la trasmissione del calore e la cottura”, spiega Masi. Ma anche: “l’influenza dei trattamenti sugli ingredienti di guarnitura principali: pomodoro, mozzarella, olio e i parametri d’impasto. Quasi a fornire un diagramma di flusso sulla preparazione della pizza”. Questa è soltanto la prima parte, curata da Masi e Romano, la seconda, con il contributo di Coccia, si sofferma sui difetti durante il processo di lavorazione, a partire dall’unione di acqua e farina, ovvero sugli errori che portano a risultati insoddisfacenti, i motivi dell’insuccesso e le correzioni da effettuare. “L’idea del libro è nata grazie a Coccia, che mi contattò per la Manifestazione ‘Estate a Vico’, dove bisognava presentare a giornalisti internazionali cosa scientificamente avviene quando si fa la pizza. Io ne fui felice e, visto che Coccia organizza stage in tutto il mondo, abbiamo pensato di pubblicarlo in due lingue. Ovviamente la parte scientifica è comprensibile a tutti. La presentazione del volume in lingua inglese avverrà al Padiglione Slow Food dell’Expo, verso metà settembre”. Per Masi scrivere è stato un divertimento e una sfida: “spesso vengono dette corbellerie sulla lavorazione della pizza, a partire dal benzene e la combustione di elementi cancerogeni. Le sostanze nocive si limitano al pezzettino bruciato della pizza, così come accade per la brace. Ora, su 300 grammi di alimento, non sarà certo quel pezzettino a determinare l’incidenza di tumori, anche perché noi napoletani siamo i maggiori consumatori di pizza al mondo, ed è dimostrato che il cancro nelle nostre zone non è certo causato dalla pizza”. Combattere l’ignoranza è quindi uno dei motivi che l’hanno portato a scrivere: “il ‘Disciplinare’ della pizza napoletana è un altro ricettacolo di falsità. Qui si scrive che per essere cotta va sottoposta a una temperatura di 65 gradi, quando è noto che un prodotto è crudo così. Si scrive anche che olio e pomodoro debbano avere una temperatura di cottura diversa, quando è ovvio che, stando ad intimo contatto, ne avranno la stessa. Sempre il ‘Disciplinare’ prevede l’utilizzo della mozzarella di bufala, quando, per il suo pH e l’elevato contenuto di acqua, si utilizza in realtà solo il fiordilatte del giorno prima, che conferisce quel sapore amarognolo che piace tanto”. La tipicità della pizza, disco diffuso in tutto il mondo, su cui metti ciò che vuoi, è quindi determinata: “dalla tecnica di cottura con il forno in mattoni refrattari. Prima che questo venisse esportato, nessuno era in grado di produrre la pizza napoletana con quello elettrico. Ora tutti hanno acquisito le nostre tecniche di cottura, attraverso conduzione e irraggiamento del disco, che fanno sì che in 60 secondi sia croccante ai bordi e morbido al centro. Altrimenti sarebbe piadina”.
Allegra Taglialatela
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